Nato da un’idea del grande direttore d’orchestra Claudio Abbado e portato avanti dalla figlia Alessandra tramite l’Associazione Mozart14 APS, il Coro Papageno inizia la sua storia precisamente il 17 ottobre del 2011, quando entrammo nella Casa Circondariale di Bologna per la nostra prima prova. I detenuti ci guardavano incuriositi, chi con occhi divertiti e chi con occhi scettici o addirittura increduli. Era il nostro primo incontro di quello che sarebbe diventato un percorso musicale, culturale umano straordinario. Come si può facilmente immaginare, fare coro in carcere è assai complicato, e ciò è stato possibile solo grazie a un grande lavoro organizzativo da parte della Associazione Mozart14, in sinergia con le diverse anime della Casa Circondariale: l’Amministrazione Penitenziaria e gli agenti di Polizia, da un lato; l’Area Pedagogica e la Scuola, dall’altro. Una collaborazione che potremmo definire, anche questa, di tipo corale. Tutti convinti che la cultura in generale e, nel nostro caso specifico, il fare musica assieme, deve essere un bene a disposizione di tutti e, forse, più che mai di chi è ai margini, per così dire, della società. È stato questo il pensiero che animava il Maestro Abbado quando ebbe l’idea di costituire un coro all’interno del Carcere di Bologna. Ed è con questo spirito, unito alla consapevolezza e alla responsabilità di quanto potesse essere preziosa una attività corale rivolta a detenuti, che ho cercato, assieme alle tante persone che hanno creduto nel progetto, di portare avanti questo sogno, divenuto presto una realtà concreta e di vero supporto psicologico per i detenuti, anche con l’intento di voler contribuire a restituire un maggiore senso di dignità a chi si trova in condizioni di detenzione.
Fino a marzo del 2020, attualmente sono sospese a causa della pandemia, il progetto era così strutturato: una prova settimanale, il lunedì, di circa un’ora e mezza con le sole voci maschili, nella prima parte della mattinata, e con le sole voci femminili, nella seconda parte. Dal punto di vista musicale e didattico, assieme a me, fanno inoltre parte del team artistico anche Stefania Martin, cantante e vocalist, nonché docente di Canto Moderno al Conservatorio di Bergamo, e Claudio Napolitano, pianista freelance di formazione jazzistica, che accompagna anche il coro alle prove e ai concerti. Il loro lavoro garantisce un secondo momento di apprendimento per i coristi, nonchè una attenzione più specifica alla tecnica vocale, alla teoria musicale, al ripasso delle singole parti, e a problemi musicali particolari o di posture scorrette individuali. A questi due momenti si aggiunge, una volta al mese (il sabato mattina), la presenza di circa 25 coristi volontari esterni, che cantano in alcuni dei cori che dirigo in città. Questo terzo appuntamento è didatticamente molto importante, perché significa poter contare su coristi di maggiore esperienza, che assumono il ruolo di vere e proprie “guide” all’interno delle varie sezioni vocali in cui cantano (soprani, contralti, tenori e bassi), favorendo così un più rapido processo di apprendimento dei brani e del repertorio in genere, e facendo scoprire ai coristi detenuti come suonano i brani nella loro interezza, poiché, nelle prove del lunedì, li possono ascoltare al massimo a due voci, provando i gruppi maschile e femminile, separatamente. Ma questo appuntamento è certamente prezioso anche per altri aspetti che vanno al di là del discorso prettamente musicale. Sicuramente quello umano e sociale, poiché le voci femminili incontrano le voci maschili, mettendo in relazione due realtà che, nel luogo in cui operiamo, sono due universi del tutto separati. Dall’altro, è il momento in cui chi sta dentro può venire a contatto con chi sta fuori, e viceversa. Aspetto, questo, che trovo quanto mai prezioso, poiché simbolicamente rappresenta, per i detenuti, che il fuori non si è dimenticato di loro, anzi, se ne prende cura. E del resto, anche per i coristi esterni è un’occasione per conoscere un mondo che, altrimenti, si farebbe molta fatica a immaginare.
Nel corso di questi dieci anni, il Coro Papageno ha accolto alcune centinaia di coristi detenuti. Qualcuno c’è dalla fondazione del coro. Altri, invece, sono stati con noi alcuni anni, o soltanto alcuni mesi. Nella stragrande maggioranza dei casi, le ore in cui si è fatta musica insieme, in prova o in concerto, hanno rappresentato un momento di, perdonatemi questa licenza, “evasione”. Attimi di libertà, ma contemporaneamente, anche l’opportunità per entrare in contatto con le proprie emozioni, poiché la voce ci mette in stretta connessione con noi stessi. Fare musica insieme, poi, significa aderire, più o meno consapevolmente, a tutta una serie di regole non scritte che sono insite nel lavoro di gruppo, in particolare, per quello musicale e corale: il rispetto reciproco, il sostegno tra coristi all’interno di una sezione, l’accogliere nel coro una nuova voce, l’entrare in contatto e in empatia con chi ci sta a fianco e, forse la cosa più importante, l’ascolto dell’altro.
Al Coro Papageno possono partecipare tutti i detenuti che ne fanno richiesta, o meglio, tutti quelli reputati – dall’Area Pedagogica del carcere – compatibili con una attività di gruppo, a seconda anche del reato commesso. Non ci sono selezioni dal punto di vista vocale o musicale, proprio perché convinti che ogni essere umano debba avere la possibilità di esprimersi vocalmente e di vivere la propria musicalità. La voce è un mezzo d’espressione privilegiato del proprio patrimonio culturale ed emozionale. Tutti possono in qualche modo contribuire al risultato finale, e partecipare attivamente al processo di costruzione di esso, ognuno con le sue qualità e i suoi limiti. Ed è per questo che fanno parte del coro persone che amano cantare o che hanno studiato musica quando erano bambini, o semplici appassionati di musica in generale, e allo stesso tempo, nella maggior parte dei casi, fanno parte del coro persone che non hanno mai fatto musica nella loro vita e che, proprio grazie al coro, scoprono la loro voce e il fascino irresistibile del costruire assieme, prova dopo prova, con impegno e dedizione, momenti di bellezza.
Il coro, quindi, si configura, più che mai in una realtà come quella del carcere, come un microcosmo di relazioni, la cui idea costitutiva è la socializzazione, in un comune obiettivo di crescita del gruppo, non solo musicale, ma anche, da tanti altri punti vista.
Primariamente, quindi, il nostro fare musica è soprattutto volto a una musica intesa alla comunicazione di emozioni, più che all’esibizione fine a se stessa. Ma, nel corso di questi anni, ci sono stati anche i concerti. Ogni anno il coro ne ha tenuti due. Il primo, che tra noi che lavoriamo al progetto, chiamiamo “il concerto interno” è una specie di saggio, rivolto ai compagni detenuti non facenti parte del coro. Si svolge tra marzo e aprile, in un periodo dell’anno, cioè, in cui il gruppo si riesce ad assestare dal punto di vista dell’organico e del repertorio. Si deve pensare, infatti, che per la natura stessa del gruppo, alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva, molti coristi non sono più gli stessi: chi, a fine pena, è uscito; chi, a inizio pena o in attesa di giudizio, è appena entrato. Solo i coristi detenuti veterani e i coristi volontari esterni, che sono sostanzialmente sempre gli stessi da tanti anni, sono il nucleo stabile del coro, quello che ci garantisce di non dover ripartire da zero ogni anno. Il secondo concerto è il “concerto aperto al pubblico”. Un vero e proprio concerto in cui i cittadini possono assistere al lavoro svolto durante l’anno. Questo concerto è solitamente arricchito dalla presenza del Quartetto d’Archi Mirus, che accompagna il coro in alcuni brani, con degli arrangiamenti creati ad hoc.
Il repertorio del coro spazia da brani classici a quelli popolari, con una certa predilezione verso la musica etnica, che si è rivelata particolarmente adatta vista la connotazione fortemente interculturale del Coro Papageno. I coristi cantano in moltissime lingue e ciò serve non solo a scoprire paesaggi sonori sconosciuti e lontani, spesso molto affascinanti, ma educa anche a condividere aspetti culturali e, talvolta, religiosi, diversi dal proprio, in un’ottica di conoscenza reciproca, di rispetto, di condivisione. E la musica (o forse, dovremmo dire “le musiche”), lo sappiamo, sono linguaggio universale per eccellenza, capace di avvicinare persone e far vibrare anche i cuori più distanti.
Nel corso degli anni, ci sono poi stati anche importanti eventi che hanno portato il Coro Papageno a cantare fuori dal carcere. Nel 2016, per ben due volte: la prima, nell’Aula del Senato della Repubblica per la Festa Europea della Musica, su invito del Presidente del Senato Pietro Grasso; la seconda, in Vaticano, in occasione del Giubileo dei Carcerati, alla presenza di Papa Francesco. Nel 2017 è stato prodotto il docufilm “Shalom! La musica viene da dentro. Viaggio nel Coro Papageno”, regia di Enza Negroni, produzione Proposta Video di Valeria Consolo in collaborazione con Associazione Mozart14 e Film Commission Emilia-Romagna.
Coro Papageno – Concerto alla Casa Circondariale di Bologna – 10 Giugno 2016 ( © Gaia Degli Esposti)
Ultimo in ordine di tempo, nel 2019, con un grande concerto al Teatro Manzoni di Bologna, in cui il Coro Papageno ha avuto il privilegio di cantare accompagnato da un trio d’eccezione, il Trio del famoso jazzista Uri Caine. Da ricordare, inoltre, quando venne a trovarci in carcere la popstar Mika, nel 2016, per registrare con noi l’Ave Verum Corpus di Mozart, andato poi in onda nel programma “Stasera Casa Mika” su RaiDue.
Certamente, questi momenti sono stati tutti particolarmente intensi, e hanno lasciato un grande segno dentro di noi e dentro ai coristi. Tanto quanto lo hanno fatto, però, anche gli sguardi di gioia e gratitudine dei detenuti, i loro piccoli gesti, le lettere di ringraziamento, i pensieri e persino qualche dono (non potrò mai dimenticare la bacchetta da direttore d’orchestra, in legno, fattami da un detenuto che si cimentava nella falegnameria del carcere). E ancora, gli abbracci, le lacrime di gioia alla fine dei concerti, alle ultime prove prima della pausa estiva, quando ci si separa per un po’ di tempo, e tutte le emozioni vissute, tante quante sono state le note che abbiamo cantato e che speriamo di poter cantare ancora in futuro.
Ad oggi il progetto è temporaneamente sospeso e l’Associazione Mozart14 ha purtroppo dovuto chiudere le sue attività, colpita come tante altre realtà che operano nel sociale, per mancanza di fondi. Prima della sua chiusura, si è però impegnata per mettere in sicurezza i suoi progetti, e per individuare enti e realtà del territorio che possano far tornare a vivere il Coro Papageno.
A settembre del 2021 il Coro Papageno ha ricevuto la “Turrita di Bronzo” da parte del Sindaco di Bologna Virginio Merola, un importante riconoscimento della città di Bologna nei confronti del progetto. E le sue parole sono state: “un’esperienza unica, che deve continuare con il sostegno delle istituzioni e dei cittadini. Un augurio da parte mia, che per voi sia un nuovo inizio. Mi avete insegnato che la chiave per giudicare un paese è la condizione carceraria e credo che questo sia oggi ancora più valido”. Sono proprio le sue parole e questo riconoscimento recente che riaccendono in noi la speranza e l’ottimismo che il Coro Papageno possa nuovamente tornare a cantare e a creare, ancora, i suoi momenti di infinita bellezza.
In copertina: Coro Papageno e Uri Caine Trio – Concerto all’Auditorium Manzoni Di Bologna – 4 Maggio 2019 (© Roberto Cifarelli)
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