Il sangue à pena havesti di Ludovico Grossi da Viadana
Ludovico Grossi da Viadana (Viadana, 1564 – Gualtieri, 1627) fu un francescano e compositore. Nato a Viadana, al tempo borgo del Ducato di Mantova, divenne maestro del coro della Cattedrale di Mantova prima del gennaio 1594, negli anni in cui Claudio Monteverdi prestava servizio presso la Corte gonzaghesca. In seguito al trasferimento a Roma, trovò poi incarichi come maestro di cappella a Cremona, Portogruaro e Fano. Tra il 1614 e il 1617 diventò responsabile dell’Ordine dei Frati minori osservanti per la provincia di Bologna (comprendente Ferrara, Modena e Piacenza), si spostò poi a Bussetto ed infine a Gualtieri dove morì il 2 maggio 1627.
Il brano è collocato nella raccolta, curata da Giacomo Vincenti nel 1597, dedicata ai componimenti poetici in lingua italiana del Padre Angelo Grillo, monaco cassinense, allora Priore di S. Giuliano di Genova. Tutti i testi musicati nella pubblicazione sono stati «posti in Musica da diversi Reverendi, & Eccellentissimi Autori» e sono tutti a cinque voci. Si tratta, dunque, di una monografia autoriale realizzata da mani diverse che danno uno spaccato dello stile compositivo mottettistico e madrigalistico su tema sacro sul finire del Cinquecento.
La prima frase è realizzata secondo uno stile imitativo canonico riproponendo l’incipit mi-la nelle risposte la-mi oppure mi-la; alle entrate iniziali fa seguito uno sviluppo libero e molto sillabico che conclude a batt. 35 il primo lungo periodo con una cadenza a do. A questo punto, sulle parole Innocente bambino, il compositore stringe i valori ritmici e inserisce suoni estranei, prima a quattro voci, poi nuovamente a cinque, in uno stile maggiormente omoritmico sfruttando la figura del noema. L’episodio si conclude a batt. 45 con una cadenza perfetta sulla triade di la maggiore, preceduta da un pedale di dominante di quattro misure.
Tutta la restante parte del componimento è divisa in due sezioni identiche, che presentano cadenze a do e a la, a meno dell’inversione, a batt. 74, delle parti di cantus e quintus, testimonianza dell’ormai diffusa ricerca della stereofonia corale. Degne di nota le entrate precedute da pause del tenor a batt. 65 e 70 per evidenziare i motivi-parola dell’essere pegno e del destino indegno riferiti al Gesù neonato.
Il brano si conclude con una cadenza composta a la maggiore, dopo un pedale di dominante su mi.
Il valore ritmico più breve che viene sillabato è la semiminima e si possono segnalare due soli melismi sui termini fu-tu-ro e pe-gno.
Si consiglia ai gruppi vocali di avvicinarsi anche a questo tipo di repertori, sia per la novità che apportano nel panorama concertistico attuale, sia per lo stile ‘misto’ di cui sono portavoce.
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