Foto: Anton Bruckner ritratto da Ferry Beraton (1889, Wien Museum)

Una proposta d’autore per corali liturgiche e amatoriali

Afferma Werner Wolff, biografo di Anton Bruckner: «L’inizio della sua carriera è stato duro e amaro… Ma la musica ha potere magico. Premia i suoi seguaci e rende felici coloro che lottano sinceramente per lei. Ha un potere unificante generale; unisce le persone. Bruckner era così nonostante tutto… Difficile essere nelle sue stesse condizioni alla scrittura della sua prima Messa in do maggiore»1.
Nell’anniversario dei 200 anni della nascita del compositore austriaco Anton Bruckner (Ansfelden, 1824 – Vienna, 1896) sicuramente tante potrebbero essere le proposte corali che ben ne esemplificherebbero lo stile e la vena compositiva. Ma in questa particolare sede si vuole cogliere l’occasione per dare uno spunto di repertorio ad un bacino corale estremamente ampio. L’opera presa in considerazione è la Messa in do maggiore WAB 25 denominata dall’autore Choral Messe (la prima delle tre messe giovanili), e nota come Windhaager Messe dal nome della città in cui Bruckner si trovava al momento della sua composizione.
Nel 1841, all’età di 16 anni, Anton Bruckner completò la sua formazione come assistente scolastico e iniziò il suo primo lavoro a Windhaag, nell’Alta Austria. Sicuramente le aspettative su ciò che il piccolo comune ai confini della selva boema avrebbero potuto offrirgli non furono alte, ma le reali condizioni furono sicuramente molto peggiori di quanto avesse immaginato. Sempre Werner Wolff ci restituisce una condizione piuttosto pietosa della posizione di assistente scolastico a quel tempo: «uno stipendio di pochi fiorini, una stanza povera, cibo scarso, molto lavoro, a volte umile». Oltre alle quotidiane attività che il ruolo scolastico comportava, al giovane Bruckner vennero affidati gli incarichi di organista presso la chiesa del villaggio e la guida del coro locale, oltre ai compiti di sacrestano, che includevano il dover suonare le campane fin dalle primissime ore del mattino. Se tutto questo non fosse già sufficiente, troviamo nelle sue notizie biografiche ulteriori lavori alquanto lontani da ciò che troveremmo adeguato ad una figura di ‘maestro dotto’: lavori nei campi, raccogliere patate e trebbiare il grano.
È in questo clima che nasce la sua prima Messa, dedicata ad Anna Maria Jobst, solista del coro della chiesa, la cui voce probabilmente ispirò Bruckner a comporla. L’opera si presenta come una sintesi della professione di insegnante e di organista operante durante il servizio liturgico, non suggerendo sicuramente alcuna ambizione artistica, quanto proponendo invece un lavoro allo stesso tempo funzionale e didattico. Scritta per contralto, organo e due corni, ma già pensata dall’autore per l’esecuzione alternata fra coro all’unisono e voce solista, le parti fisse della comune liturgia della Messa sono rese con una struttura estremamente semplice, ma efficace. Dal punto di vista compositivo l’organo si presenta principalmente come sostegno armonico al canto, quasi totalmente raddoppiato, e la parte dei corni funge unicamente da nota di colore e rafforzo in taluni punti, mentre la scrittura per voce di contralto genera una linea vocale dalla tessitura centrale, senza eccessi ovviamente nel registro acuto ma nemmeno in quello grave.
Nella pur estrema semplicità della forma si notano elementi di interesse, quali una certa consapevole attenzione alla drammaticità del testo e modulazioni talvolta ardite, sicuramente non di convenzionale facilità, verso tonalità lontane.

Il Kyrie si sviluppa in 32 battute, proponendo una pia e accorata melodia molto vicina al canto gregoriano, principalmente costruita sul declamato, che acquista particolare enfasi nelle continue oscillazioni tra tonalità maggiore e minore (seguendo l’alternanza tra Kyrie eleison e Christe eleison).

Nel Sanctus e Benedictus troviamo già nel manoscritto l’idea dell’autore di eseguire le due parti alternando coro e voce solista. Questa distinzione effettivamente accresce l’efficacia del brano, che vede per il Sanctus (esteso per 20 misure) un andamento piuttosto solenne e rigoroso, contrapposto in maniera piuttosto netta (anche a causa di un cambio di tonalità a mi bemolle maggiore non preparato) al Benedictus, che si presenta invece come un cantabile dal respiro più lirico e intimo, basato principalmente su scale discendenti e progressioni.

L’Agnus Dei (33 battute) trova la sua forza espressiva nell’intensificarsi delle modulazioni armoniche e nell’innalzarsi della linea vocale verso l’acuto in concomitanza delle ripetizioni dell’invocazione e del miserere nobis, creando notevole pathos.
Infine, è bene spendere alcune parole sugli importanti movimenti del Gloria e del Credo, volutamente qui analizzati in ultimi. Usanza diffusa nella prima metà del XIX secolo, soprattutto nelle zone periferiche e rurali, era quella di eseguire queste parti ‘tagliando’ diverse sezioni rispetto all’ampio testo previsto, accorciando le esecuzioni delle messe cantate e rendendole molto più scorrevoli.
Il Gloria è costituito da 60 battute; vi troviamo un grande uso dell’unisono alternato all’accompagnamento più ricco dell’organo e una melodia caratterizzata da perentori intervalli di quinta e ottava, il tutto per conferire grande rigore e drammaticità al testo. Per il motivo notato sopra, il Gloria risulta mancante dei versi Domine Fili unigenite, Jesu Christe, Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.

Il Credo è il movimento a presentare i tagli più vistosi: sono assenti infatti le intere porzioni di testo Et in unum Dominum Jesum Christum, Filium Dei Unigenitum. Et ex Patre natum ante omnia saecula. Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero. Genitum, non factum, consubstantialem Patri: per quem omnia facta sunt, ed Et iterum venturus est cum gloria, judicare vivos et mortuos, cuius regni non erit finis. Et in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem: qui ex Patre Filioque procedit. Qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur: qui locutus est per prophetas. Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum. Et exspecto resurrectionem mortuorum. L’assenza di queste sezioni piuttosto corpose ne semplifica – ed allo stesso tempo limita molto – la struttura e la possibile resa musicale, togliendo, come è ben facile immaginare, la possibilità di ulteriori soluzioni dagli accenti drammatici.

Principalmente per sopperire ai tagli applicati in fase di gestazione e per poter quindi utilizzare compiutamente la musica di questa Messa all’interno della liturgia, nel 1927 Kajetan Schmidinger e Joseph Messner ne realizzarono un arrangiamento per coro misto a quattro parti, quintetto d’archi, due corni e organo. In questo caso le parti mancanti del Gloria e del Credo vennero musicate ex novo, completando così i movimenti. Per quanto vi si ispiri, questo arrangiamento è da intendersi come un rimaneggiamento che ben poco ha a che vedere con l’opera di Bruckner, pur mantenendo una forma e carattere assolutamente coerente con il testo originale.
Se per il Credo non ci sono altre soluzioni per poterlo eseguire completo all’interno della liturgia, nel caso del Gloria si è proposta anche una seconda strada: essendo le parti mancanti più ridotte e con struttura metrica simile, è possibile ripetere le battute 21-35 (corrispondenti ai versi Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam, Domine Deus, Rex cælestis, Deus Pater omnipotens) sostituendo al testo i versetti altrimenti mancanti. Una soluzione che, per quanto artificiosa, rimane certamente più coerente. La scelta di dedicare spazio alla Windhaager Messe significa offrire una proposta pratica alle corali amatoriali che svolgono il proprio operato sia in ambito liturgico che concertistico, senza escludere le realtà corali che affrontano di rado il repertorio classico, che magari si possono definire ‘alle prime armi’. La Messa di Bruckner può infatti essere adottata come ‘proposta d’autore’ da eseguirsi all’interno di una liturgia (ben sapendo che il Credo ormai non viene più cantato, bensì recitato dalla totalità dell’Assemblea, eliminando così il problema delle mancanze testuali), che come valida proposta di repertorio concertistico.

Werner Wolff, Anton Bruckner. Rustic Genius (1942)

Già la genesi compositiva di questo lavoro dimostra oltre ad uno scopo funzionale anche quello didattico, obbligando gli esecutori, al fine di studiarla, a lavorare su numerosi aspetti musicali che è bene non trascurare nel canto corale.
La perfetta intonazione dell’unisono e degli intervalli (siano essi ampi o per grado congiunto), la gestione di interventi più cantabili o melismatici e delle scale discendenti: sono tutti elementi a cui doversi necessariamente dedicare per una buona e corretta esecuzione dell’opera, senza tralasciare altri aspetti altrettanto importanti come la vocalità e il suono, qui aiutati dalla tessitura centrale (che rende questa Messa affrontabile da parte di cori di vario livello).

L’attenzione che si è voluta riservare a questo lavoro di Anton Bruckner, sicuramente modesto, non trova quindi giustificazione solo nel fatto che si tratti della prima composizione in forma di Messa in cui presagire il suo genio compositivo, ma anche e soprattutto per riproporla esattamente secondo gli scopi per cui venne ideata, validi oggi come allora.

Windhaag bei Freistadt (Austria), Chiesa parrocchiale di S. Stefano (Wikipedia)

1. Questa e la citazione seguente sono tratte da Werner Wolff, Anton Bruckner. Rustic genius, New York, Dutton & Co., 1942.