Riflessioni sulla scrittura e l’esecuzione di un nuovo oratorio
a partire dai versi del Purgatorio dantesco
Musicare il Purgatorio, musicare Dante
Quando ci si prepara a scalare una montagna, la prima cosa da fare è assicurarsi che la propria esperienza, conoscenza e bagaglio tecnico siano all’altezza dell’itinerario scelto; così avviene per la scrittura di un brano musicale. Tuttavia, la montagna da scalare che è stata la sfida di musicare Dante ha presentato in primo luogo il rischio di apparire un’operazione pretenziosa, prima che ambiziosa: per la durata del progetto (un’ora intera di musica), per la giovane età degli autori, e soprattutto per l’inevitabile confronto con l’importanza e grandezza del Sommo Poeta. Quando mi è stato proposto di realizzare un intero oratorio su testi prevalentemente danteschi, una delle mie prime preoccupazioni è stata quindi di escogitare una serie di espedienti atti sia a farmi piccolo di fronte al testo che andavo musicando, sia a rendere l’itinerario adatto alla mia esperienza e preparazione.
La prima linea guida fondamentale che ho scelto è stata quella di lasciare alle parole di Dante la maggiore intelligibilità possibile, e accompagnarle con una musica massimamente semplice e sillabica, che non aggiungesse nulla di più del necessario per lo svolgimento complessivo dell’oratorio: una linea di gregoriano guida fin dal principio il trattamento dei versi danteschi, prima completamente sola, poi accompagnata omoritmicamente da uno, due, poi tre e più strumenti, ognuno “cantante” la propria melodia ma tutti con la medesima prosodia. La sovrapposizione verticale è subordinata all’orizzontalità delle linee, dando origine a più o meno pungenti dissonanze, vero motore della musica. In questo quadro generale, che cerca di sottolineare il testo dantesco, come pietre incastonate lungo il percorso si collocano i vari momenti musicali legati ai testi di altri autori, altre epoche, altre lingue. Qui si trova la massima libertà compositiva e il mio personale divertimento nell’evocare richiami da generi quali il post-rock, la musica minimal, l’ambient, pur nel tentativo di mantenere sempre una coerenza e continuità generale. Alcuni brani sono come incessanti processioni delle anime in Purgatorio (In te Domine), altri si presentano come vere e proprie canzoni dalla vena malinconica (I saw her face) o brillante e onomatopeica (If there were water); non mancano momenti più strumentali e – nella mia idea – avvolgenti, in cui singole parole risuonano assieme agli strumenti come lontane evocazioni.
Questo procedimento generale con il fil rouge gregoriano e i brani “incastonati” mi ha consentito di creare un’alternanza tra ensemble, solisti e coro, in modo che – anche grazie alla strutturazione varia ed efficace del libretto – il rischio di perdere l’attenzione dell’ascoltatore in un’ora di musica fosse ridotto il possibile. Le voci narranti inoltre hanno dato inoltre un’ulteriore possibilità musicale e scenica, fondamentali corridoi tra una sezione e l’altra dell’oratorio ed evocativo commento alle parti strumentali più colorate – o più cupe. C’è poi l’aspetto linguistico, che per motivi di coerenza e di scrittura musicale ha determinato una distinzione nei vari gruppi: l’italiano dantesco, in particolare, è preso a carico quasi esclusivamente dai solisti, mentre l’italiano contemporaneo è affidato alle voci narranti. Il coro si occupa di mettere in musica i brani della letteratura inglese e diversi frammenti in latino; ognuno ha il suo ruolo, musicale e scenico. Dal punto di vista compositivo, i versi danteschi sono musicati in modo regolare, sillabico e omoritmico; i brani in inglese e in latino presentano maggiori complessità contrappuntistiche e una gestione della verticalità più tipica della musica corale contemporanea.
Anche la scelta dell’organico strumentale è stata finalizzata alla massima varietà, non solo individualmente timbrica e coloristica ma anche nelle possibilità di formare degli “ensemble nell’ensemble”: su tutti, il trio d’archi e il trio d’ottoni. Oltre a questi due gruppi di strumenti e al clarinetto, completa l’organico una sola percussione: la marimba. Si tratta di uno strumento sempre più utilizzato e che ho fortemente voluto per la sua capacità di risuonare in modi diversi: questa sorta di enorme xilofono, che deve parte della sua fama al grande compositore Steve Reich, può essere infatti suonato in modo non convenzionale facendo vibrare i suoi tasti con un archetto di contrabbasso, con risultati sorprendenti. La marimba è inoltre a suo modo annunciatrice dell’inizio di ognuno dei quattro quadri, con il gesto che apre l’oratorio. Complessivamente l’insieme degli esecutori si presenta quindi così: quattro solisti (soprano, contralto, tenore e basso), coro misto, otto strumentisti e tre voci narranti. Tuttavia, anticipato da un lungo svuotamento e da un lontano commiato del trio d’archi, il grande tutti finale è di fatto l’unico momento a cui partecipano gli esecutori al completo: voce di un Dante dimentico del peccato e finalmente purificato da Eunoè, puro e disposto a salire a le stelle.
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