Foto: Martin Lutero affigge le sue 95 Tesi al portone della Schlosskirche di Wittenberg il 31 ottobre 1517 (xilografia colorata ottocentesca)
Dal corale luterano all’oratorio Membra Jesu nostri di Buxtehude
È straordinario come l’interno di una chiesa protestante sia ‘autoesplicativo’ della sua dottrina: uno spazio spoglio, privo di qualsiasi frivolezza e ornamento (poiché ogni cosa visibile può indurre in tentazione e diventare un idolo), e in cui due sono i punti focali: il pulpito e l’organo. Essi, infatti, svolgevano un’azione complementare per Lutero, che pose come centro nevralgico della liturgia il commento alle Sacre Scritture e la partecipazione più genuina dei fedeli ai riti sacri.
Nonostante la molteplicità dei movimenti riformistici attivi in quell’epoca, Lutero si distingue anche perché non solo ‘tollera’ la musica, ma la ritiene anzi una fondamentale alleata all’edificazione spirituale; altri teologi riformatori, come Calvino (1509-1564) e Zwingli (1484-1531), tentarono invece di circoscriverne radicalmente il ruolo all’interno della liturgia, limitandolo al canto corale dei salmi tradotti in lingua volgare e all’unisono, su melodie a volte di nuova composizione, a volte attinte da repertori più antichi. In particolare, pur coltivandola personalmente e considerandola di fondamentale importanza nell’educazione dei Pastori, Zwingli era talmente convinto della necessità di dover ridurre lo spazio occupato dalla musica liturgica (vista come una fonte di distrazione) da proibirla completamente durante il rito, sia vocale che strumentale, e durante gli anni della sua attività si ha addirittura notizia di organi completamente smantellati. In ogni caso, non deve stupire l’atteggiamento di Lutero verso la musica, arte che lui stesso, in uno dei suoi Tischreden (‘discorsi a tavola’) definisce seconda solo alla teologia; Lutero infatti non era un monaco qualsiasi, bensì un monaco agostiniano, e Agostino, riferimento assoluto di teologia non solo per la Chiesa cristiana ma per l’intera civiltà occidentale, tratta approfonditamente della musica nelle sue Confessioni, dove definisce il linguaggio musicale una pedagogia ‘lenta e paziente’, e comparando l’esperienza musicale ad una di tipo estetico.
Lucas Cranach il Vecchio, ritratto di Martin Lutero, 1528
‘Prendi un canto, trattalo male’: le principali caratteristiche del corale luterano
Il corale è senza dubbio l’emblema del canto liturgico protestante: intonato da celebranti, coro (se presente) e assemblea, il corale è un brano strofico costituito da una melodia estremamente semplice e con ripetizioni nella struttura, eseguibile anche semplicemente all’unisono da tutti i presenti ma spesso arricchito da un arrangiamento a quattro voci (in cui il tema occupa tipicamente la parte più acuta, rimanendo così perfettamente riconoscibile).
Considerando la musica come un mezzo, Lutero si era presto reso conto che, ‘fatta la chiesa’, bisognava occuparsi anche di una ‘nuova’ musica da impiegare nella liturgia protestante; i requisiti che doveva soddisfare non erano molti: innanzitutto doveva essere in lingua volgare, comprensibile da molte più persone rispetto al latino (anche se la lingua ufficiale della Chiesa di Roma non scomparve immediatamente dal repertorio dei paesi riformati); doveva poi essere facilmente memorizzabile ma, ancora meglio, si poteva utilizzare una melodia già conosciuta e amata dalla popolazione – ad esempio, un inno gregoriano molto noto o un canto popolare. In quest’ultimo caso sarà sufficiente sostituire il testo profano con uno sacro, rendendolo così christlich corrigiert (‘cristianamente corretto’) e realizzando quello che in gergo musicologico si definisce contrafactum. Più che di “nuova musica”, nel caso di Lutero, sarebbe quindi meglio parlare di musica “abilmente modificata”. Diversi sono i contrafacta famosi. Un caso celebre è la melodia popolare Mein G’muth ist mir verwirret (‘La mia mente è confusa [da una bella ragazza]’) di Hans Leo Hassler1, pubblicata nel 1601 e il cui testo cantato subisce successivamente diverse sostituzioni: essa si trasforma in
• Herzlich tut mir verlangen (‘Il mio cuore langue di desiderio’), ad opera del teologo Cristoph Knoll, divenendo uno Sterbelied, ossia un canto per accompagnare la serena dipartita dell’anima dal corpo;
• O Haupt voll Blut and Wunden (‘O capo coperto di sangue e ferite’), il cui testo è una traduzione tedesca ad opera del poeta e teologo Paul Gerhardt (1656) della parte finale (Salve caput cruentatum) del lungo poema medievale di meditazione mistica Salve mundi salutare; il poema era in origine diviso in sette parti, una per ciascuna delle parti del corpo di Cristo crocifisso (piedi, ginocchia, mani, costato, torace, cuore e testa)2. La melodia del corale, con o senza il testo di Gerhardt, godette di enorme popolarità e venne arrangiata in polifonia da moltissimi compositori, fra cui Dietrich Buxtehude nell’oratorio Membra Jesu nostri, diviso in sette cantate sempre per seguire l’impianto del poema Salve mundi salutare e rispecchiando le parti del corpo di Cristo (ciascuna delle cantate è poi ulteriormente suddivisa in sonate, concerti e arie).
Ancora, O Haupt voll Blut and Wunden risuona nella celebre Passione secondo Matteo di Bach, dove è presente più volte in varie tonalità (l’ultima è posizionata subito dopo che il Cristo è spirato); la melodia si presenta proponendo via via diverse stanze della traduzione di Gerhardt, e se si considera che in un’occasione ne vengono cantate due strofe invece di una sola, in totale la melodia di questo corale – nato più di 120 anni prima come canto profano – viene cantata sette volte, numero come abbiamo visto altamente simbolico.
Il corale Vom Himmel hoch in un’edizione a stampa del 1567 (Digital Image Archive, Pitts Theology Library, Candler School of Theology, Emory University)
Il corale Vom Himmel hoch
Un altro corale a cui la sorte donò grande popolarità è Vom Himmel hoch (‘Vengo dall’alto dei cieli’). Il testo fu composto probabilmente dallo stesso Lutero la sera della vigilia di Natale del 1534 (o 1535); quanto alla melodia, ricorrendo allo stesso metodo che permetteva di trasformare canzoni popolari anche licenziose in inni e corali di argomento sacro, Lutero fece della canzone Ich kumm aus frembden Landen her und bringt auch viel der neuen Mär (‘Vengo da Paesi stranieri; portate a molti la nuova notizia’) un rifacimento appunto natalizio, che manteneva anche parte del testo tedesco originale ma convertendolo in senso spirituale: Vom Himmel hoch, da komm ich her, ich bringe euch gute, neue Mär (‘Vengo dall’alto dei Cieli, portandovi la buona nuova notizia’).
Tuttavia, la fortuna del brano deriva principalmente dall’inserimento di questo corale da parte di Bach nel suo Oratorio di Natale (Weihnachtsoratorium)3, un’opera che ricorre più volte al reimpiego di musica precedente con nuovo testo, anche attingendola da altre cantate sacre dello stesso compositore (come i cori della prima, terza e quarta parte dell’Oratorio, che ripropongono brani delle Cantate BWV 213 Hercules auf dem Scheidewege e BWV 214 Tönet, ihr Pauken!). L’Oratorio, inoltre, utilizza numerosi testi del già citato Paul Gerhardt: nella prima parte, dopo il raffinato coro iniziale (Jauchzet, frohlocket! Auf, preiset die Tage, ‘Esultate, gioite! Glorificate i giorni’), con fiorite imitazioni sulle parole Lasset das Zagen, verbannet die Klage, nel V movimento ecco la melodia di O Haupt voll Blut and Wunden sulle parole Wie soll ich dich empfangen (‘Come devo riceverti’) di mano di Gerhardt4. Nel IX movimento troviamo infine la delicata melodia del corale Vom Himmel hoch, intonata sul testo della tredicesima strofa Ach, mein herzliebes Jesulein!.
Buxtehude e il primo oratorio luterano
Il già citato oratorio Membra Jesu nostri ha una struttura complessa e sofisticata, e viene considerato il primo oratorio di ambiente luterano. Dietrich Buxtehude (1637-1707) lo compone nel 1680 dedicandolo a Gustaf Düben, maestro di cappella e organista della chiesa tedesca di Stoccolma5.
Come vedremo più avanti, la prospettiva ideata da Buxtehude immagina il fruitore della sua opera come un penitente inginocchiato davanti al Cristo crocifisso, partendo dai piedi alle ginocchia, alle mani, al costato, al petto, il cuore e solo infine alzando gli occhi al volto. La struttura è simile in ciascuna delle sette cantate che compongono l’oratorio: i passaggi biblici tratti dall’Antico Testamento sono affidati al coro, e fanno da ‘separatori’ tra le arie vere e proprie; queste sono invece tratte dalle strofe del citato poema Salve mundi salutare, ulteriormente separate fra loro da ritornelli strumentali eseguiti dall’orchestra. La maggior parte delle cantate utilizzano lo stesso organico sia vocale sia strumentale (cinque voci, due violini, un violone e il basso continuo), eccezion fatta per la quinta e la sesta cantata (a tre voci); nella sesta l’organico strumentale è sostituito da un quintetto di viole da gamba.
Guida all’ascolto di Membra Jesu nostri
I – La prima cantata del ciclo, Ad pedes, è l’elemento motore di tutto l’oratorio, e ne espone la circolarità della composizione stilistica, formata dalla struttura sonata – coro – aria 1 – aria 2 – aria 3 – coro.
La prima parola del testo cantato, Ecce (fig. 5), è evidenziata dalla tonalità di do minore, che conferisce alla narrazione un tono drammatico e solenne. Un’altra figura retorica impiegata con raffinatezza è l’anabasi (ossia una melodia ascendente) per Ecce super montes nel primo coro e ad te clamo nell’aria del basso solo, realizzata con una serie di note veloci che dipingono lo sguardo del fedele prima verso le vette, poi rivolto a Cristo sulla Croce, nonché a Dio padre in Paradiso. Per simmetria, ne repellas me indignum, nella calda e avvolgente voce del basso, presenta una catabasi (profilo discendente), per meglio ricordare al fedele che il suo punto di vista nell’oratorio coincide con quello di un umile peccatore in ginocchio. La prima cantata si conclude in tonalità maggiore, come a preannunciare la gloria della vittoria di Cristo sulla morte.
II – La seconda cantata, Ad genua, introduce il simbolismo trinitario che sarà presente anche nei movimenti successivi: il passo ad ubera portabimini et super genua blandicetur vobis viene infatti ripetuto tre volte, e la terza aria della cantata (Ut te quaeram mente pura) è a tre voci (due soprani e basso).
Alla battuta 81 dell’aria del tenore si nota un’altra curiosa figura retorico-musicale, l’ipotiposi, ossia una rappresentazione vivida, diretta ed immediata della parola da musicare: in questo caso l’ipotiposi descrive l’instabilità delle ginocchia del Cristo tramite una serie di note veloci (semicrome); le stesse semicrome verranno poi riprese nella seconda aria per la parola dupla (‘doppia’), riferito alla morte sia fisica che spirituale, forse reiterando l’idea che proprio le ginocchia malferme del Salvatore ci salveranno da una morte duplice. Con la stessa intenzione descrittiva, la sonata strumentale d’apertura è significativamente intitolata Sonata in tremulo.
III – Nella terza cantata, Ad manus, il sangue di Cristo viene interpretato, nell’ottica del misticismo molto in voga nella Germania luterana, come un mezzo di trasmissione dell’amore divino verso tutti i fedeli. A questa interpretazione si prestano sia il testo di Arnolfo di Lovanio che il versetto di Zaccaria, Quid sunt plagae istae in medio manuum tuarum? (‘Cosa sono queste piaghe nel mezzo delle tue mani?’, Zaccaria, 13,6). Il coro iniziale è tripartito, creando la struttura simmetrica ABA; ogni episodio presenta una parte a poche voci (Quid sunt plagae istae) e una parte a tutti che completa il versetto; in totale la domanda sulle piaghe viene reiterata sei volte. L’uso, soprattutto nella prima e nella seconda aria, dell’armonia consonante (cioè priva di dissonanze o tensioni armoniche) trasmette una sensazione di pace e tranquillità che, però, non ha corrispondenza nella sezione strumentale che utilizza sospensioni ripetute, cromatismi, e armonie sorprendenti. Il testo della cantata è organizzato in due parti: la prima concentra la propria attenzione sui chiodi e sulle loro caratteristiche, la seconda tratta del languore intriso di cordoglio e sensi di colpa. Anche qui è presente un gioco retorico: la parola fatigatus nell’aria del soprano Salve Jesu pastor bone è allungata nello stesso modo di ‘gemendo’, presentando un melisma identico poiché i due termini appartengono allo stesso immaginario emotivo.
Fig. 5 – Buxtehude, Membra Jesu nostri, cantata n. 1, batt. 14-18 (ed. Martin Straeten, 2009)
IV – Nella quarta parte Ad latus, nonostante il testo biblico (Cantico dei Cantici, 2:13-14) possa far intuire che il tema sia l’equazione ‘amore divino – amore fisico’, secondo la musicologa americana Kerala J. Snyder in realtà simboleggia lo spirito del peccatore che entra fisicamente nel costato di Cristo.
In più, questa quarta cantata è sviluppata in modo differente da tutte le altre: l’introduzione strumentale è vivace e dinamica, quasi ballabile, e poco dopo il coro intona con fiducia Surge, amica mea (‘alzati, mia amata’), come ulteriore promemoria del coronamento del sacrificio del signore. Il secondo coro Surge, surge amica mea presenta un cambio di tempo rispetto alla parte strumentale che era impostata in 6/4, diventando in 3/2 e segnando così ancora una volta la presenza di un tema sacro secondo l’analogia tempo ternario – figura trinitaria. Inoltre, il ritornello strumentale di Ad latus è quasi identico al ritornello di Ad manus.
V – Nella quinta, Ad pectus, Buxtehude si sofferma sull’immagine del seno femminile interpretandola come forma di conforto e di cibo, paragonando l’uomo in cerca di ‘latte spirituale’ al bambino che in seno alla madre cerca il latte materno. Un repentino cambio di tempo avviene in coincidenza di ut in eo crescatis in salutem, interrompendo la precedente struttura contrappuntistica; un passaggio omofonico viene riservato al delicato passo quoniam dulcis est Dominus. Ripetendo il tema della sonata iniziale, nella prima aria, le parole Jesu dulcis, amor meus simboleggiano il latte che dal petto di Gesù nutre la sua chiesa. La figura retorica già vista prima, l’ipotiposi, è presente anche qui nella parola tremore, che viene ripetuta con diversi abbellimenti in note veloci frazionate da pause (cfr. fig. 6).
Fig. 6 – Buxtehude, Membra Jesu nostri, cantata n. 5, batt. 71-82 (ed. Martin Straeten, 2009)
VI – La sesta cantata, Ad cor, è il vero ‘cuore’ di tutta l’opera. All’inizio vi è un variopinto susseguirsi di parti lente e veloci (adagio, allegro), per continuare con la sezione a tre voci Vulnerasti cor meum. L’organico è diverso rispetto alla formazione precedente ed è costituito da cinque viole da gamba; il numero cinque dovrebbe rappresentare l’umanità, dotata di cinque sensi, oppure attraverso le cinque parti del corpo.
Questa cantata è inoltre l’unica a presentare un ritornello con stile concertante (Viva cordis voce clamo), dove il basso dialoga direttamente con le viole da gamba. Nelle ultime battute il coro ripete sommessamente cor, cor meum, mentre le viole da gamba diminuiscono via via il volume suonando sempre più piano.
VII – La settima e ultima cantata, Ad faciem, non costituisce solo il vertice nevralgico dell’opera: la sublima e al contempo la conclude circolarmente tornando alla tonalità iniziale di do minore. È sia la vetta che una summa delle tecniche di composizione musicale allora in uso, al servizio della devozione del pietismo luterano.
In questo capolavoro contrappunto e scrittura vocale, ‘servi della parola’, si intrecciano, a simboleggiare la transizione estetica in atto a quel tempo nello spirito tedesco.
1. Hans Leo Hassler (1564-1612), originario di Norimberga, a Venezia fu allievo di Andrea Gabrieli e amico del nipote Giovanni.
2. Il poema fu in origine attribuito a Bernardo di Clairvaux, mentre attualmente l’autore è identificato nell’abate cistercense Arnolfo di Lovanio (1200-1250).
3. Nella prolifica produzione sacra di Bach le opere riconducibili al genere oratoriale sono tre: l’Oratorio di Natale (composto nel 1734), l’Oratorio di Pasqua (1725) e l’Oratorio dell’Ascensione (1735).
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