Una conversazione con Ugo Rolli, direttore-fondatore del Coro Ferdinando Paer

In copertina: Il Coro Paer nel suo cinquantesimo (2024), Aranciaia di Colorno (foto di Cristian Bellini)

Il Coro Ferdinando Paer di Colorno (Parma) è entrato dal giugno 2024 nel cinquantesimo anno di attività, con il proprio direttore-fondatore Ugo Rolli ancora al timone. Una storia ricca di esperienze, che abbiamo ripercorso insieme al Maestro Rolli.

E dunque Ugo, come si fa spesso in prova, partiamo dall’inizio. Come nasce tutto?

Tutto nasce a Colorno nel 1974. In quegli anni cantavo nella Corale “Santa Margherita” di Colorno, diretta da don Gabriele Fridoletti, un coro dal repertorio molto vario. Un giorno, sempre a Colorno, ascoltai il Coro dell’Università Ildebrando Pizzetti, allora diretto da Adolfo Tanzi. Eseguivano polifonia classica. Per me è stata un’esperienza decisiva: mi sono innamorato di quel genere e così ho chiesto ad altri membri della Corale di trovarci una sera supplementare per studiare polifonia, che la Corale non cantava. 

E da lì è partito il Paer.

È partito quasi come gruppo di studio, poi si è evoluto. Agli inizi eravamo in 13. Io e un altro corista andavamo in auto a prendere i coristi che non avevano la patente e a fine serata li riportavamo a casa. Pensa che non ci chiamavamo neanche Paer, ma “Coro Geminiano Giacomelli”, in onore di un altro compositore colornese. Paer è comparso qualche anno dopo.

Cosa ricordi di quei primi tempi?

A parte i primi concerti pubblici, ricordo lo studio costante, sia di vocalità che di lettura cantata – considera che agli inizi nessuno sapeva leggere la musica. Andavo a studiare privatamente con Roberto Goitre, allora docente a Piacenza, poi insegnavo al coro quanto imparavo. La prima mezz’ora di ogni prova era dedicata agli esercizi di lettura con il Metodo Goitre.

Bisognava avere una gran pazienza…

Pazienza e costanza. In questo lavoro mi aiutò Aldo Bertone, mio collega per molti anni in conservatorio a Parma e poi mio corista. La fatica però ha dato molto frutto: oggi possiamo permetterci di leggere a prima vista, bene o male, un brano da capo a fondo – cosa che all’inizio dell’attività era impensabile.

In quegli anni com’era la vita corale a Parma?

C’erano già diversi cori, alcuni dei quali sono ancora in attività. C’era la Corale Città di Parma diretta da Antonio Burzoni; c’erano il Coro CAI Marotti di Gian Bernardo Ugolotti, il coro “Voci di Parma” di Mario Corradi, il coro dell’Università “Ildebrando Pizzetti” di Adolfo Tanzi, la Corale Dellapina di Marina Gatti, i Cantori del Mattino sempre di Adolfo Tanzi, oltre ovviamente alla Corale Verdi di Edgardo Egaddi, e altri in città e provincia. Non c’era però un’associazione di cori che unisse e organizzasse le nostre attività, come poi arriverà in futuro.

C’è stato un modello per il coro?

Sì, la Corale Città di Parma di Antonio Burzoni è stata per tanti aspetti il modello del Paer. Burzoni mi ha insegnato tanto: per l’attività corale è stato il mio vero maestro.

E così, tra Goitre e Burzoni, ti sei formato e hai fatto crescere il Paer.

Sì, e devo dire che negli anni siamo cresciuti molto. Dalle tredici voci degli inizi siamo arrivati a trenta, in certe occasioni quaranta, divise anche in più gruppi corali. Hanno cantato con noi circa trecento persone. Ammetto che ho avuto una grande fortuna: per ventisei anni ho insegnato canto corale in Conservatorio, e grazie a questo ho potuto avere un vivaio sempre pronto di giovani voci. Tempo fa i cantori non mancavano e per alcuni anni riuscii persino a mettere in piedi un coro giovanile; quando si sciolse, i ragazzi entrarono nel Paer – alcuni di loro cantano nel Paer ancora oggi, dopo decine di anni.

Oltre a questo, insegnare in conservatorio ti ha dato altri spunti?

Mi ha fatto capire come impostare l’attività del coro. Quando ero allievo di contrabbasso, il conservatorio era più una caserma che una scuola. Quell’ambiente però mi ha insegnato la disciplina che ho poi preteso da insegnante con gli allievi e da direttore con il Paer. Per un coro la disciplina è importante e ci tengo molto, da sempre. Sono cinquant’anni che a fine prova segno ogni assenza sul registro, come a scuola.

Sottolineo che insegnare a cantare è stata la missione di una vita.

Direi anche una passione. Mi ha spinto a studiare per anni come far impostare la voce ai coristi. È un argomento che in coro abbiamo sempre affrontato, perché il corista prima di tutto non deve rovinarsi la voce e poi deve trovare un timbro adeguato. Su questo argomento ho imparato tanto da Antonio Burzoni, ascoltando il suo coro e seguendo i suoi consigli. Ma da lui ho avuto tanto, persino il gregoriano.

Come?

Ho conosciuto il Canto gregoriano grazie a lui.

E ti ricordi com’è andata?

Un giorno, mentre ero a colloquio da lui, ho visto sul tavolo un librone nero: era la prima edizione del Graduale Triplex. L’ho aperto e sono rimasto esterrefatto da quella quantità di segni rossi e neri (i neumi) stampati sopra e sotto ai canti. Burzoni mi ha spiegato lì per lì due o tre cose, citandomi i corsi A.I.S.C.Gre. di Cremona, Nino Albarosa, la Semiologia gregoriana di Eugène Cardine. Il pomeriggio stesso sono andato a Cremona e ho comprato il mio Triplex. A giugno mi sono studiato la Semiologia, a luglio ho frequentato il primo corso.

E ti sei immerso…

Me ne sono innamorato. Ho seguito sette anni di corso, studiando con la prima generazione di maestri (Nino Albarosa, Luigi Agustoni, Johannes B. Goeschl e altri). Con me c’era anche Oreste Schiaffino, già allora corista e oggi direttore della Schola. Ci siamo appassionati così tanto che nel 1984 ho deciso di fondare la Schola gregoriana del Coro Paer. Oreste è parte del gruppo dal primo giorno e dagli anni ‘90 lo dirige. Dieci anni dopo, non pago di medioevo, ho fondato anche una Schola medievale femminile; oggi si è specializzata polifonia medievale, laude, cantigas, musica profana e altro.

 

Pure le due Scholae hanno fatto strada.

Pensa che all’inizio registravo tutte le lezioni dei corsi di Cremona, poi mi trovavo in canonica con gli altri cantori ad ascoltare i nastri, studiando e replicando gli esempi.

Anche in questo caso, fatica e soddisfazioni.

Andiamo fieri dei premi nella categoria Gregoriano al Concorso internazionale di Arezzo: in tre anni vincemmo il terzo, il secondo e il primo premio – in giuria c’erano i massimi gregorianisti di allora. Ma anche dei premi vinti dalla Schola medievale a Quartiano e delle partecipazioni a rassegne di rilievo. Per me, Oreste e le Scholae sono grandi traguardi.

Il Coro Paer nel 1976

Non i soli, aggiungo.

Ne abbiamo avuti altri con il Coro polifonico, come nel 1994 a Riva del Garda: arrivammo secondi per tre centesimi di punto! Ma vincemmo il premio come miglior coro italiano.

E tu, Ugo, come miglior direttore. Insomma, dalle prove in canonica a Riva del Garda, Vittorio Veneto, Arezzo la crescita del coro è stata notevole.

Sì, e quegli anni, gli anni Novanta, sono stati un grande periodo per il Coro Paer, non solo per i concorsi.

Ci sono stati altri episodi memorabili?

Senza dubbio quando abbiamo eseguito la Johannes-Passion di J.S. Bach, nell’aprile 1998. Studiammo come non mai: due prove a settimana per due anni interi. Eravamo in cinquanta, con gli allievi del Liceo Musicale di Parma e l’orchestra Toscanini diretta da Moshe Atzmon. I coristi che c’erano si ricordano ancora i “Kreuzige! Kreuzige!”.

Quindi il Paer nasce con l’amore per la polifonia classica, ma nel tempo si è innamorato anche di altro.

Sì, con i primi paeristi ci siamo trovati proprio per studiare la polifonia, soprattutto Palestrina, Victoria e altri autori classici. Ma periodicamente ci siamo innamorati di altri autori, anche molto diversi tra loro. Ricordo i periodi di Schutz, Bruckner, Poulenc. E poi Gesualdo per cui ho un amore sviscerato. Insomma, Palestrina è sempre presente, ma non è il solo. E diverse occasioni ci hanno spinto ben oltre…

Il Coro Paer e La Reverdie nel 2024 (foto di Cristian Bellini)

Ad esempio?

Abbiamo partecipato a una produzione di Un sopravvissuto a Varvasia di Arnold Schoenberg e all’incisione di Dedica di Giacomo Manzoni nel 1986. Ma nel 1988 abbiamo anche collaborato con Franco Battiato, registrando alcune parti corali per Fisiognomica. Sempre nel 1988, quando incidemmo per l’album Te Deum di Juri Camisasca con Donatella Saccardi, Battiato si mise a cantare in coro di fianco a me.

E il Paer ha avuto esperienze a teatro?

No, non è mai stato il nostro repertorio, ma abbiamo avuto qualche esperienza a fianco della scena. Abbiamo cantato in alcune produzioni di AterBalletto. Poi ricordo un Peer Gynt nel 1980. Eravamo al Teatro S. Carlo di Napoli, con il coro Città di Parma e l’Orchestra Stabile dell’Emilia Romagna diretta da Piero Bellugi. Recitavano Albertazzi, la Toccafondi, Elisabetta Pozzi… Io facevo l’assistente alle luci: mi segnavo tutti i cambi sulla partitura; di fianco a me ogni tanto si sedeva Albertazzi e mi chiedeva “Maestro, sta segnando tutto?”.

Ugo Rolli

Un pensiero conclusivo.

In questi anni la dedizione per il coro è sempre stata grande: io ci ho messo una vita, ma anche i coristi si sono sacrificati molto. Si viene alle prove con neve, pioggia, vento, ghiaccio, per due o tre volte a settimana; tanti vengono da lontano. Vorrei concludere proprio con un grande grazie a tutti i coristi, perché il Coro Paer vive principalmente grazie alla loro partecipazione.

Il Coro Ferdinando Paer

Il Coro Ferdinando Paer nasce nel 1974 a Colorno (Parma). Oggi si compone di tre gruppi corali: coro polifonico, schola gregoriana maschile e schola medievale femminile. Negli anni ha riportato successi sia in concerto che in concorsi.

Ugo Rolli, fondatore e direttore, è diplomato in Contrabbasso al Conservatorio di Parma. Dopo l’attività orchestrale, è stato docente di Esercitazioni corali al Conservatorio e al Liceo musicale di Parma.

Storia completa del Coro Paer, con repertorio e cronologia dell’attività