La musica sacra come strumento di guarigione
Foto: una sessione di analisi dello stress cardiovascolare
Il progetto
Il Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra (PIAMS) ha avviato una collaborazione con il reparto di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale Universitario “Luigi Sacco” di Milano, diretto dal dott. Emanuele Catena. L’obiettivo di questa partnership è esplorare l’impatto che la musica polifonica sacra può avere nel ridurre lo stress cardiovascolare dei pazienti ricoverati in terapia intensiva.
La musicoterapia appare come uno strumento prezioso in diversi ambiti medici, in particolare nella cura di popolazioni vulnerabili, dove ha dimostrato effetti significativi sul benessere mentale, emotivo e fisiologico 1. Infatti, le unità di terapia intensiva sono ambienti stressanti per i pazienti che sono spesso esposti a disturbi acustici (ad esempio gli allarmi dei dispositivi medicali), procedure invasive e una mancanza di privacy, fattori che possono esacerbare sentimenti di ansia e confusione, specialmente nei pazienti con condizioni di salute fragili. L’ansia può influire negativamente sulla ripresa del paziente prolungando i tempi di recupero. La musicoterapia può contribuire a mascherare i suoni disturbanti e creare un ambiente più rilassante, aiutando a ridurre l’ansia e i livelli di stress cardiovascolare, come dimostrato dalla riduzione della frequenza cardiaca, senza ricorrere all’impiego di farmaci ansiolitici2. Inoltre, interventi musicali della durata di 20-30 minuti hanno dimostrato la capacità di ridurre il dolore nei pazienti adulti in terapia intensiva che erano in grado di riferire autonomamente la propria percezione del dolore3. Pertanto, la musicoterapia può fungere da complemento ai trattamenti farmacologici, riducendo potenzialmente le dosi necessarie per il controllo del dolore e dell’ansia4.
Johannes de Ketham, Fasciculus medicine. Similitudo complexionum & elementorum (Venezia, Giovanni & Gregorio De Gregori, 1500)
Ascoltare musica implica generalmente un processo cognitivo, che può essere influenzato dall’esperienza individuale e dalla consapevolezza di sé. In un’analisi sistematica di 73 studi clinici randomizzati, la musicoterapia applicata nel periodo perioperatorio (preoperatorio e/o intraoperatorio e/o postoperatorio) di interventi di chirurgia di varia tipologia, ha ridotto significativamente il dolore postoperatorio, l’ansia e l’uso di analgesici, e ha aumentato la soddisfazione dei pazienti anche in quelli sottoposti ad anestesia generale5. Da queste considerazioni, vi sono i presupposti per ritenere che la musicoterapia possa avere una funzione favorevole sull’omeostasi fisiologica dei pazienti anche quando sono sedati, indipendentemente dall’elaborazione cosciente dell’ascolto musicale. In altri termini, la musica potrebbe avere un ruolo “terapeutico” per le sue proprietà intrinseche e gli effetti sull’attività del sistema nervoso autonomico. Infatti, i nuclei cocleari sono contigui ai nuclei del nervo vago e vi sono strette interazioni funzionali tra il nucleo del tratto solitario, il centro generatore del respiro e le vie efferenti simpatiche6.
Purtroppo, i dati presenti in letteratura non forniscono risposte complete poiché sono estremamente variabili le caratteristiche della musica utilizzata, la durata e il timing del trattamento. Al fine di indagare l’ipotesi di un effetto terapeutico intrinseco alla musica sullo stress cardiovascolare abbiamo deciso di progettare una sperimentazione su circa 100 pazienti “critici”, sedati e ventilati in terapia intensiva, esposti a musica rinascimentale con caratteristiche intrinseche definite. L’analisi dello stress cardiovascolare verrà condotto in modo totalmente non invasivo (senza la necessità di prelievi o esami ulteriori rispetto a quelli standard) attraverso l’analisi integrata della variabilità del battito cardiaco, della pressione sanguigna e del respiro.
Aurelio Lippo Brandolini, De humanae vitae conditione, & toleranda corporis aegritudine, Basilea, 1541
La prima fase del progetto si è focalizzata sulla creazione di un team di esperti, composto sia da professionisti del settore medico che da studiosi di musicologia: oltre al dott. Emanuele Catena, i dottori Riccardo Colombo, Beatrice Borghi, Elisa Ballone, Davide Ottolina e Antonio Castelli del reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale Sacco e Francesco Rocco Rossi per il PIAMS.
Per avviare la sperimentazione, è stato fondamentale selezionare un repertorio musicale specifico. Considerando il focus accademico dell’Istituto Pontificio (musica sacra), abbiamo scelto di concentrarci sulla musica polifonica sacra del XVI secolo, in particolare su due compositori fortemente rappresentativi del periodo: Giovanni Pierluigi da Palestrina e Carlo Gesualdo da Venosa. Le loro scelte stilistiche, così diverse, sono sembrate ideali per osservare come differenti approcci musicali possano influire sui pazienti.
Riccardo Colombo e Francesco Rocco Rossi durante una sessione di analisi dello stress cardiovascolare
Da un lato il ‘contrappunto palestriniano’ si distingue per la sua ariosità, la chiarezza e l’equilibrio, mentre dall’altro la polifonia gesualdiana, più spigolosa e talvolta volutamente e aspramente drammatica, si contrappone in modo deciso a quella di Palestrina. Ciò ci ha permesso di sperimentare due approcci compositivi che ci si aspetta possano generare effetti fisiologici differenti nei soggetti coinvolti.
Melothesia, in Joannes de Ketham, Fasciculus medicine … tractans de anothomia et diversis infirmitatibus, et corporis humani: cui annectuntur multi alii tractatus per diversos excellentissimos doctores compositi. Necnon Anothomia Mundini, Venezia, de Gregoriis, 1513, c. a7re
È importante sottolineare che questa ricerca non intende osservare reazioni soggettive, come sensazioni di calma o ansia, ma si concentra su parametri misurabili e monitorati attraverso le tecniche standard di rilevazione in uso nelle terapie intensive. In questo modo, i risultati saranno oggettivi e scientificamente validi.
Ma – ci siamo chiesti – una sperimentazione di questo tipo che utilizza la musica rinascimentale, può considerarsi in qualche misura ‘agganciata’ a una qualsivoglia dimensione storica della musicoterapia? O, in altre parole, l’idea che la musica rinascimentale possa avere una qualche influenza sul benessere psicofisico è un’idea solo moderna o trova riscontri nel passato?
A tal proposito può giovare un veloce excursus dall’antichità greco-romana al Rinascimento.
La musica come terapia dall’antichità al Rinascimento
L’idea che la musica potesse essere una fonte di benessere era profondamente radicata nella cultura del mondo antico. La prima e più nota applicazione del suo valore terapeutico in ambito psicologico ci porta nell’antica Grecia (teoria dell’ethos musicale) dove particolari melodie chiamate nomoi furono classificate in base agli effetti che producevano: diastaltiche (eccitatorio), esicastiche (calmante) e sistaltiche (deprimente). Questo legame tra musica ed ethos risale a prima di Pitagora (VI secolo a.C.) e successivamente venne ripreso anche nella Repubblica di Platone e nell’Etica Nicomachea di Aristotele7.
Dal mondo classico antico queste teorie musicali si diffusero nell’Occidente latino grazie alle riflessioni di molti pensatori cristiani fra cui Severino Boezio (ca. 480-524) e, in particolare, il suo trattato De institutione musica. Va ricordato che, a quell’epoca, la musica (ars musica) era una delle quattro discipline del quadrivium (insieme ad aritmetica, geometria e astronomia) e, quindi, era una delle quattro applicazioni possibili della matematica. Per questa ragione (semplificando al massimo), la musica veniva indagata perlopiù per quel che riguardava le sue proporzioni (nel ritmo e nella sostanza sonora) che si riteneva potessero avere un effetto benefico sull’essere umano.
Nel De institutione musica Boezio riprese la famosa tripartizione della musica in Musica mundana, Musica humana e Musica instrumentalis. La mundana era generata dalle sfere celesti che, muovendosi secondo rigorose relazioni numeriche, producevano un suono talmente perfetto da non essere udibile dall’orecchio umano; la musica humana, invece, era un’emanazione di quella mundana e risuonava nelle relazioni armoniose tra i componenti psichici e fisici dell’uomo; anch’essa era impercettibile all’orecchio. Infine, il livello più basso della classificazione boeziana, la musica instrumentalis, denotava la dimensione sensibile; una vera e propria esperienza sonora, quindi completamente udibile, ma parecchio lontana dall’astratta perfezione delle due categorie superiori. Da Boezio questa concezione della musica arrivò fino al Medioevo e un altro step importante della riflessione musicoterapica fu il pensiero musicale del filosofo e medico Pietro d’Abano (1250-1316): nel Conciliator (1303) egli creò una sottocategoria della musica humana chiamata musica organica o musica pulsuale, focalizzata principalmente sul battito del polso.
Secondo lui il battito era organizzato con tre schemi ritmici ben ritmici (uno nei bambini, il secondo negli adulti e il terzo negli anziani) che di fatto coincidevano con tre degli schemi ritmici (detti ‘modi’) che governavano la polifonia dell’epoca secondo il sistema ritmico-modale illustrato dal teorico Johannes de Garlandia (attivo dal 1270-1300) nel suo De mensurabili musica8. Pietro d’Abano aveva quindi a disposizione un ampio repertorio di musica che, in caso di problemi, gli permetteva di regolare il battito arterioso.
Il passo successivo ci conduce alle teorie neoplatoniche di Marsilio Ficino (1433-1499). Partendo dall’idea della musica mundana, nel suo De vita coelitus comparanda (il terzo libro di De vita libri tres) innanzitutto Ficino associò i diversi tipi di musica a ciascun pianeta e poi ogni pianeta (e quindi ogni tipo di musica selezionata) a una particolare regione del corpo umano. Questa, di fatto, non era altro che una particolare applicazione della cosiddetta melothesia (ossia cioè la corrispondenza tra le varie parti del corpo umano e lo zodiaco) che, sin dall’antichità, aveva tracciato legami precisi tra medicina e astrologia.
Questi principi (qui estremamente riassunti) furono i fondamenti filosofici più importanti per la costruzione del pensiero sulla musicoterapia nel Medioevo.
Musica e medicina nei trattati rinascimentali
Ma queste riflessioni non furono limitate alla riflessione filosofica e permearono anche quella musicale, lasciando tracce in alcuni trattati che, sebbene molto lacunose e frammentarie, rivelano l’idea che la musica avesse potenziale terapeutico non solo per la psiche, ma anche per il corpo.
Nella sua Summa, il teorico musicale Johannes de Muris (XIV secolo) dichiarò, infatti, che «La musica è medicina e compie miracoli; attraverso la musica si curano le malattie, specialmente quelle generate dalla melanconia e dalla tristezza: mediante la musica si impedisce che qualcuno cada nell’abisso della disperazione e del dolore9». A ben guardare il corpus di trattati musicali tra il XIII e il XV secolo è molto ricco di affermazioni che praticamente si sovrappongono a questa e che giunsero fino al Rinascimento: nel XV secolo Johannes Tinctoris (ca. 1435-1511), uno dei teorici musicali più importanti dell’epoca, nel De inventione et usu musice dichiarò a chiare lettere che la musica guariva i malati e confermò questa affermazione inserendo il valore terapeutico fra i venti effetti della musica elencati nell’Effectus complexus musice (Seay, 1975–78).
Particolarmente interessante (e un po’ più eloquente) è, invece, la riflessione dello spagnolo Bartolomé Ramos de Pareja (ca. 1440-1522), che andò oltre questi lapidari precetti e fornì dettagli musicali più specifici nel suo Musica Practica (1482); egli imperniò la sua dottrina musicoterapica sulle quattro coppie di modi in uso all’epoca:
1) dorico-ipodorico (protus);
2) frigio-ipofrigio (deuterus);
3) lidio-ipolidio (tritus);
4) misolidio-ipomisolidio (tetrardus).
Collegò ciascuna coppia a uno dei quattro umori – protus / flemma, deuterus / bile gialla, tritus / sangue e tetrardus / bile nera – assegnando, quindi, alla musica di un particolare modo un effetto positivo sull’umore associato.
Merita una menzione anche il musicista Aurelio Brandolini (ca. 1454-1497), che nel De humanae vitae conditione et toleranda corporis aegritudine (1498), un trattato sulle malattie e le possibili guarigioni, tra i vari rimedi terapeutici suggerisce l’ascolto di musica sia vocale sia strumentale (Brandolini, 1498, p. 104).
Ma, al di là di queste indicazioni teoriche, la musica veniva realmente utilizzata come strumento per migliorare il benessere fisico? Pare proprio di sì!
Nel Medioevo e nel primo Rinascimento (fino a circa il 1450) venivano confezionati piccoli libri che afferivano alla particolare tipologia del tacuinum sanitatis, sorta di vademecum per il benessere personale. Essi contenevano brevi precetti sulle proprietà medicinali di varie sostanze e… non solo sostanze! Alcune prescrizioni sono, infatti, dedicate alla musica ritenuta in grado di conferire buona salute soprattutto se praticata in prima persona: si consiglia, infatti di cantare (cantare), organare cantum vel pulsare (cantare e suonare) e cantare et balare (cantare e ballare). Di tanto in tanto, poi, emergono interessanti testimonianze sull’uso terapeutico della musica in documenti di vario genere. Per esempio, da due lettere di Ascanio Maria Sforza (1455-1505) del 1497 apprendiamo che per lui la pratica esecutiva era una vera e propria panacea.
Fin qui ci siamo limitati a pochissime citazioni ritenute particolarmente significative. In realtà la ricerca ha dato (e continua a dare) un numero decisamente ‘importante’ di testimonianze in tal senso. Purtroppo, però, a parte le poche indicazioni fornite da Ramos de Pareja, non siamo in grado di risalire a quale musica (o a quale genere) venisse usata per i vari disturbi fisici o psichici. Ma se a tutt’oggi non siamo in grado di dare una risposta a questo interrogativo basandoci su fonti documentarie, possiamo ‘aggirare l’ostacolo’ analizzando la questione sul fronte prettamente medico, e per questo riteniamo di grande interesse un approccio ai fondamenti scientifici della pratica musicoterapica.
La collaborazione tra il PIAMS e il reparto di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale “Luigi Sacco”, al di là dei risultati sul fronte prettamente medico, potrà, quindi almeno iniziare a disegnare l’identikit delle tipologie musicali ‘virtuose’ sotto il profilo musicoterapico individuandone i gesti melodici, ritmici e armonico-contrappuntistici più efficaci.
Ma per questo, dobbiamo aspettare i risultati della sperimentazione.
Ascolta la 25° puntata – “Palestrina in corsia: guarire con la musica del Rinascimento”. Alessio Romeo dialoga con Francesco Rocco Rossi
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Note
1. Cervellin, 2011; Dain, 2015; Gutiérrez, 2015; Teut, 2014. Cfr. la bibliografia estesa al termine dell’articolo.
2. Mofredj, 2016, Golino, 2023; Hasegawa, 2020; Mata Ferro, 2023; Meghani, 2017.
3. Khan, 2018.
4. Chlan, 2013.
5. Hole, 2015.
6. Berntson, 1993.
7. Rocconi, 2004, pp. 77-89.
8. Busse Berger, 2008, pp. 628-631.
8. Busse Berger, 2008, pp. 628-631.
di Francesco Rocco Rossi professore incaricato di Semiografia della polifonia rinascimentale e di Storia della musica al Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra di Milano
e Riccardo Colombo dirigente medico membro dello staff del reparto di terapia intensiva dell’Ospedale “Sacco” di Milano e coinvolto in prima persona nella sperimentazione
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