in copertina: Irini Pasi Ensemble, ensemble di canto bizantino in Italia

Per trattare la musica bizantina intraprenderemo un breve viaggio allo scopo di incontrare questa musica, ancora sconosciuta in Italia ma a lei sempre appartenuta. Allo stato attuale abbiamo a che fare con due tipi di musica: la musica tonale che nasce con il Rinascimento, si sviluppa con il Barocco e si distacca dalla musica tradizionale, e la musica modale che compare allo stato naturale in ogni civiltà umana. Essa comprende le civiltà indoeuropee e quelle nate e sviluppatesi attorno alla Mesopotamia (la più antica è quella dei Sumeri), il Mediterraneo ed il Medio Oriente fino alla Persia e all’India. Tutte le tradizioni musicali di quest’area sono imparentate; il canto tradizionale è caratteristico di un determinato popolo e può definirsi canto monodico, di tradizione sacra e profana e di trasmissione orale.  Il canto tradizionale del repertorio sacro in Occidente va dal canto romano antico, ambrosiano, mozarabico, beneventano, gallicano fino al gregoriano, che si sviluppa in tutta l’Europa1. Il canto sacro è il canto liturgico, cioè l’innografia di canti sacri utilizzati durante le funzioni religiose nei luoghi di culto2. Le tradizioni musicali che si sono conservate più intatte nel tempo sono quelle di tipo sacro.

Il Canto di tradizione sacra in altri riti e culture:  un’esperienza personale di viaggi e di studio sull’uso della voce

A conferma della ricchezza musicale ed espressiva che offre il contesto della musica sacra ai giorni nostri, riporto brevemente la mia esperienza di studio e di contatto diretto con il canto sacro nel Medio ed Estremo Oriente.

I luoghi da me visitati e le scuole di canto tradizionale finora frequentate sono in India, nel territorio Rajastano (presso l’Accademia di musica classica indiana di Benares), in Anatolia (l’attuale Turchia), nella città di Costantinopoli, oggi chiamata Istanbul, presso il Patriarcato ecumenico, e in Israele, dove sono stata ospitata presso monasteri di tradizione ortodossa, per poi approdare in Grecia, lo stato europeo che ha mantenuto intatta la sua tradizione di musica sacra. L’esperienza sonoro-musicale del canto sacro che accomuna tutti questi territori geograficamente per noi lontani ‘salta all’orecchio’ di coloro che conoscono il canto tradizionale musulmano, bizantino e indiano: queste tre grandi famiglie appartengono a specifiche religioni ben consolidate (islamismo, cristianesimo orientale e induismo), che hanno ispirato un vasto repertorio di canto e musica sacra pressoché rimasto allo stato originario di composizione, dal quale attingono da sempre musicisti e cantanti affermati. Nella musica tradizionale sacra la struttura musicale e il canto sono inseparabili dai componimenti poetici ispirati dalla lettura dei testi sacri. Ciò che accomuna il canto musulmano, il canto cristiano orientale e il canto indiano è l’utilizzo di scale modali con intervalli microtonali: è la musica microtonale che conferisce il sapore “esotico”, così come viene definito dagli occidentali, possibile solo nel sistema modale e impossibile nel sistema temperato3.

Il canto romagno-bizantino

Il canto bizantino – o più propriamente canto romano-bizantino, o canto pre-gregoriano – indica la tradizione sacra e profana del canto modale dei popoli dove regnava l’Impero Romano d’Oriente e d’Occidente dopo la venuta di Cristo, basata sui modi musicali rispettivamente bizantini ed ecclesiastici. Nel canto bizantino che è di tradizione cristiana, utilizzata in Italia in lingua greca e latina fino al 1050, confluiscono quindi tradizioni musicali provenienti dal canto sinagogale (quella del Profeta Davide a Saul)4, da Siria, Etiopia, Armenia, Egitto, Asia Minore, Italia del Sud, Grecia e dai paesi balcanici. Il canto bizantino sacro non è altro che la continuazione del canto sinagogale o giudaico, poiché Cristo – che ne è l’ispiratore – è ebreo, ed è imparentato con le tradizioni musicali succitate.

Breve storia del canto bizantino

Presso le comunità greche all’interno delle loro numerosissime colonie sparse in tutto il Mediterraneo – come in Calabria, Puglia, Sardegna, Campania, nonché nei centri di vita e cultura greca come Atene, Corinto e Tessalonica – i fedeli cristiani ricevevano in lingua greca il Verbo evangelico, e sempre in greco intonavano le letture dei profeti e dei salmi ed esprimevano gli inni di ringraziamento eucaristico con forme melodiche greche5. Sappiamo che l’imperatore romano Costantino nel 313 d.C. diede la libertà di culto ai cristiani: e il culto si esprimeva con il canto in tutto l’Impero romano occidentale e bizantino orientale6. La chiesa, che vive nel tempo e nella storia, grazie ai Padri ha assorbito elementi dell’ambiente circostante per esprimere la verità della Rivelazione anche attraverso la musica; ha assunto elementi dal pensiero ebraico, greco e dalla civiltà romana, li ha trasformati ed è nata così una civiltà particolare che è la veste della Verità: la civiltà ‘romea’7. Nel corso della storia cristiana gli inni della tradizione liturgica romano bizantina sono diventati numerosissimi e poggiano ancora, per ciò che riguarda gli aspetti sonoro-musicali del canto, sui tre pilastri della musica antica ecclesiastica: genere diatonico, cromatico ed enarmonico. I ritmi e le melodie cantate erano modellati su forme e tipi pagani, e l’organico è costituito solo dalla voce umana solista e corale.  Attualmente la melodia e il ritmo sono caratterizzati dal ritmo poetico, dalla divisione in sillabe e dall’accento della parola in tempo veloce, medio e largo, articolandosi in otto modi musicali e in otto scale modali diverse.

La perdita e la conservazione della tradizione romano-bizantina

Nel 1453, con l’invasione musulmana dei turchi in Anatolia a Costantinopoli e in tutti i territori dell’Impero romano d’Oriente, la musica romano-bizantina sopravvisse fra le arti solo perché trovò riparo all’interno delle chiese. Il Monte Athos, fortezza e faro luminoso per la scienza e l’arte sacra, continuò ad essere conservatore: ne sono testimonianza i numerosi e preziosi manoscritti delle loro biblioteche e delle varie scuole di canto, innografia, paleografia e trascrizione dei codici. Dal 1054, con la divisione delle chiese fra Oriente e Occidente, in quest’ultimo – e in Italia – avvenne un radicale cambiamento e la perdita progressiva di tutta la tradizione del canto liturgico delle origini.

Giorgio Klontzas, rappresentazione dell’inno “In te gioisce”, fine XVI sec. (Venezia – Museo dell’Istituto Ellenico)

L’utilizzo della voce nel cristianesimo delle origini

Ogni scala modale si esprime in 72 intervalli. L’allargamento dell’orizzonte vocale del canto bizantino in 72 intervalli come possibilità vocali, contro i 12 intervalli della musica temperata, può essere considerato come un ampliamento delle possibilità espressive ed esplorative del cantore, attraverso il quale la voce può ritornare alla naturalezza espressiva originale.  La voce, riportata al suo stato naturale, così come avviene nel canto tradizionale bizantino, rispetta l’uomo a livello antropologico e fisiologico. L’utilizzo della voce ha pertanto un effetto immediato sul corpo, dalle sensazioni e vibrazioni corporee a quelle evocative e spirituali. La mente ha come modello le corde vocali con le sue sfumature e possibilità di scoperta, in modo naturale, nel cantare la melodia8. Come affermano gli esperti di canto in musicoterapia, in una dimensione terapeutica gestire in maniera adeguata le opportunità offerte dalla voce significa promuovere nel soggetto la sua disposizione sociale9 .

L’unità culturale e spirituale in cui si fondono oriente e occidente

UNESCO: «Dal 12 dicembre 2019 come arte vivente che esiste da più di 2000 anni il canto bizantino è “patrimonio immateriale dell’umanità”». Il canto dell’Oriente cristiano quindi è convenzionalmente chiamato canto bizantino, mentre quello corrispondente della chiesa di Roma, ricordato come il canto romano antico, è definito oggi canto pre-gregoriano, per distinguerlo dal canto gregoriano che si costituì durante l’impero carolingio, ispirato alla struttura del canto romano ma spogliato dei suoi abbellimenti e della caratteristica vocale microtonale. Il canto romano antico si conservò fino all’XI e XII secolo, come ci trasmettono i manoscritti che non tramandano ancora nulla del repertorio gregoriano.

Grazie ad attenti studi condotti per la ricerca e l’interpretazione della musica medievale si evincono molte somiglianze estetiche tra il canto antico romano e il bizantino: modalità, cadenze e abbellimenti, alcuni dei quali ancora usati oggi nella canzone greca. Ciò è dovuto non solo al fatto che l’Italia dipendesse dall’Impero bizantino, ma anche perché divenne terra d’asilo per i quasi 50.000 monaci che fra il 726 e il 775 si rifugiarono nel Sud Italia durante la persecuzione iconoclasta: dopo l’invasione persiana della Palestina i monasteri siriani e greci si moltiplicarono nel Sud Italia, e fino al centro di Roma.Molti papi di origine siriana o greca presiedettero quindi ai destini della Chiesa di Roma (14 su 23 papi furono di lingua greca tra il 644 e il 772); il Liber Pontificalis menziona, oltre all’origine orientale, la competenza musicale di tre di loro: Leone II, Sergio II e Gregorio III. Ed è sotto l’influenza di questi papi che la liturgia romana era profondamente orientale, per cui abbiamo ragione di credere che anche il canto lo fosse. La musica carolingia divenne in seguito “gregoriana” al punto da soppiantare, nella stessa Roma, il canto antico romano, poi scomparso definitivamente nel XIII secolo10.

Partitura dell’apolitikio del 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Santa Croce in tono I (Mousiki Kipseli, Tomo A)

Lo studio del canto bizantino nel mondo

In tutto il territorio greco e nel mondo ortodosso, oltre al canto liturgico ascoltabile presso tutte le chiese e i numerosi monasteri, lo studio del canto è impartito nei conservatori di stato, e lo ψάλτης (psàltis: ‘maestro di canto bizantino’) permette ai provetti cantori di imparare per trasmissione orale sullo psàltìri, ossia il coro dove sono posizionati i cantori esperti che prestano servizio nella liturgia. In Arizona, il monastero ortodosso di Saint Anthony – impegnato nella divulgazione del canto bizantino in Occidente – si occupa di tradurre e mettere in musica l’innografica liturgica dal greco-bizantino alla lingua inglese, in modo da renderne accessibile agli americani il significato. Molte nazioni europee ed extra-europee hanno adottato lo stesso metodo di traduzione e divulgazione del canto liturgico.

E in Italia?

Presso la chiesa greco-ortodossa di Torino un gruppo di cantori e ricercatori è impegnato nel recupero e nello studio del canto romano-bizantino, traducendo in latino e nella lingua italiana ufficiale l’innografia liturgica di lingua greca, nell’intento di rendere accessibili agli italiani il significato della poesia bizantina e del suo valore culturale, spirituale e antropologico. Inoltre, ci si propone i seguenti obiettivi, in collaborazione col territorio: ripristinare la figura del cantore liturgico bizantino in Italia; aprire scuole di musica bizantina statali in Italia; ripristinare l’uso della voce microtonale della tradizione cristiana antica11; fare concerti sul territorio italiano e all’estero. Concludo questo breve viaggio nel canto romano-bizantino approdando ad una sentenza della monaca e compositrice musicale medioevale, Kassianì di Costantinopoli: “Perfetto ordine di tutto ciò che comincia e finisce e per ogni parola e azione è fare di Dio il principio e la fine”.

1. Giulio Cattin, La monodia nel Medioevo, EDT, 1991.

2. Reale Accademia dei Lincei, Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, Accademia Nazionale dei Lincei, 1891, pp. 58-59.

3. L’intero capitolo è tratto da: Irene Rotondale, Il canto sacro romano bizantino: recupero della tradizione orale come modalità espressiva, Tesi di Musicoterapia, A.P.I.M. Associazione Professionale Italiana Musicoterapeuti (CONFIAM), 2016.

4. La Bibbia. Antico Testamento: Terzo Libro dei Re, versione ufficiale a cura della Conferenza episcopale italiana, San Paolo Edizioni.

5. Amédée Gaustoué, Les origines du chant romain, A. Picard & Fils, 1907, p. 426.

6. Ibidem.

7. Giovanni Romanidis, Conoscere nel non conoscere. Appunti di dogmatica patristica, Asterios, 2015, p. 181.

8. Giovanni Piana, Saggi di filosofia della musica, Lulu.com ed., 2013, p. 42.

9. Gerardo Manarolo, Manuale di musicoterapia. Teoria, metodi e strumenti per la formazione, Cosmopolis, 2006, p. 381.

10. Michel Huglo, Relations musicales entre Byzance et l’Occident, in Proceedings of the 13th international congress of byzantine studies: Oxford, 5-10 september 1966, a cura di J. M. Hussey, D. Obolensky, S. Runciman, Oxford University Press, 1967, pp. 267-280

11. Ibidem