Per il risveglio delle energie vitali di anziani e malati Alzheimer
La Musicoterapia Umanistica applicata ad anziani e a malati di demenza Alzheimer prende le mosse dal riconoscimento dell’unicità di ogni persona umana e del valore e della significatività che ogni vita rappresenta, anche quella vicina all’età della morte e quella colpita da malattie devastanti come l’Alzheimer. L’invecchiamento porta con sé tutta una serie di problematiche che possono creare difficoltà, disagio e sofferenza alla persona, accelerando così il decadimento e il deterioramento fisico, mentale e psicologico. Se a questo si aggiunge il ricovero in istituti e residenze protette, la situazione si può complicare ulteriormente: si possono verificare, allora, condizioni di calo vitale, di apatia, depressione, relazioni conflittuali e di tensioni tra gli ospiti e il personale che li assiste. In questa situazione la musica, e la musicoterapia in particolare, sono un intervento di sostegno (preventivo, riabilitativo e/o terapeutico) alle difficoltà di chi vive le problematiche dell’invecchiamento associate a quelle del ricovero. La musica, infatti, può offrire alle persone anziane un valido aiuto perché allontana la depressione, la noia, l’ansia, l’insicurezza, la svalutazione di sé, e aiuta a recuperare le capacità intellettive e affettive.
Scopo centrale della musicoterapia: “risvegliare” il gruppo di anziani e malati ricoverati, riattivarne le energie sopite, aprire canali di comunicazione che permettano di accedere alle proprie risorse nascoste, di riattivare le funzioni intellettive, fisiche e affettive residue, di favorire una migliore sintonia con l’ambiente e migliorare, pertanto la qualità di vita. La musicoterapia, come forma di terapia riattivante, oltre a rappresentare un’esperienza privilegiata di ascolto della sofferenza, funziona come un contenimento, una rassicurazione, e un sostegno laddove la persona vive e “sente” la sua esperienza come una perdita delle coordinate spaziali, temporali ed affettive.
Nelle persone malate Alzheimer la risposta alla musica si conserva anche quando la demenza è molto avanzata: la musica può determinare miglioramenti dell’umore, del comportamento e perfino della funzione cognitiva. Per questi malati, per quanto persi nella demenza, la musica è una «necessità, e può avere un potere superiore a qualsiasi altra cosa nel restituirli, seppure soltanto per poco, a se stessi e agli altri»1. Gli stessi malati sottolineano gli effetti benefici del fare musica assieme e il potere della musica di “dare nuova vita” o di “rifare nuove” le persone, destando in loro la vitalità e la volontà di vivere.
In genere l’intervento di musicoterapia con anziani si attua in residenze protette e centri diurni per malati Alzheimer. Il lavoro è di gruppo (piccoli gruppi da 5 a 10 unità per malati di demenza) ma all’interno del gruppo è comunque possibile attuare interventi individuali. La frequenza degli incontri è di uno o due a settimana, per la durata di un’ora o un’ora e mezzo, a seconda delle esigenze e dei bisogni delle persone e della gravità della malattia di demenza.
Un programma di lavoro di musicoterapia prevede molteplici attività musicali per andare incontro alle esigenze e ai bisogni di ogni persona che frequenta il piccolo gruppo. Nel lavoro vengono integrate tecniche attive e ricettive, tra cui: il canto di canzoni del repertorio della musica leggera e popolare, l’ascolto di brani musicali, l’associazione musica/movimento, l’improvvisazione strumentale. Queste attività musicali (integrate anche da terapia del ricordo e da attività extra-musicali) vengono usate singolarmente o in combinazione tra loro, a seconda dei soggetti, dei loro bisogni e degli obbiettivi da perseguire. Per quanto riguarda l’atto del cantare canzoni, la prestazione della memoria della persona anziana ed anche di quella malata di demenza Alzheimer può migliorare nettamente. Tale miglioramento riguarda soprattutto il materiale cantato rispetto a quello parlato: persone che non sono più capaci di parlare coerentemente, infatti, possono essere in grado di cantare abbastanza correttamente le strofe di canzoni conosciute.
Nella nostra esperienza ormai trentennale abbiamo visto e udito come molti anziani riescano a ricordare perfettamente le singole parole, le frasi o un intero testo di canzoni, sia declinandole in modo parlato, sia cantandole. In certi casi, laddove la memoria e il ricordo sembravano vacillare o venire meno, l’anziano smetteva di cantare (come se durante il canto svanissero le parole della canzone) e ricercava le parole recitandone in modo cantilenante o ritmico la struttura del testo, favorendo spesso con successo il recupero del testo parlato. In altri casi, invece, si verificava spontaneamente l’accesso alle parole favorito dal cantare. Questo forse ci informa sulla diversa modalità di recupero di un materiale a seconda della tipologia delle persone.
Questo materiale canoro e canzonettistico è accostabile ad altri materiali imparati nelle fasi precoci della vita dall’individuo anziano, come ad esempio, preghiere, filastrocche, cantilene, ninnenanne, scioglilingua. È molto frequente la recita di questo materiale durante incontri di musicoterapia, quasi che l’atmosfera creatasi nell’incontro predisponga l’emersione di tale materiale, forse anche per una sorta di somiglianza e di accostamento di esso alla musica.
Sembrerebbe che il materiale canoro recitato e cantato sia direttamente riconducibile al periodo dell’infanzia e della giovinezza di colui che cantava: si tratterebbe di un materiale appreso in una fase della vita dove giocava l’apprendimento e la motivazione e impressosi in modo permanente; allo stesso tempo, sembrerebbero entrare in gioco le funzioni dell’emisfero destro, di carattere evocativo: la lingua dell’immagine, della metafora, della pars pro toto, della globalità; la lingua del pensiero indiretto che ha alla base i sogni, le fantasie, le vicende del mondo interiore, con le sue illogiche regole che si esprimono nello scherzo, nel gioco di parole2. Lavorando con le canzoni con malati d’Alzheimer emerge come dato di fatto un miglioramento delle prestazioni della memoria per quanto riguarda il materiale cantato rispetto a quello parlato: a fronte di una facoltà del parlare coerente molto colpita, permane o è molto meno colpita la capacità di cantare abbastanza correttamente le strofe di canzoni conosciute. Cosa significherebbe questo?
1) Innanzitutto che tali malati ricordano un materiale appreso da giovanissimi, nelle fasi precoci dell’apprendimento in cui erano molto motivati.
2) In secondo luogo, che tale materiale apparteneva sicuramente ad un ricordo piacevole, in grado non solo di stimolare il pensiero e la parola, ma anche di influire positivamente sull’affettività: i ricordi connotati emotivamente consentono alle persone di coinvolgersi emotivamente nel ricordo e di riprovare le stesse emozioni vissute nel passato3.
3) Tale materiale “familiare” dimenticato o abbandonato da molti anni viene recuperato, così come si recuperano con facilità le competenze relative alla memoria procedurale come il muoversi su stimolo musicale e la pratica del ballare.
Con i malati d’Alzheimer, poi, è importante continuare a cantare e a farli cantare, mantenere lo stimolo canoro, perché attraverso il cantare passa sempre la relazione: un canto è fatto di musica e parole, ma anche di contatti con lo sguardo, con il tatto; un canto viene condiviso e si può dialogare assieme; il cantare è fatto anche di sintonia e di complicità. Fin quando cantare? Perché la persona comincia a perdere colpi: tralascia parole, perde pezzi importanti della struttura della frase, antepone parole o intere frasi perdendo la sequenza originale, scambia le parole… Nonostante questa ‘perdita di pezzi’ la persona malata d’Alzheimer, se incoraggiata, può sempre cantare, e nonostante non abbia più la capacità di mantenere informazioni e dati di carattere linguistico, conserva ugualmente una buona memoria musicale che le consente di riconoscere la melodia di molti brani. Il riconoscimento di una melodia implica piacere, anzi, compiacimento in quanto c’è relazione tra i diversi soggetti che cantano e che provano piacere insieme a farlo; e inoltre, significa anche “familiarità”: è un sentirsi a casa, in un ambiente conosciuto e quindi rassicurante.
A fronte di una perdita generalizzata di coordinate spaziali temporali e affettive, il cantare canti conosciuti tranquillizza e rasserena: per il malato di demenza significa sentirsi a proprio agio, integri, con un senso di identità. Cantare una canzone, che il malato ne abbia consapevolezza o no è ritrovare integrità, non sentirsi frantumato al proprio interno: il cantare, infatti, favorisce l’integrazione e l’armonizzazione dell’io e delle sue funzioni.
1. Oliver Sacks, Musicofilia. Racconti sulla musica e il cervello, Milano, Adelphi, 2008, p. 393.
2. Cfr. Paul Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica, Milano, Feltrinelli, 1991.
3. Cfr. Joseph E. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle radici delle emozioni, Milano, Baldini & Castoldi, 1998.
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