Mi colpì la lettura di un articolo in cui si raccontavano esperimenti sulla socialità delle formiche: un singolo individuo, messo in un contenitore di vetro pieno di sabbia, muore; tre, abbozzano un minimo di organizzazione e resistono più a lungo; dieci strutturano un minimo formicaio per sopravvivere. Non è solo unione che fa la forza: è ragione di vita, che manca nel singolo e si rafforza invece col crescere della comunità.
Così anche l’uomo, animale sociale come nessun altro, può svilupparsi solo se inserito in un solido rapporto con i suoi simili: dove l’unione delle forze determina un risultato che è superiore alla somma delle forze stesse, perché moltiplica le relazioni, le motivazioni, i desideri.
Pensieri che vengono in mente inaugurando, con questo numero, una nuova rubrica, Un Coro per tutti, che andrà di volta in volta a scandagliare esempi di applicazione del coro a situazioni complesse, dove il mondo di relazioni e di emozioni nate intorno alla pratica del canto comune è terapia per l’individuo e per il gruppo.
Affascinante che tutto questo abbia per centro il suono: a volte, nella civiltà dell’immagine, dimentichiamo che le nostre comunicazioni avvengono soprattutto attraverso il suono. Nel racconto Flatlandia, di Edwin Abbot, il protagonista giunge in Linealandia, regno di una sola dimensione, quella di una retta. Gli individui dei due sessi (linee, con due bocche, una per estremità, e punti, con una sola bocca), posti uno dopo l’altro sulla stessa retta, sono in contatto solo con chi immediatamente li precede e li segue. Come vi sposate? Come vi unite? chiede. Attraverso il suono, risponde il monarca di quel regno, ogni linea trova i suoi punti. Matrimonio a tre, una linea con due punti, perché altrimenti ‘come fa un’unione ad essere completamente armoniosa senza la combinazione dei Quattro in Uno, cioè del Basso e del Tenore dell’Uomo senza il Soprano e il Contralto delle due Donne?’.
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È questo l’ultimo numero che firmo come direttore di FarCoro. L’aver contratto, sia pure in forma per ora leggera, quella malattia irreversibile e degenerativa che è la vecchiaia, fa venir meno le forze, quelle morali prima ancora delle fisiche, e impone di ridurre gli impegni, se li si vuole portare a compimento dignitosamente. Ringrazio Andrea Angelini per aver avuto fiducia in me e avermi fatto conoscere una realtà così bella, così stimolante come AERCO: che proprio per questo ha necessità di una rivista capace di rappresentarla al meglio e di una direzione efficiente e trainante. Ringrazio Silvia Perucchetti per aver accettato di subentrare: a lei l’augurio di un buon lavoro, sui cui risultati non ho alcun dubbio, essendo stata, in questi due anni, una redattrice affidabilissima. E ringrazio tutta la Redazione, formata da persone di grande preparazione e di calorosa umanità, che in questi due anni mi ha supportato in tutti i modi.
Se il canto unisce i singoli in un organismo corale che li trascende, i cori sono l’individuo che si unisce agli altri per dar vita a un organismo più ampio, capace di dare ulteriore valore alla voce del suo canto. In una fase storica in cui la complessità dei problemi richiede l’unione degli sforzi, ma il pensiero corrente privilegia la chiusura individuale, la separazione, la secessione, l’uscita, il mondo della coralità mantiene questa tensione a unirsi in associazioni più vaste: che AERCO continui a essere il formicaio dei cori dell’Emilia-Romagna e, insieme agli altri formicai, continui a diffondere il suo canto.
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