Il primo grande successo di un giovane compositore lucchese

Giacomo Puccini, del quale ricorre quest’anno il centenario della morte, nacque a Lucca il 22 dicembre del 1858. Discendente di una famiglia di musicisti e dotato di precoce talento, iniziò gli studi presso la città natale, in cui mostrò, almeno inizialmente, scarsa applicazione e ben poca dedizione. Ciononostante, la vocazione cominciò presto a farsi strada e il giovane Puccini, dopo alcune lezioni non molto fruttuose presso lo zio materno, frequentò con buon profitto il Liceo musicale “Pacini” di Lucca, di cui suo padre (morto quando Giacomo aveva cinque anni) era stato insegnante. Nel frattempo, si adoperava per sostenere le scarse risorse finanziarie della famiglia prestando servizio come organista in due chiese lucchesi e come pianista intrattenitore in un caffè della sua città. Risale a questo periodo l’aneddoto – uno dei più noti e dei più improbabili della ricchissima messe di episodi relativi al Maestro – secondo cui, di tanto in tanto, Puccini e i suoi compagni di baldoria vendessero una canna dell’organo per procurarsi soldi da spendere in vino e sigarette, e che gli amici si impegnassero a sostituire cantando il suono della canna mancante. Provate voi, poi ditemi se riuscite…

Giacomo Puccini, Messa a 4 voci – frontespizio dell’Edizione Nazionale (Carus Verlag)

Fu proprio al termine del corso di studi lucchesi che Puccini si cimentò con il genere di composizione sacra per eccellenza: la Messa. Già nel 1878 aveva scritto un Credo eseguito, con buon successo, presso il duomo di Lucca; due anni dopo gli affiancò le altre parti della Messa (Kyrie, Gloria, Sanctus-Benedictus, Agnus Dei) completando nel 1880 la Messa a quattro voci con orchestra, che successivamente e impropriamente sarà detta Messa di Gloria. Anche questa composizione venne eseguita, con lusinghieri apprezzamenti, nel Duomo di Lucca in occasione delle celebrazioni per San Paolino, patrono della città.

La partitura per soli (tenore e baritono), coro e orchestra nel catalogo Ricordi è disponibile a noleggio, mentre lo spartito per canto e pianoforte è disponibile per l’acquisto. Dal catalogo si evince che l’organico strumentale prevede tre flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, due corni, due trombe, tre tromboni e tuba, timpani, arpa e archi. Online si può invece reperire un adattamento per orchestra da camera delle edizioni Ingo Schultz, il cui organico è flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba, trombone, timpani e archi.

Il successo della Messa sembrava confermare che anche Giacomo avrebbe seguito la tradizione di famiglia nella città in cui era nato. Non fu così: occorre infatti precisare che Giacomo Puccini, prima della stesura della Messa, aveva avuto la sua ‘folgorazione sulla via di Damasco’ o, per meglio dire, ‘di Pisa’. Pare che nel 1876, appena diciottenne, sia andato a piedi appunto a Pisa per assistere a una rappresentazione dell’Aida di Verdi. L’animo musicale del giovane ne venne completamente conquistato e quella sera avrebbe rappresentato la chiave di volta nella sua vocazione artistica. Non più quindi maestro di cappella in una città relativamente provinciale quale Lucca, ma compositore d’opera. Da qui il grande passo: Milano, il Conservatorio più importante d’Italia, il primo teatro lirico del mondo, e la casa editrice più importante, la Ricordi, alla quale si si sarebbe legato per la vita. Ma questa è un’altra storia.

Gli auto-imprestiti dalla Messa di Gloria

Rispetto ad altri compositori d’opera, Puccini raramente impiegava nei suoi melodrammi imprestiti da sue composizioni precedenti. Campione indiscusso di questa prassi era stato Gioachino Rossini, che aveva utilizzato ad esempio la Sinfonia dell’Aureliano in Palmira nel Barbiere di Siviglia. La Messa però divenne per Puccini terreno fertile per prestiti successivi: dal Kyrie ricavò un pezzo della sua seconda opera (Edgar), ma l’imprestito più vistoso è quello dell’Agnus Dei della Messa, che divenne il “madrigale” (Sulla vetta tu del monte…) del secondo atto della Manon Lescaut, primo grande successo del compositore lucchese. Le differenze tra i due passi sono comunque parecchie: il brano originale, in do maggiore, per tenore, baritono e coro a quattro voci miste, è trasposto in si bemolle maggiore e adattato al differente organico di mezzosoprano e coro femminile a quattro voci. La ritmica è alterata (poiché ovviamente dal testo liturgico latino si passa a quello poetico italiano), compaiono abbellimenti nelle linee melodiche e morbide dissonanze; manca una frase, il coro femminile riprende alcune parti che nell’originale erano riservate ai solisti, e il finale è del tutto diverso. Ciononostante, all’ascolto i due brani appaiono pressoché identici. Indubbiamente la versione operistica, molto più raffinata, risente anche della maturazione del compositore, che era alla sua terza opera lirica, e del tempo trascorso tra le due composizioni, ben tredici anni.