Nota Introduttiva
Gli studi sul patrimonio folklorico romagnolo (autorevolmente inseriti anche in un contesto nazionale) hanno rivelato la ricchezza della cultura religiosa di quella terra, comprendente in forma significativa le “Orazioni”, ovvero i canti narrativi della Passione (per tutti: Baldini-Bellosi: 176-187; Foschi: 197-246; Toschi 1922 e 1935). L’Emilia, invece, non vanta ancora studi esaustivi a più ampio respiro territoriale, fatta salva l’analisi di alcuni testi (Toschi 1935), nonostante le ricerche svolte in tempi diversi in ambiti locali e provinciali abbiano messo in luce una ricchezza culturale/tradizionale degna di nota.
Disperso in un rilevante numero di pubblicazioni (in questa sede sono prese in considerazione soprattutto le più note), il materiale reperito dagli studiosi, in gran parte attraverso le fonti orali, fa risaltare, in primo luogo, l’esistenza di documenti spesso defunzionalizzati, che non di rado hanno perduto la musica che li veicolava, peraltro non considerata dai pionieri della ricerca folklorica, miranti pressoché esclusivamente all’analisi filologica della “poesia popolare”.
Preciso che a fini comparativi e di classificazione, il saggio di Paolo Toschi, stampato nel 1935, risulta tuttora fondamentale all’analisi tipologica dei repertori religiosi, non ultimi i canti della Passione. Tali documenti, di lontane origini, hanno inoltre variamente risentito di processi di cristianizzazione finendo anche per ridursi, da originarie, arcaiche rappresentazioni collettive a preghiere individuali.
Prima di passare all’esame dei materiali reperiti (attraverso una ricerca bibliografica e con esempi inediti, tratti da raccolte magnetofoniche), nel rispetto delle grafie adottate da ciascuno studioso, ritengo opportuno pubblicare considerazioni “laiche” di carattere generale sui materiali della religiosità tradizionale:
Se osserviamo, senza preconcetti ideologici, quel materiale che tradizionalmente è definito, unitariamente, come religioso vediamo come in realtà molti dubbi sorgano sull’effettiva integrità di quel repertorio. Rinunciando infatti ad ogni classificazione aprioristica e procedendo all’esame dei documenti, pur nelle condizioni in cui le vecchie raccolte ce li offrono, si scopre come, in realtà, quel materiale si presti a ben diverse collocazioni, fino al punto di perdere quasi interamente la sua astratta autonomia. Rileviamo, soltanto per fare qualche esempio, che nessun carattere oggettivo distingue i canti epico-lirici che hanno per protagonisti dei santi o dei personaggi delle Scritture dal grande corpo, sufficientemente unitario, della ballata europea. E così può dirsi per le formulette, le piccole orazioni, le giaculatorie che si possono ricondurre, per struttura formale e funzione, all’assieme delle formule magiche e degli scongiuri (Leydi-Rossi: 233).
Inizio con il proporre la liturgia della Settimana Santa nel rapporto tra chiesa e vita religiosa in un determinato territorio. Preciso, inoltre, che di molti testi qui di seguito pubblicati si riscontrano lezioni anche in altri territori, in particolare in Romagna e nell’Italia Centrale.
Documenti liturgici e della tradizione popolare
Per divulgare la liturgia della Settimana Santa, l’associazionismo religioso curava anche la stampa di opuscoli specifici (Comitato Bolognese), ma quest’operazione, con il trascorrere degli anni, non ha impedito la perdita della memoria di quanto in effetti si cantava un tempo. Tre indagini si distinguono ai fini di questo recupero, due condotte nelle parrocchie del Frignano e la terza nell’Appennino bolognese. Dovuta a mons. Cesare Vignocchi negli anni ’50 del ‘900, la prima ricerca si propose di raccogliere le melodie (non molte invero) in uso a Pievepelago, sentite da piccolo e che ora non si cantano più, e pochi sono i vecchi cantori che le ricordano ancora (Vignocchi: 26). Tra le melodie, trascritte musicalmente, lo studioso pubblica: un solenne Miserere che si eseguiva pressoché esclusivamente alla Processione del Venerdì Santo; un canto (con i versi del Metastasio) che accompagnava la solenne Via Crucis del Venerdì Santo; un canto che accompagnava una funzione serale davanti al Sacro Sepolcro, il Giovedì Santo (Vignocchi: 27, 29-31).
Don Corrado Mauro Campani, nella sua indagine, rileva, anche musicalmente, i canti eseguiti nella vicina Riolunato dai cantori locali: Sabato Santo-Mattutino-Canto Iª Lettura (testo latino tratto dal Liber Usualis, con melodia trascritta per memoria nel 1948 dai coristi della parrocchia), Christus crocifixus est, Via Crucis, Stava Maria dolente (Campani: 13, 21, 24).
Al maestro elementare Mauro Lenzi dobbiamo la terza ricerca: una precisa elencazione dei canti, con le relative trascrizioni musicali, del cerimoniale della Settimana Santa, dalla Domenica delle Palme al giorno di Pasqua, nella Parrocchia di Lùstrola di Granaglione, oggi Alto Reno Terme, nell’Alta Valle del Reno bolognese (M. Lenzi: 407-421).
Sabato Santo-Mattutino-Canto I Lettura. Trascrizione di Marco Piacentini (Campani)
Particolare importanza nell’universo della cultura popolare rivestono le Orazioni della Passione, canti narrativi che discendono dai riti e dalle processioni del Giovedì e del Venerdì Santo, in funzione probabilmente fin dal XII secolo. Il Giovedì Santo si celebrava la Passione e il Venerdì si celebravano la morte e la sepoltura di Cristo (Baldini-Bellosi: 182). Le processioni subirono un processo di drammatizzazione, per illustrare più efficacemente al popolo il significato della Passione. Dalla processione drammatica (che comunque continuerà a mantenere un suo ruolo in certe località, come le celebrazioni della sepoltura del Cristo Morto) trassero derivazione le sacre rappresentazioni, che raggiunsero il maggiore sviluppo tra il XV secolo e la prima metà del XVI (Baldini -Bellosi: 182-183; Vecchi: 108-109, ivi citato). La Controriforma introdusse nuove devozioni, più rispondenti alla disciplina ecclesiastica, in sostituzione delle processioni drammatiche e delle sacre rappresentazioni, come la visita ai sette Sepolcri, il Giovedì, e i quadri viventi della Passione in forma processionale, con la Via Crucis, il Venerdì. Le Orazioni della Passione, confluite nell’oralità tradizionale, si collegano in parte alle sacre rappresentazioni (Baldini-Bellosi: 183) e fanno riferimento, in sequenza, agli episodi più salienti della Passione di Cristo, come pure sottolinea Alberto Vecchi:
flagellazione alla colonna, conforto recato da Giovanni a Maria, salita al Calvario, incontro di Maria con Gesù crocifisso [Giovedì Santo], svenimento di Maria all’apprendimento della condanna, soccorso prestato dalle pie donne, la Madonna alla ricerca del figlio (con la scena dei fabbri e falegnami e della vendita di Gesù al Sinedrio)
[Venerdì Santo] (Vecchi: 108-109, citato in Baldini-Bellosi: 183).
L’ultima cena. Trascrizione di Mauro Lenzi (A.L. Lenzi)
Lo scorporo dei testi dal tessuto drammatico provocò la loro riduzione a semplici formule di preghiere private, non di rado impoverite (Vecchi: 117-118, in Baldini-Bellosi: 183). Le sacre rappresentazioni influenzarono pure la nascita del maggio epico, come attestano gli studi di Alessandro D’Ancona (D’Ancona 1891). Un esempio locale: l’ottocentesco copione Passione di Gesù Cristo, di autore ignoto, reperito manoscritto a Riolunato (Gestri: 258-259).
Il già citato studio di Paolo Toschi effettua una importante analisi delle Orazioni della Passione, individuandone cinque tipologie fondamentali, definite Passione Italia Centrale I-V (Toschi 1935: 43-73 e 74-104). Esempi di reminiscenze di sacre rappresentazioni (Passione Italia Centrale III) sono stati, in particolare, raccolti nel cento-pievese, tra il bolognese e il ferrarese, a Renazzo di Cento e a Cento. Così una memorialista popolare annota rituale e preghiera del Venerdì Santo in uso nella sua parrocchia ai primi del ‘900:
La mattina del Venerdì Santo c’era l’esposizione della Santa Croce […]. Era quello un momento di grande devozione: le donne andavano e venivano compiendo almeno tre visite a Gesù Morto. Entravano dalla porta grande e, camminando adagio, a capo chino, pregavano sottovoce; arrivate in prossimità della croce, si tiravano giù le calze (i sfun), s’inginocchiavano davanti al Cristo Morto e, sempre sottovoce, gruppo per gruppo, recitavano la seguente orazione:
La mattna dal Venar Sent/la Madona la fè un gran pient/un gran pient, un gran dulor,/quest l’è al legn dla Senta Cros/questa l’è la cros, quest l’è cal legn/in du gh’è stè mort al mi fiol degn./Chi dirà st’urazion tre volt/la matina dal Venar Sent/la grazia c’a s’admanda/al mi fiol degn la srà bela deda (Borghi: 272 e 274).
La memorialista non ricordava l’eventuale melodia con cui si eseguiva la preghiera (era una cantilena…).
La ricercatrice centese Nerina Vitali raccoglie sei varianti di quella che definisce Uraziòn dal Vener Sant. Si tratta di un testo diverso da quello raccolto nella vicina Renazzo, lezioni del quale sono state rilevate anche in altre località emiliane. Ricorda inoltre un’Ave Maria del Venerdì Santo, altrettanto nota in altri territori. Prima di pubblicare due di queste varianti (ogni verso veniva ripetuto due volte), corredate della trascrizione musicale, la ricercatrice precisa che una sacra rappresentazione serale del Venerdì Santo, su un palco, si tenne a Pieve di Cento fino al 1610: faceva parte di un complesso di manifestazioni che comprendevano: una processione col crocifisso della Compagnia di Santa Maria, la predica della Passione, la rappresentazione della Passione, la processione del Cristo Morto, e il ritorno del crocifisso nella chiesa della Compagnia (Vitali 1972: 42):
Quan Gesó feziò la zèna/e Maria fé d’un gran piant //E Gesó ch’al la ciameva/-O Maria non pianger tant//- Ma perché ’n voliv ch’a pianga/Sol pr’amor dal nostar Signor? //L’han purtè sul mont Calvari/Con tri ciuld i l’ha inciuldê (= inchiodato) /E po’ i l’han lasê (= lo hanno lasciato sulla croce). (Vitali 1972: 48).
Quan Gesù fece la cen’e/E Maria fé d’un gran piant//-Cosa piangì Voi Maria/-A pianz pr’amor del noster Signor// I han vendu nostro Signore/E soul per trentatria dener.//I l’han menato sul Calvario/ E po là i l’han lassè/So la Crous i l’han inciuldè.//Quand Gesù ‘l [d]mandò da bere/E da bere ‘l ghi den cal bon (= gli diedero di quello buono)//Lor gli diedero de l’asei (= aceto)/E mescolata con de lo fiel (= fiele).//Al prém gozz (= la prima goccia) che Lô ’l beveva/E la parola la ghi smancò//Second gozz che Lô ’l beveva/Ecco ‘lor che Gesù ‘l passò//E la tera che termeva (= tremava)/E la rindeva una gran pietê//E quant al soul (= sole)incontrò la luna/Ecco ‘lor che Gesù al parlò.//Chi dirà quest’orazione/E trei volt al Vener Sant/E dou volt al Sabet Sant/E sarà ben perdunê/E per trentatria pechê (Vitali 1972: 49-50).
Le due attente rilevatrici della memoria cento-pievese sono precedute dall’indagine demologica di Mario Borgatti, che trascrive tre testi, privi della melodia, ovvero due versioni della Preghiera del Venerdì Santo (centese e pievese) e Il verbo, i cui primi quattro versi fanno riferimento alla croce: Chi sa ‘l verbon [verbum] dal noster Sgnour,/ch’l’à al sangv sula crous?/E la crous l’è tant bela,/ch’la splend dal zil in tera (Borgatti: 69, n. 10). La prima delle due versioni della Preghiera del Venerdì Santo raccolte dallo studioso presenta, in particolare, la variante della grazia concessa a qualche giovane (fantéin) qualora la reciti trentatrì volt in znuc nud/in tèra consacrèda (Borgatti: 74, n.15). La lezione pievese differisce dalle precedenti: raccolta nel 1920 e considerata un’Ave Maria, veniva fatta recitare cento volte ai bambini pievesi il Venerdì Santo (Borgatti: 75, n. [15 B]):
Ave Maria dal Vener Sant/la Madona la pert con gran pjànt,/con gran pjànt, con gran lamèint,/andànd al gran sacramèint./Quand la fo là,/brazànd al legn dla Santa Crous,/la ge: – Eh, fiól mia, quast qué/l’è un legn da murìr so./- Eh, madrenna mia,/in gi brisa una gran busìa,/a gi una gran veritè./Chi dirà zeint vol[t] l’avemaria dal vener sant/par amòur mio, par caritè,/dal pan [dalle pene] dl’Inferen al sra liberè -.
Venerdì Santo (Vitali 1987)
Due lezioni della preghiera del Venerdì Santo (una delle quali con la prescrizione: Da insegnare, dire e recitare solo il Venerdì Santo) e una narrazione di Gesù nell’orto dei Getsemani la notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo (stra la Zòbia dl’Ûltma Zanna/e al Vèner dla Pasiån) sono pubblicate in una ricerca nell’areale bolognese, che testimonia la decadenza delle formule devozionali a preghiere private, prive anche del supporto musicale (Gallerani-Pagani-Serra: 108-111, nn. 87, 88 e 89). Trascrivo quest’ultimo canto narrativo, defunzionalizzato (con ogni probabilità, frammentario):
In cla nòt/stra la Zòbia dl’Ûltma Zanna/e al Vèner dla Pasiån,/Gesó, da par ló, l êra in cl ôrt/ch’al fèva uraziån./Ai arîva la sô chèra Mamà e la i dîs:/”Csa fèt qué, fiôl da par tè?”./”A n dôrum, e par la pòra a stâg a patarèr [recitare Pater noster]:/Al Pèder mî an me pôl brîsa arsparmièr”./Chi st’uraziån dirà trantatrai vôlt,/al vèner dla mî môrt,/con mé in Paradîs vgnarà/e al pann dl Infèren al scansarà (Gallerani-Pagani-Serra: 110, n. 89).
La filologa Anna Luce Lenzi ha raccolto sull’Appennino bolognese (territori di Granaglione e Badi di Castel di Casio) quattro lezioni della medesima preghiera (ripetuta 33 o 36 volte), che opportunamente definisce Passione di Maria, recitata in forma privata o in chiesa (altari di Maria o del Sepolcro) il Giovedì, Venerdì e Sabato Santo. Riscontra, nella seguente, molti punti di contatto con la Passione V del Toschi e con un canto elaborato dal gruppo musicale appenninico-modenese I Viulàn:
Alla sera del Giovedì Santo/la Madonna fè ‘n gran pianto,/un gran pianto e ‘n gran dolore:/se ne andò alla Santa Croce./Santa Croce l’adorava,/stretta stretta la baciava./e diceva cuore a cuore:/- Questo gli è il mio figliolo,/gli è tre giorni che non lo trovo;/lo trovai là su quel monte/con le mani legate a gionte;/sangue rosso lui versciava,/la Madonna lo rasciugava;/lo rasciugava: era il Signore,/di Maria lo Redentore./- O madre mia, che fate?/Vegliate o dormite?/- Non veglio e non dormo,/ma penso a quei chiodi e a quei martelli/che ti trafissero in croce./E chi tre volte al giorno la dirà,/le pene dell’inferno scamperà (A.L. Lenzi: 108-110).
In un secondo studio sui temi della Passione, la studiosa ha analizzato altri testi, un tempo noti nei medesimi territori, i quali, perduta la probabile funzione drammatica originaria, spesso hanno pure smarrito la dimensione del canto. Il primo documento, in ottava rima, è incentrato su Maria in viaggio alla ricerca di Gesù. Queste sono la prima e l’ultima ottava del componimento frammentario, rinvenuto in quattro ottave:
1.Maria che stava in casa e non sapeva/perse il suo figliol che lei aveva. /Passò un giovane di lì che se ne andava/disse: “giovane, sei benedetto, /avesti visto il mio figliol sì gran maestro?”./”Sì, ch’io l’ho visto e anche ben conosciuto/laggiù da quei ladroni tutto battuto e tutto flagellato”./Allora Maria si mésse per via/tutti i capelli in capo si notria.
4. E chi tre volte al giorno dirà questa/in Cielo valerà quant’una messa;/chi la dirà e chi la farà dire/di mala morte non potrà morire;/chi la dirà con bòna devozione/non morirà senza la confessione;/chi la dirà con bòn proponimento/non morirà senza il santissimo e divinissimo Sacramento (A.L. Lenzi: 112-113).
Di funzione essenzialmente comunitaria fu invece il canto Gesù Signor/quando fece la cena, eseguito in chiesa, dai parrocchiani di Lùstrola, la sera del Giovedì Santo, al termine delle funzioni: narra in 17 strofe la Passione di Cristo dall’ultima cena fino colpo di lancia di Longino, che ne constatò il trapasso e chiude con una strofa di invito alla contrizione. Per brevità, riporto soltanto le prime tre stanze del testo (del quale si è pure recuperata la musica), la cui struttura rivela arcaicità e una certa preparazione culturale. È stato trascritto da un quaderno scolastico:
1.Gesù Signor/quando fece la cena/ripien d’amor/gli Apostoli suoi mena:/allor si sente dir:/- Un di voi m’ha da tradir/ohimè che pena! -/allor si sente dir:/- Un di voi m’ha da tradir/ohimè che pena! -//2. Poi i piè lavò/agli Apostoli santi/ne dispensò/suo corpo a tutti quanti. /E Giuda traditor/non emendò l’error/a Dio davanti. //3. All’orto andò/il Signor benedetto/il Padre orò/con cuore pien d’affetto. /E Giuda arrivò lì/e disse a lui: Buon dì,/maestro eletto! – (A.L. Lenzi: 114-119).
Ridotta alla sfera privata, un’altra preghiera che la studiosa ha riportato è incentrata sulla contemplazione della divina bellezza del corpo martoriato di Cristo, in quattro strofe, di cui la prima risulta la seguente:
Guarda quei piedi/conflitti dal chiavello [chiodo] /che stanno indormentati/per colpa del martello! /Mira s’egli era bello/sopra ogni creatura/e quella carne pura/era più che perfetta/ad ogni colpo anflitta/perché tu fosti eletta, /anima benedetta (A.L. Lenzi: 120-122).
Dell’ultimo testo, un Compianto, in due lezioni, anch’esso sopravvissuto nell’uso privato, Anna Luce Lenzi ritiene si trattasse, in origine, di un canto di questua. Questi i versi endecasillabi della prima lezione:
Piangete, o pellegrin, che il mal tapina,/non vi afermate in questa nuda terra;/questo gli è un prato pien di verghe e spine,/oggi siam vivi e diman sotterra./Piangete tutti, piccolini e grandi,/che il buon Gesù morì a trentatre anni./E fu battuto dalle verghe nere/e il sangue gli usciva dalle vene./Gli usciva il dì e gli usciva la notte,/la madre sua l’andéva a vedere:/-O Figliol mio, che devo far di tene?-/- O madre mia, che ne volete far?/Fate sapere a la Cristianitade:/e chi tre volte al giorno la dirà,/le pene dell’inferno scamperà (A.L. Lenzi: 122-124).
Uno splendido esempio proveniente dalla Valle della Limentra, tra bolognese e pistoiese, lo dobbiamo alle ricerche di Francesco Guccini e Giorgio Vacchi (con trascrizione musicale e analisi testuale). L’incipit dell’Orazione: Dove andate madre Maria…?
Piangete, o pecorel (Compianto). Trascrizione di Mauro Lenzi (A.L. Lenzi)
Il demologo piemontese Giuseppe Ferraro pubblicò, nel 1901, un saggio di testi di canti popolari noti in territorio reggiano, comprendenti anche preghiere del ciclo della Passione: Il Giudizio finale (con riferimenti alla Croce, alle cinque piaghe del Signore e al dolore della Madonna), due lezioni de La Passione di Gesù Cristo (la Santa Croce e i dolori della Madonna, in una versione più ampia rispetto a quella pievese, riportata in precedenza), nonché strofette che esprimono, come commentano altri studiosi, l’ansiosa attesa della fine della Quaresima con i suoi digiuni e le sue astinenze, ed elenca i tradizionali cibi pasquali (Baldini-Bellosi: 184-185):
Sàbet Sant, Sàbet Sant/Parcoss t’è stèe tant?/Parcossa ch’ì n’ t’è gnùu?/E n’ho brisa podùu/Dmenga mattèina/Un piatt ed gallèina,/Un piatt ed cavrett/Un ov benedett (Ferraro 1977: 481-482, 531-533).
Una lezione in lingua italiana, con altri cibi nei due versi conclusivi (un quarto di cappon/un fiasco di vin bon), è stata rilevata anche in territorio bolognese (Trebbi-Ungarelli: 106). Frammenti di Passioni decadute a preghiere private sono stati pure riscontrati in Appennino parmense (Cornilio e Sivizzano), in due versioni. Questa è la strofetta nota a Sivizzano di Traversetolo:
Maria Maddalena/che porta tanta pena/e tant dolór:/la Pasjón del nòster Sgnór (Petrolini: 39, n. 7 e 71, n. 31).
Le ricerche del demologo Ernesto Tammi, in area piacentina (Val Nure e Val Trebbia) hanno condotto alla raccolta della strofetta dei cibi, nota nel reggiano e nel bolognese, nonché di un’ampia Orazione della Settimana Santa, di un frammento di Passione (incipit: Giüda e giüdei), e di un’Ave Maria, di gran lamëint, con San Giovanni e Maddalena (si vedano i versetti sopra pubblicati):
Ave Maria, di gran lamëint/I sa spartissu ‘al Vënërdè Sant,/Côn gran vôs e côn gran piant;/I’ adôrävan Santa Crôs,/Fortëmëint i l’adoravän./Strëttameint i l’abbassävan./San Giôvann da drè la Cros/Al pianziva ad älta vos./-Eterno pianz, o Maddalena,/Eterno pianza in questa pena;/Questa pena e stô dolôr,/l’è la Passion dëll Noss Signor (Tammi: 176-177, nn. 1-2; 178, n. 3; 196, n. 50).
Anche il frammento di orazione noto a un testimone dell’Appennino reggiano può essere, in seguito, opportunamente contestualizzato, grazie ai versi raccolti da uno studioso, i cui risultati sono di alto spessore culturale:
Passa la lancia e la cavalleria/chiodi e martel son preparati. /Passa Gesù che disse:/”Oh, Madre mia,/vado alla morte e voi pazianza abbiate (Varie Case Protette: 106).
Così recita, infatti, una tra le tante orazioni (il corpus emiliano più rilevante, a quanto mi risulta) del patrimonio folklorico religioso rilevato nella pianura reggiana da don Vito Fancinelli:
Vieni Giuvan a consoler Maria…/Iv vést e al mé bon figlio, o viv o morto?”. / ”De sé medra Maria, oh l’ho veduto/in mezz a du ladroun tutto battuto…/”La stréda che i ò fat a la faremmo,/o vivo o morto noi l’incontreremmo!”./Giuda che ’l l’à tradì non gh’è nissuno!/”No quelca madre perderà al suo figlio…/Passa la lanza e la cavalleria…/Passa al Signor el dis: “O madre,/mé a vag a la mort e vu pazienza aviate”./Gesò l’è mort… (Fancinelli: 113-114).
Il parroco raccoglie ben tredici lezioni in quell’area, prive di annotazioni musicali, e avverte: nessuna vi si adegua compiuta e perfetta, come è nelle meravigliose passioni d’Umbria, Abruzzo, Romagna dalle quali derivano (Fancinelli: 103). Rifacendosi alle classificazioni del Toschi, puntualizza che solo una lezione raccolta a Coviolo regge il confronto con un testo romagnolo (Passione Italia Centrale I) e può considerarsi completa; una lezione e due frammenti, sono invece del secondo tipo e tutte le rimanenti sono un pot-pourri dei due compendiati (Fancinelli: 103-114). Lo studioso riporta inoltre brevi preghiere in versi (Ave Maria del Venerdì, soprattutto), nonché frammenti di Orazioni miranti a suscitare compunzione, con puntuali documenti riferiti a Il sogno di Maria e alla Settimana Santa (Fancinelli: 115-135). Lo spazio mi impedisce di trattare più diffusamente di questa importante documentazione, che sarebbe meritevole, peraltro, di uno studio monografico e comparativo, al quale confido di rimandare in futuro. Mi limito, pertanto, a pubblicare un Orologio della Passione, noto a Villa Minozzo, l’unico a quanto mi consta pubblicato in Emilia, del quale una lezione abruzzese compare su un “classico” del canto popolare italiano (Leydi: 97-101):
Preparati l’onore/ l’iva l’ultima cena/e con na faccia serena,/così Gesù parlò:/Dice: serò tradito,/dice, sarò legato,./E Giuda disputato,/rispose: non sarò./Alle DO, il Redentore/lor Giuda i pié lavò,/gli disse: Dì l’errore/ch’io ti perdonerò.//Alle TRE, il Sacramento/vestì un venne allor,/con tutti il cuor contento,/suo corpo dispensò.//Alle QUATT[R]’or si mosse/cun grande compassion,/tra gli Apostoli e i leoni/a Giuda un gran sermon./Alle CINQ’or nell’orto/al bon Gesù gli andò./Alle SEI il Padre eterno,/al re del ciel gli arò./Alle SETT in Giasimina,/la turba lo trovò//”Dio ti salvi Maestro”/allor Giuda parlò./Con un atto modesto/un bacio a Dio donò./Una guanciata alle OTTO/al buon Gesù toccò./Le NOVE schiaffeggiato,/lor Giuda si atturbò./Alle DIECI incarcerato/la turba lo menò./Quando fu accusato/sonava l’UNDES or./Alle DODICI a Pilato/Gesù si presentò./A le TREDICI, di bianco/vesten al Salvator,/per ischerzi una cana,/per deregh più dolor./Cridevan: crucifess!/fu le QUATTORDES or./Pilato se n’affless/che lui non trova error./Legato a n’ai colonna,/fu alle QUENDES or;/battuto e flagellato/fu Iddio con gran dolor./Corona tua di spine,/fu alle SEDIC’or;/fra le tempia divine/il sangue si arrestò./Ale DARSETTE ore/la pena si addoppiò;/quella ingiusta sentenza/al bon Gesù toccò.//Li ciold e le martelle/per lui si preparò,/in cròs, al Redentore/alle DICIOTT andò./Alle DEZNOVE ore/testava in un error./Gesù pieno d’amore/Giovan al se ciamò./La sua cara madre/a lui raccomandò./Prega l’eterno Padre,/pei suoi crucifissor./Alle VENTI da bere/chiedeva il Salvator/gustando acét e fiele,/sol per i peccator./Sonate le VENTUNA/la testa s’inchinò/i preti e alcuni fonti,/gran duolo dimostron./Alle VENTIDUE ore,/Longin a gli passò/con ferro e con furore,/custat a Dio piagò./A le VENTITRE ore/d’in croce lo allevon./La madre con dolore/in bracciol l’al pigliò./Alle VENTIQUATTR’ore/Gesù al sepolcr’andò;/ma sol per nostr’amore,/che tutti al si salvò./Al terzo giorno, intanto/ Gesù risuscitò/con gioia e festi e canto/all’elta gloria andò! (Fancinelli: 135-139).
Teco vorrei Signore (elab. G.Vacchi). Elaborazione di un frammento della Via Crucis tradizionalmente attribuita a Metastasio.
A testimonianza delle ricchezze documentarie di queste Orazioni in terra emiliana, concludo il contributo citando, a titolo esemplificativo, materiali conservati negli archivi sonori del Centro Culturale Stelutis di Bologna e del Centro di ricerca etnografica del Comune di Carpi (Modena). Del primo si vedano (in massima parte con le musiche): Dove andate Madre Maria…? (Guccini-Vacchi: 27-30), Stava Maria dolente, Dalla croce Gesù pende (preghiera presente anche al verso di immaginette religiose), So che del tuo supplizio, Gesù mio che con due funi, O gente che passate, La matènna dé Vègner Sènt, La Pasiòn de Sgnôr.
L’archivio istituzionale carpigiano comprende registrazioni degli anni ’80 del ‘900, con testimonianze recitate di riti tradizionali, nonché un’Orazione del Venerdì Santo e un Dialogo tra la Madonna e il suo figliuolo.
Lo scrivente porge i più sentiti ringraziamenti per la collaborazione agli studiosi Giuseppe Bellosi (maestro delle tradizioni popolari romagnole), Livio Migliori (Accademia dello Scoltenna, Pievepelago, Modena), Luciana Nora (già Centro di Ricerca Etnografica del Comune di Carpi, Modena) e Silvia Vacchi (Centro Culturale e Coro Stelutis).
L’archivio CCS può essere consultato all’indirizzo https://www.corostelutis.org/formlogin.php
Bibliografia
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Borghi, Gian Paolo (ed.), Forme ed aspetti della religiosità popolare nelle feste del ciclo dell’anno (da un memoriale di Anita Alberghini Gallerani), in Zagnoni, Renzo, Renazzo, un popolo, una chiesa, Parrocchia di Renazzo di Cento, Renazzo (Ferrara) 1985, pp. 243-315 (Borghi)
Campani, Corrado Mauro (ed.), Riolunato. Oasi di melodie, Comune di Riolunato, Riolunato (Modena) 1999 (Campani)
Comitato Bolognese dell’Unione fra le Donne Cattoliche d’Italia (ed.), Le principali funzioni della Settimana Santa spiegate al popolo, Tipografia Garagnani, Bologna 1912 (Comitato Bolognese)
D’Ancona Alessandro, Sacre rappresentazioni dei secoli XIV, XV e XVI, Le Monnier, Firenze 1872
D’Ancona, Alessandro, Origini del teatro italiano. Libri tre (Appendice sulla rappresentazione drammatica del contado toscano), Loescher, Torino 1891² (D’Ancona 1891)
Fancinelli, Vito, Testimonianze di vita e di credenze, Bizzocchi, Reggio Emilia s.d. [primi anni del secondo dopoguerra] (Fancinelli)
Ferraro, Giuseppe, Canti popolari della Provincia di Reggio Emilia, Vincenzi, Modena 1901; ripubblicato in Giuseppe Ferraro, Canti popolari piemontesi ed emiliani, Leydi, Roberto e Castelli, Franco (edd.), Rizzoli, Milano 1977 (Ferraro 1977)
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