Convegno organizzato dal Coro Stelutis di Bologna

Foto: il Coro Stelutis diretto da Silvia Vacchi

Domenica 20 ottobre 2024, presso la prestigiosa sede del Coro Stelutis – “Tiz” di Bologna, si è svolto il convegno Il canto di tradizione orale: tra ricerca ed elaborazione; l’evento si è sviluppato all’interno del progetto “Cantar storie” con il contributo di Regione Emilia Romagna, AERCO e Feniarco.
Il convegno è stato articolato in due parti: nella mattina tre noti musicisti hanno tenuto delle relazioni riguardo temi significativi inerenti al tema della giornata. Ogni relatore, con esempi musicali, slide, ascolti e spiegazioni, ha delineato la propria esperienza secondo diverse tipologie progettuali ed artistiche. La seconda sezione della giornata, intercalata da un brunch di qualità, si è sviluppata in una forma di tavola rotonda dove, grazie al ruolo di mediatore assunto dal maestro Pier Paolo Scattolin è stato possibile avviare un dialogo ricco di interesse tra i relatori e gli ospiti intervenuti al convegno. Aspetto importante è risultato la varietà degli intervenuti al convegno: coristi, maestri, amatori, compositori hanno proposto nelle varie conversazioni punti di vista assai differenziati.
Dopo il saluto ai convenuti, da parte della Presidente Nicoletta Puglioli e della maestra del coro Stelutis Silvia Vacchi, seguiti dal referente AERCO Pierpaolo Fabretti, il maestro Daniele Venturi ha introdotto la propria relazione titolata Il coro ricorda: settant’anni di evoluzione del canto di ispirazione popolare. Con documentazione di efficace chiarezza, sono stati esposti alcuni canti del mondo della coralità del 1900, questi in gran parte derivati dal repertorio del coro SAT. La spiegazione ha documentato le peculiarità “evolutive” dell’elaborazione del canto di tradizione orale. La relazione del maestro Venturi si è concentrata in modo particolare sui procedimenti armonico – compositivi che il decorso temporale di circa un secolo ha gradualmente arricchito: tipologie di consonanze e dissonanze, note pedale, modulazioni, utilizzo delle voci, procedimenti ritmici, ovvero tutto ciò che sta alla base del linguaggio compositivo è stato motivo di un’indagine particolarmente dettagliata. Il lavoro analitico ha quindi evidenziato le modalità di tecnica compositiva, formale e ritmica che sono state utilizzate per dare rilievo ai termini, esclamazioni o ai cosiddetti “affetti” più significativi dei brani.

Giorgio Vacchi, Composizioni per coro misto e femminile, 2021

L’ampia lettura di brani, da L. Pigarelli a L. Berio, passando per A. Pedrotti, R. Dionisi, A.B. Michelangeli, G. Vacchi ha pertanto posto in rilievo non solo i costrutti più abituali dell’armonizzazione in direzione del cosiddetto “popolare”, ma pure le specificità utilizzate dei singoli compositori. Il denominatore comune che infine è risultato è stata la generale trasparenza che permea il comporre in tale ambito. Nella qualità di un’immagine, il brano popolare è una rappresentazione sonora di un evento o di una narrazione che si concentra molto sull’essenza della quotidianità del nostro passato culturale: ovvero la simbolizzazione della concretezza dei fatti (e dei riti) con cui la persona “figlia” di un mondo sostanzialmente rurale, si relazionava.

Un momento del convegno presso la sede del Coro Stelutis

La relazione del maestro Luigi Di Tullio si è basata su un progetto di rilievo nazionale da egli ideato e curato in collaborazione con l’etnomusicologo Domenico Di Virgilio: Nuovi canti della terra d’Abruzzo. Questo è il titolo di un importante pubblicazione cartacea contenente scritti, saggi, partiture, cd, e tutto ciò che è stato motivo e soprattutto un risultato di ricerca. Alla specificità compositiva del Maestro Daniele Venturi si è pertanto affiancata una relazione che descrive un articolato lavoro portato a compimento in circa due anni.
Tale programmazione ha posto più punti costitutivi come premesse:

1) l’individuazione del repertorio;
2) l’elaborazione;
3) la realizzazione esecutiva e registrazione.

Queste condizioni sono poi state sviluppate per dare rilievo e coinvolgimento di numerose realtà: i musicologi in prima fase, i compositori e poi i cori. Tutto ciò, benché partito dalla terra abruzzese, ha assunto gradualmente e spontaneamente uno sviluppo e coinvolgimento praticamente nazionale.
Nell’ampia relazione del maestro Di Tullio si sono espressi i passaggi temporali che, dall’avvio si sono estesi man mano fino, al raggiungimento della concretezza realizzativa, ovvero come un’efficace “rete” costitutiva ha determinato un rilievo consistente di ogni figura partecipante.
Lo spettatore presente alla conferenza ha qui colto dapprima con quali criteri è stata fatta la scelta dei canti abruzzesi da elaborare (questo grazie ad un lavoro di etnomusicologia); successivamente è venuto a conoscenza di quali compositori dapprima abruzzesi, ma poi di ogni zona d’Italia si sono interessati alla proposta di elaborazione.

Siam prigionieri (Siberia, 1914-1918) nella trascrizione di Renato Dionisi

Il passaggio successivo ha posto gli stessi compositori in relazione con i cori atti ad eseguire e registrare queste nuove “composizioni”. Tale momento ha assunto rilievo in quanto il compositore-elaboratore, nella propria libertà compositiva ha dovuto dare proporzionalità creativa rispetto all’esecutore (coro) per il quale ha composto ovvero: organico, voci pari, miste o solisti, quantità esecutori, etc… Ciò ha fatto emergere una grande varietà di modalità creative.
Una singolarità segnalata è stata il coinvolgimento compositivo di una classe di alunni di un liceo e la conseguente realizzazione della medesima classe di studenti di uno dei brani elaborati.
Lo spessore di questo progetto ha avuto poi una rilevante risonanza mediatica grazie a decine di occasioni di presentazione, di riproposte esecutive dei brani realizzati, di riconoscimenti giornalistici sia cartacei, televisivi e anche filmografici di tutto ciò.

Screenshot

Giorgio Vacchi a Canazei, 1956

Le caratteristiche dei citati interventi hanno palesato l’ampiezza e la grande ricchezza di argomenti che emergono ponendo l’attenzione a ciò che può essere un brano tradizionale e alla sua possibile elaborazione. A completamento di ciò, uno di tali aspetti su cui si è concentrata la relazione del maestro Mario Lanaro è stata la grande duttilità che, a prescindere dall’esattezza semantica, può assumere la dicitura di canto proveniente dalla tradizione orale. Questa è stata una interessante occasione per concentrare l’interesse su termini e vocaboli frequentemente adoperati e che necessitano di riflessione.
Il maestro Lanaro richiama l’attenzione sul termine popolare il cui significato è una forma di passpartout adoperato ovunque e quindi soggetto ad una serie di interpretazioni che possono deviare l’esatta etimologia del termine; l’esempio di brano popolare è associabile ad un brano da un canto di derivazione orale poi elaborato in diversi modi (ossia armonizzato omoritmicamente, trattato contrappuntisticamente o con procedimenti singolari), oppure (popolare) può essere attribuito ad una canzone (anche di musica leggera) divenuta popolare, ovvero così incisiva nel successo che si è diffusa “tra tutta la gente”. Considerando che popolare è un enunciato che significa “per il popolo”, o “dal popolo”, emerge che il termine ha, di fatto, e nel tempo, acquisito una genericità contenitiva che oggi è bene non banalizzare. Per dare esplicazione a questo principio il maestro Lanaro ha presentato numerose slide dove la distorsione del termine tocca punti estremi: antologie di partiture, raccolte, ma anche rassegne corali etc.; in taluni periodi, soprattutto quando l’etnomusicologia doveva ancora avviarsi in modo importante, il termine popolare ha accomunato brani di montagna, lirici, gregoriani, ma anche del repertorio barocco inglese (Haendel)…
La conclusione è quindi l’utilità di un procedimento sensato, per attribuire ad un prodotto musicale di tale tipologia, una denominazione che sia ricavata in modo accorto. Come esempio: l’origine, la trascrizione, l’idea elaborativa, l’organico etc., sono tutti elementi che costituiscono le informazioni per individuare il termine più pertinente con il quale si vuole classificare un pezzo musicale. In altre parole, la categoria di un brano elaborato, ri-armonizzato, strumentato, è bene che risulti come prodotto conclusivo dei procedimenti tecnico/musicale dai quali esso è generato.
In tal modo si creano più tipologie che probabilmente non contraddicono l’ambito di derivazione (canto tradizionale), ma che precisano con meno superficialità l’essenza ultima derivante. Nel pomeriggio il pubblico e i maestri relatori hanno avuto l’opportunità di attivare una conversazione mediata dal maestro Pier Paolo Scattolin. Le numerose premesse emerse dalle relazioni mattutine, sono state motivo di quesiti, considerazioni e approfondimenti scaturiti da più punti di vista. Dal titolo del convegno (Il canto di tradizione orale: tra ricerca ed elaborazione) diversi punti hanno richiamato l’attenzione. Da parte di chi si occupa del lavoro elaborativo-compositivo, s’è voluto esplorare la diversità dei passaggi che dall’autenticità del canto recuperato (ovvero trasmesso, tramandato o anche ereditato), giunge a un prodotto che elaborato, riarmonizzato o anche ri-composto, si configura come una attributo di “aggiornata originalità”; tale disamina ha evidenziato che la moltitudine di possibili riproposte di tracce musicali remote è una significativa occasione con più caratteristiche; se ne elencano le più evidenti:

– il recupero di qualche cosa a rischio d’oblio;
– una sua riproposta

positivamente contingente della rielaborazione, questo (come già accennato) secondo il contesto (solistico, corale, strumentale o entrambi) e anche scolastico, concertistico. Tutto ciò dipendente anche dallo stile e la tecnica scelti per l’elaborazione (classico, folkloristico, polifonico, pop, e quindi tonale, modale, cromatico, aleatorio, con e senza strumenti etc.)

In questo tipo di osservazione il richiamo di capolavori derivati da musica passata e ricomposta da autori come Bartok, Tosti, ma anche Zandonai, Wolf-Ferrari, Brahms, Dvořák e altri) ha rilevato che la relazione artistica tra input ispiratore e compositore finale può risultare un’alleanza con esiti di grande qualità.
Come già segnalato dall’intervento del maestro Di Tullio, un importante punto derivato dalla citata osservazione è stato il rapporto che può rivelarsi necessario tra il compositore che vuol elaborare qualcosa di preesistente e lo strumento-esecutore che dovrà realizzarlo concretamente. Anche per questo punto le variabili sono numerose, ma l’attenzione a chi dovrà eseguire il prodotto compositivo è condizione per dare misura e quindi qualità e caratteristiche precise al lavoro elaborativo. In questa situazione quindi il compositore non può contenere il proprio ruolo entro il fare, ma deve considerare il fare per (qui lo strumento-coro).
Tale attenzione, se accurata, oltre alla tipologia compositiva, avrà altri aspetti. L’elaborazione da una linea musicale che presenta l’entità di una derivazione originaria, e quindi spesso tramandata oralmente (e che nella sua naturale e mutevole fisiologia può essere già lontana dalla sua nascita), è pertinente motivo di almeno due valutazioni.
In senso temporale, la prima è quella di constatarne con attenzione la natura, le caratteristiche, le possibili curiosità o interrogativi che una oculata analisi è bene evidenzi. Tutto ciò con più punti di attenzione: ambito geografico, linguaggio utilizzato, argomento, simbologia espressa e poi, natura musicale, forma, caratteristiche e peculiarità. L’etnomusicologia qui assume un ruolo primario. Questo passaggio, già esaminato nelle relazioni dei tre maestri, sottolinea che, quanto più il brano è lontano dalla nostra consapevolezza/conoscenza, tanto più richiede un’attenta valutazione in direzione della sua comprensione. Ciò evidenzierà alcune prerogative potenzialmente utili per la sua elaborazione. Non basta perciò l’onomatopea o il simbolismo già evidenti in molto repertorio; qui l’approfondimento ha un’autentica funzione di indagine “dentro la musica” che fornirà efficaci e possibili direzioni ri-elaborative.
La seconda riflessione è inerente al tipo di prodotto possibile, qualora si desideri attivare l’elaborazione. Per questo punto le soluzioni non sono circoscrivibili. Benché ciò, rimane aperta l’idea che il ricomporre su uno pseudo “cantus firmus” porta a una molteplicità di soluzioni compositive, spesso motivate, ma positivamente subordinate, dallo strumento che dovrà realizzarle.
Queste generali considerazioni danno un contorno piuttosto interessante per chi ama il comporre su canto tramandato. Egli si pone in un ideale “presente” tra “passato” (il canto raccolto) e “futuro” (la sua elaborazione), e non essendo un momento “liberamente” creativo, ovvero su foglio bianco, emergeranno pertinenti ipotesi elaborative da valutare, da modificare, da adattare, o da escludere secondo un fine che porrà in rapporto sinergico almeno tre aspetti: la memoria, la sua ri-elaborazione, il sound dato dallo strumento finale.

La melodia popolare L’homme armé notata nel Mellon Chansonnier (circa 1470) e riutilizzata da molti compositori rinascimentali come cantus firmus di messe polifoniche

Si può quindi riassumere considerando che incontri come quello svolto presso la sede dello Stelutis sono opportunità nelle quali, oltre che porre più opinioni a confronto, emergono alcuni princìpi meritevoli di una continuità di lavoro riguardo il canto erede dalla tradizione orale. Come prima cosa è evidente la “ricerca” come condizione generale e come esclusione di ogni forma di banalizzazione, rischio di tutto ciò che si designa frequentemente sotto il termine popolare.
Parlando poi di musica realizzata e il suo risultato tangibile, ossia il suono risultante, l’altro oggetto di attenzione è l’ente che caratterizza la specificità di un corpo musicale, dalla sua scrittura alla sua esecuzione, ovvero il “timbro”. Essendo la qualità che designa, di fatto e in assoluto, ogni evento musicale, esso rappresenta un parametro molto significativo e ricco di singolarità proprio nell’interessante idea di trasformazione in cui un canto, da eredità culturale rifiorisce nel presente.