Il padre di Stelutis Alpinis

P rima di capire chi fu mio nonno materno Arturo Zardini (1869-1923), del quale ricorre quest’anno il centenario dalla morte, è meglio fare un quadro sull’ambiente in cui nacque e visse sino alla sua prematura morte, cioè sulla Pontebba e Pontafel che fin dalla notte dei tempi furono il confine tra due popoli diversi per storia e cultura: quello friulano/italico e quello carinziano/asburgico. Già dai tempi del Patriarcato di Aquileia il confine arrivava sino al torrente Pontebbana, mentre dalla sponda opposta iniziava il territorio sotto il dominio di Bamberg. I rapporti tra i due popoli, salvo qualche periodo, furono buoni e specie nelle calamità il soccorso era reciproco, e i matrimoni misti non erano infrequenti.

Zardini a Modena, circa 1898

Arturo Zardini nacque a Pontebba (UD) il 9 novembre 1869 da Antonio e Khatarina Gortani: la madre era nativa di Malborghet (allora Austria) e il padre proveniva da Cormons (GO). All’età di 7 anni fu mandato alle scuole primarie comunali del paese, dove frequentò solo le prime tre classi con il maestro don Rodolfo Tessitori, che era anche cappellano del luogo. Fin da piccolo dimostrò una spiccata sensibilità musicale ed una eccezionale passione per la cornetta. Il primo direttore di banda che Zardini conobbe fu il Kolbe. Fu questi che, notando nel fanciullo tanta predisposizione per la musica, gli impartì le prime cognizioni, chiamandolo quindi a far parte della sua banda come allievo cornettista.

Confine austriaco di Pontafel (dal 1919 diventa Pontebba)

Verso i 15 anni emigrò in Austria, ritornò a Pontebba nel 1887 a diciotto anni; nel 1888 si arruolò nel Regio Esercito e venne destinato, come allievo cornettista, nella banda del 36° Reggimento Fanteria di stanza a Modena. La sua preparazione specifica poté così iniziare regolarmente, ed in breve tempo assunse nella banda militare il ruolo di primo cornettista. «Quando portava alla bocca la tromba, era formidabile», ricordavano i coetanei.  L’autorità militare infatti, notate le sue capacità eccezionali, dopo averlo nominato nel 1893 sotto capomusica, lo manda all’Istituto musicale di Alessandria, dove frequenta un corso quadriennale di armonia e contrappunto sotto la guida del maestro Cicognani. Successivamente, rientrato al corpo, viene iscritto ad un corso annuale di perfezionamento presso il Liceo Musicale Rossini di Pesaro. Fu Cicognani a presentarlo, quale uno dei suoi migliori allievi, all’esame di licenza di Strumentazione per Banda nell’agosto 1899. Ebbe esaminatore il maestro Giuseppe Perosi, padre del grande Lorenzo Perosi e venne abilitato all’esercizio della professione il 15 agosto 1899 ottenendo il diploma di Direttore di Banda. Poté così finalmente «avendo tutte le carte in regola» essere nominato Capo musica di banda militare presso il suo 36° Reggimento Fanteria «Pistoia». Arturo ricordava poi sempre con affetto il suo maestro e l’Esaminatore, come coloro che l’avevano assai benevolmente incoraggiato nell’arte. In un concorso Musicale del 1901 indetto dalla Società Artistica Musicale Diritto e Giustizia di Palermo otteneva un diploma di I grado con medaglia d’argento per una sonata a soli archi. Lasciata la vita militare, ritor-nò nella nativa Pontebba, e nel suo tinello, seduto al pianoforte, si ispirava a musica varia: dalla religiosa (aveva composto una bella messa, che oggi non esiste più) alle marce, alle canzoni, alle classiche e patetiche villotte. Prese parte anche a concorsi di musica, nei quali aborriva dall’esercitare pressioni; ebbe lettere di congratulazioni dal Re, esortazioni a farsi conoscere, a mettersi in vi-sta; ma volle rimanere tranquil-lo con la sua musica. Nel 1902, per onorare una promessa di matrimonio, si congeda dall’esercito con il grado di Furier Maggiore (Maresciallo Maggiore) rientra a Pontebba e poco dopo viene assunto come applicato all’anagrafe comunale. Subito diventa motore trainante del paese e nello stesso anno costituisce il primo coro con statuto del Friuli, un coro che porterà allo splendore (con una uscita anche internazionale), e che nel 1911 si esibì con successo a Tarvis (allora Austria). Il 18 febbraio 1903 mantenne fede alla promessa e sposò Maria Nassimbeni; il 9 dicembre dello stesso anno nacque Angelina Caterina Eva che, a nemmeno un anno di vita, il 10 ottobre 1904 morì. Il dolore dei genitori fu davvero grande; ma le disgrazie non finirono lì, perché la madre Maria, già malata di tisi (Arturo ne era stato sempre a conoscenza), seguì la figlioletta il 21 maggio 1905. Ad Angelina il compositore dedicò una simpatica villotta, Birichine, recuperata casualmente solo pochi anni fa (fu composta quasi certamente fra 1903 e 1904, ed è la partitura zardiniana più datata esistente). Seguirono anni di tristezza e malinconia in cui il maestro si dedicò a comporre musica sacra. Nel 1908, vedovo da tre anni, conobbe e sposò in seconde nozze la diciannovenne Elisabetta Fortuzzi, figlia di un sorvegliante emiliano delle ferrovie, da poco giunto a Pontebba. Con Elisa ebbe quattro figliole e un figlio: Angelina, deceduta a due anni per difterite, Elvira, Angelina, Antonio (l’agognato maschietto che visse solo alcune ore il 10 dicembre 1920) e Anna, nata quaranta giorni prima della morte del padre.Modesto era nel vestire, semplice nei modi, senza alcuna pretesa di far valere o di farsi compensare i parti della sua genialità musicale. Componeva i suoi canti e ne faceva omaggio ad amici e a personaggi ragguardevoli, senza talora avere l’avver-tenza di trattenersi l’originale o una copia della composizione.Teneva ben poco di conto i suoi i lavori e prima di renderli pubblici chiedeva consiglio agli amici e principalmente alla moglie Elisa. Il coro e la banda durarono sino al 21 maggio 1915, quan-do i pontebbani e i dirimpettai pontafelesi dovettero lascia-re le loro case – tutte nella zona divenuta prima linea – per iniziare un doloroso esilio attraverso la penisola. Zardini si rifugiò pri-ma a Moggio Udinese poi – in seguito alla ritirata di Caporetto – a Firenze, seguendo praticamente il Comune di Pontebba, ove continuò a svolgere il suo incarico di applicato. Stelutis Alpinis venne cantata per la prima volta a Firenze, la città dei profughi friulani, dove – ferito nel più intimo degli affetti di cittadino e di friulano – si trovava rifugiato anche lo Zardini. In Firenze, sgorgarono dal suo animo (anche se non furono subito musicati) 5 canti pieni di una delicata nostalgia, che portano i profughi e non solo ad amare, ma ad attaccarsi ancor di più alla loro madre terra, il Friuli.  È qui, nel mese di gennaio 1918, che con grande nostalgia per la sua terra nasce Stelutis: la canzone fu composta alla trattoria «Al Porcellino» (nell’omonima piazza) e per “testarla” Zardini riunì alcune persone amiche (poche in confronto a quelle del suo coro) che provavano il canto, esprimendo il loro entusiasmo e la loro ammirazione, sia per le parole che per la musica. Rimpatriato nel 1919 si ritrovò fra i suoi coristi superstiti (molti perirono infatti nella Grande Guerra) e riorganizzò la Società Corale Pontebbana, incassando successi e molti applausi nei più noti centri della Provincia e della Regione; e il 5 dicembre 1920, nella sala del palazzo Bartolini a Udine (oggi biblioteca comunale), la Società eseguì per la prima volta pubblicamente Stelutis Alpinis, sotto la direzione dell’autore. Zardini compose molte villotte: attualmente, dopo anni di ricerche (molte composizioni vennero smarrite e distrutte durante la Grande Guerra) ne sono state recuperate oltre 30; vi sono poi inni e marce militari (Derna e Ascari) e musica sacra, andata in parte persa. Il 5 febbraio 1922 veniva creato Cavaliere della Corona d’Italia. In quest’ultimo tempo attendeva con rinnovata passione ad istruire la vecchia e nuova banda cittadina, ma il 20 ottobre lo colpiva la dolorosa malattia che doveva fatalmente strapparlo agli innumerevoli amici ed ammiratori. Sopportò con serenità edificante i 75 giorni di malattia, ricordando anche fra i dolori del male le sue composizioni profane e sacre, cantandole agli amici che lo visitavano. Spirò nell’Ospedale di Udine alle ore 12 del 4 gennaio 1923, e venne seppellito con i massimi onori a Pontebba il 6 gennaio. Morì per uremia, non diagnosticata, a 53 anni, lasciando una famiglia (la moglie Elisa e tre bimbe) nella disperazione e un grande vuoto in paese e in Friuli.

Manoscritto originale di Stelutis Alpinis, 1921

Stelutis Alpinis in concerto e in disco

Stelutis Alpinis, celebre brano polifonico che narra di un alpino morto nella Grande Guerra che si rivolge alla propria sposa, ricordandole che lui, come la stella alpina, le saranno sempre accanto, è stata eseguito da innumerevoli formazioni di tutto il mondo. Fra questi i Philippines Madrigal Singers di Manila, il coro Tone Tomsic di Lubiana, il Vancouver Youth Choir (Canada), il Coro Marmolada di Venezia (che ha anche contribuito al recupero di molte composizioni di Zardini), il Coro Monte Cauriol, il Coro regionale del Friuli-Venezia Giulia, il Vôs de Mont diretto da Marco Maiero, il quartetto vocale Armonía di Buenos Aires e la banda militare della polizia argentina, il coro universitario giapponese “Fantasia” di Senzoku e naturalmente il Coro della SAT, vero artefice della diffusione e della fama di cui Stelutis e Zardini hanno goduto nel repertorio corale popolare dagli anni ’50-’60 ad oggi. La prima incisione discografica del brano, nel 1927, si deve al coro udinese a voci maschili “Alberto Mazzucato” diretto dal M° Adelchi Demetrio Cremaschi, per La Voce del Padrone (una serie di 8 dischi comprendenti 16 brani friulani, tra cui Stelutis); il Coro della SAT lo incise invece per l’etichetta Odeon-Carisch nel secondo Dopoguerra (la registrazione è datata 24 aprile 1949), sebbene lo avesse in repertorio dalla metà degli anni ‘30. Degni di nota anche i compositori e i cantautori che hanno rivisitato il brano, come Antonio Pedrotti per il Coro della SAT, Mario Lanaro, Lamberto Pietropoli e Francesco De Gregori, che l’ha tradotto in lingua italiana interpretandolo a voce sola nell’album Prendere e lasciare (1996).1

 

1.   Per le informazioni sulla discografia e le prime esecuzioni di Stelutis alpinis si ringrazia Franco Colussi; per approfondire si rimanda a Bruno Rossi, “Il çant dal Friul”. Dischi e registrazioni storiche del Friuli (Pizzicato, 2009) e a Franco Colussi, Uno scherzoso inedito di Arturo Zardini nel centenario della sua morte, in «Choralia», n. 100 (aprile 2023), pp. 21-22 e I-III.