Alberico cantava nel primo coro in cui entrai quindicenne e di cui divenni, anni dopo, il direttore.
Basso e grasso, barba sempre mal rasata e ispida: ma sotto l’aspetto truce, che gli aveva meritato il soprannome di Pietro Gambadilegno, celava un carattere timido e sensibile.
Un giorno mi raccontò la sua storia, di lui e Teresina, che divenne sua moglie per quasi mezzo secolo.
Una domenica mattina pedalava, assieme a un amico, lungo i Prà dei Gai, la vasta golena del Livenza, appena questo entra nel trevigiano: sentirono cantare in lontananza e si diressero da quella parte. Erano Teresina e le sue sorelle che rientravano, cantando, da messa. Le seguirono, videro dove stavano e tornarono la sera. Per diverso tempo Alberico andò a far filò, a trascorrere, cioè, le serate invernali nella stalla, l’unico luogo di casa caldo, chiacchierando, raccontando storie e, soprattutto, cantando, mentre gli uomini riparavano attrezzi e le donne cucivano, con la famiglia di Teresina. Soprattutto cantando. In quella casa il canto era tenuto in alta considerazione: cantare era obbligatorio e mai qualcuno sarebbe stato accettato nel filò se non si fosse unito nel canto.
Ma c’era un problema: Alberico non sapeva cantare perché in casa sua era assolutamente proibito. Non lo voleva il padre, che immaginiamo truce non solo nell’aspetto, ma soprattutto nell’anima. Così Alberico, per amore di Teresina, imparò a cantare: e trovò, in un colpo solo, l’emancipazione, l’amore per lei e per il canto. Per mezzo secolo non abbandonò né l’uno né l’altro dei suoi amori finché, ancora attivo come corista, Alberico e Teresina si spensero, a pochi giorni di distanza, senza sapere l’uno della malattia dell’altra.
L’ho sempre trovata una grande storia d’amore, di musica e di vita. Non solo Teresina, ma anche il canto furono una conquista. Come i cavalieri antichi, Alberico superò le prove per ottenere l’uno e l’altra.
Ora che un po’ alla volta riprendono tutte le attività, ora che lentamente ricominciano anche le nostre prove e i nostri concerti, abbiamo imparato anche noi che cantare non è cosa ovvia, scontata, ma che poggia su tanti presupposti da conquistare uno per uno, che è misura della nostra libertà fondata sulla salute degli individui e della società. Un anno di silenzio ci fa amare ancora di più il canto, sì che potremmo aggiungere un verso, alla poesia di Emily Dickinson:

L’acqua è insegnata dalla sete.
La terra, dagli oceani traversati.
La gioia, dal dolore.
La pace, dai racconti di battaglia.
L’amore, da un’impronta di memoria.
Gli uccelli, dalla neve.
IL CANTO, DAL SILENZIO.

SANDRO BERGAMO
Direttore Responsabile