Josquin Desprez: analisi del mottetto O bone et dulcis Domine Jesu
Analisi del mottetto di Josquin Desprez (1450 ca.-1521)
I. FONTE
Il mottetto O bone et dulcis Domine Jesu, attribuito a Josquin Desprez,1 risulta pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1504 nella raccolta di Ottaviano Petrucci (1466-1539) denominata Motetti C.2
La raccolta, una miscellanea di mottetti sacri, contiene composizioni di Antoine Brumel (1460 ca.-1513), Loyset Compére (1445 ca.-1518), Nicolaus Craen (1440/50 ca.-1507), Heinrich Isaac (1450 ca.-1517), Jean Mouton (1459 ca.-1522), Jacob Obrecht (1457/58-1505) e Johannes Ockeghem (1410 ca.-1497) oltre, naturalmente, allo stesso Josquin.
La stampa testimone consiste in quattro libri-parte, Superius (32 cc.), Altus (34 cc.), Tenor (32 cc.) e Bassus (32 cc.) ed è conservata in quattro copie nelle seguenti istituzioni:
S – c. 15r
A – cc. 15v-16r
T – c. 15v
B – c. 14r
II. Il Testo
Il mottetto in esame, in virtù della struttura contrappuntistica che verrà analizzata più avanti, è classificabile come un mottetto politestuale, ovvero una composizione che al suo interno ospita nelle diverse voci testi diversi, già a partire dal XIII secolo, contestualmente alla nascita del mottetto nell’ambito della Scuola di Notre Dame, nella seconda fase dell’Ars Antiqua, mentre al Tenor viene affidato un frammento gregoriano misurato e allungato, il Duplum e Triplum cantavano testi differenti contemporaneamente, talvolta anche in lingue diverse. Tale pratica è perdurata nei secoli e solo con il Concilio di Trento (1545-1563) si pose un limite definitivo all’utilizzo contemporaneo di più testi nella stessa composizione liturgica, soprattutto quando questi erano in volgare e di natura profana. Nel caso specifico di O bone et dulcis Domine Jesu, i testi presenti sono ben tre, sebbene tutti siano di natura rigidamente sacra e in latino e nel caso del Tenor e Bassus, tratti direttamente dalla Vulgata:
III. STRUTTURA POLIFONICA
La presenza di ben tre testi evidenzia la caratteristica fondamentale del mottetto. Mentre le voci di Superius e Altus recano un testo particolare, di natura cristologica, un’attestazione di fede difficile da individuare nella sua totalità nelle Sacre Scritture così come nel mottetto viene riportata. Questo è un procedimento abbastanza tipico nei mottetti rinascimentali i quali, a seconda del momento liturgico per cui sono stati composti, possono riportare pedissequamente il testo, ad esempio di un responsorio o di un’antifona, oppure recano testi tratti da più parti della Bibbia o di altri testi sacri, delle miscellanee testuali che talvolta somigliano più a componimenti poetici in latino di argomento sacro liberamente tratti da altre preghiere preesistenti. Il fatto che in genere i mottetti, non avendo una destinazione specifica nella liturgia siano svincolati da un dato cantus firmus, agevola questo tipo di procedimento.
Il caso di O bone et dulcis Domine Jesu è invece molto particolare poiché, in antitesi alle due voci superiori, Tenor e Bassus presentano due canti fermi diversi recanti due testi e le rispettive melodie in canto piano tra i più celebri della liturgia cattolica: il Pater noster e l’Ave Maria. Per meglio cogliere la natura del Tenor e del Bassus sarà utile il seguente confronto:
Tenor:
O bone et dulcis Domine, T, miss. 10-98
Pater noster, intonazione festiva.6
Come è possibile notare dal confronto, il compositore utilizza il tema gregoriano, intonato alla diatessaron7 superiore. L’intonazione variata si deve all’incastro contrappuntistico soprattutto in relazione a quello che sarà il tono invariato del cantus firmus accolto nella parte di Bassus il quale, lo si vedrà in seguito, darà l’impianto modale che rimanderà al protus tutta la composizione.
In genere l’utilizzo del cantus firmus da parte dei compositori rinascimentali non rispetta pedissequamente la lezione gregoriana dal punto di vista melodico: questo perché la relazione con le voci in contrappunto è normalmente soggetta a regole strettissime e per questo motivo la variazione parziale dell’originale gregoriano era un fatto normale. Era comunque sufficiente far sentire lo spunto melodico per poter far comprendere al fruitore la derivazione. Nel caso del primo cantus firmus di O bone et dulcis Domine Jesu, la melodia originale è stata rispettata per la maggior parte. Fanno eccezione le miss. 29-31 e 46-48, dove il tenor si slega dal canto piano e fiorisce nell’esecuzione di una classica cadenza con ritardo 7-6. Alle miss. 83-92, verso la conclusione, il cantus firmus cambia e si ispira più ad un recto tono, estraneo alla lezione diffusa del Pater noster e che non trova giustificazione nemmeno nel tonus simplex. Probabilmente questa scelta è operata a causa del fatto che, volgendo al termine la composizione, i due canti fermi non potevano essere distanziati da ulteriori pause, ben presenti nella voce di Tenor, e quindi il compositore ha scelto di sacrificare il cantus firmus del Tenor in favore di quello del Bassus poiché, evidentemente, non sono possibili combinazioni contrappuntistiche ulteriori. Le scelte ritmiche con cui Josquin ha scelto di misurare il tema del Pater noster, sono chiaramente completamente a servizio dell’intreccio polifonico risultante; è da escludersi, quindi, che queste scelte possano essere state operate in relazione con la tradizione di canto fratto eseguito in quel dato luogo e tempo. L’utilizzo delle ligaturae, invece, esprime la lezione più conservativa possibile nei confronti del rapporto melodia-testo.
Bassus:
O bone et dulcis Domine, B, miss. 10-98
Antiphona: Ave Maria, I toni.8
Il confronto del cantus firmus recato dal Bassus con la versione originale in canto piano, evidenzia che il modo d’impianto, il protus autentico, è stato pienamente rispettato e caratterizza, inoltre, l’intera composizione. Tra le miss. 10 e 49, la lezione antica è stata rigorosamente rispettata, fatta eccezione per le miss. 29-31, dove la linea fiorisce per la formazione di una cadenza evidenziata già in relazione al cantus firmus del Tenor. È utile evidenziare che la parte riportata nella polifonia è relativa alla sola prima parte dell’antifona.
Dalla mis. 50 fino alla fine vi è una ripetizione del testo (Benedicta tu in mulieribus) prima di concludere con et benedictus fructus ventris tui, Jesus. Tuttavia va osservato che sia la ripetizione sia la conclusione della prima parte dell’Ave Maria non risponde più melodicamente all’antico canto piano. Anche un confronto con l’intonazione gregoriana di parte dello stesso testo per la IV domenica di Avvento non rileva analogie. Le ipotesi possono essere diverse: in primo luogo potrebbe trattarsi di un’ispirazione a una melodia dell’antifona, magari usata in ambito locale, oggi sconosciuta; potrebbe essere una sorta di “travestimento” che utilizza un tema musicale di diversa natura inserendo il testo di parte dell’Ave Maria9; come ipotesi si può pensare che le esigenze del contrappunto abbiano costretto l’autore, che già comunque aveva già reso ben riconoscibile nelle battute precedenti il tema originario, a progettare ex novo una sorta di canto ferma che potesse sostenere le altre voci.
L’incastro contrappuntistico dei due canti fermi
L’immagine, recante le voci di Bassus e Tenor, rivela precisamente la tecnica usata dal compositore per mettere in relazione i due temi. Come evidenziato in precedenza, le porzioni di cantus firmus sono sostanzialmente suddivise per ciascuna voce da numeri variabili di pause, questo spezzare le linee ha permesso all’autore di fare interagire l’incipit di ognuna con la conclusione della precedente, con momenti di maggiore o minore interazione laddove le regole contrappuntistiche lo hanno permesso. Gli unici momenti nei quali questa logica viene a mancare sono alle miss. 29-31 e 47-48, quando le due voci fioriscono nella formazione di una cadenza e nella sezione finale dove le melodie, non essendo più vincolate al modello antico, tendono a un maggiore momento di compresenza. Quest’ultima osservazione potrebbe essere probatoria del fatto che tali linee siano state infine progettate dal compositore per coesistere nel momento finale del mottetto senza che necessariamente vi fosse una linea preesistente.
Superius & Altus:
Incipit e ingresso dei canti fermi
Infine le linee di Superius e Altus vanno a completare il mottetto contrappuntando con i due canti fermi.
La sezione iniziale vede le due voci iniziare sole, fino a mis. 12, in modo da introitare l’incipit del primo cantus firmus proposto dal Bassus.
Il mottetto inizia all’unisono per poi procedere semplicemente per terze in catàbasi fino alla mis. 4 dove il movimento discendente dell’Altus, per semiminime, porta il rapporto di consonanza alla sesta; da questo momento le voci procedono in anàbasi dove l’Altus ne descrive una più pronunciata, probabilmente per enfatizzare, tramite questa figura retorica, le parole Domine Jesu. Il primo movimento termina con una cadenza forte tra le miss. 7 e 8, amplificato dal ritardo 2-3 e con il solo prolungamento della nota del Superius per raccordare il primo e secondo movimento. Tra le miss. 8 e 9 nasce la prima imitazione, molto stretta, che vede il Superius riproporre il movimento dell’Altus alla diapente10 per poi muovere sempre in anàbasi assieme ad esso fino alla formazione della nuova cadenza con ritardo 7-6 portato dal Superius (nella precedente il ritardo dissonante era ad opera dell’Altus). Questa cadenza risulta molto importante poiché dà grande solennità alla partenza del primo cantus firmus: l’Ave Maria del Bassus.
L’ingresso successivo, quello del Pater noster proposto dal Tenor, non godrà della stessa solennità prima di essere presentato.
Come è evidente, il Tenor non gode di una cadenza di “presentazione”, tanto meno coadiuvata da un’implementazione tensiva di un ritardo; nasce in maniera molto più evanescente rispetto al Bassus e anzi, sembra diretta conseguenza delle ultime due semiminime in catàbasi dell’Altus il che, chiaramente, ne offusca il principio.
O bone et dulcis Domine, A, T, miss. 14-15
I ritardi utilizzati sono tipici della musica rinascimentale. Si osserva una prevalenza nell’utilizzo del Superius come voce foriera della dissonanza. Nella composizione sono presenti altre dissonanze in momenti evidentemente considerati di passaggio dall’autore i quali, tuttavia, non sarebbero considerati leciti da altri compositori del XVI secolo. Tali dissonanze sono riscontrabili a miss. 4, 14, 17, 21, 25, 27, 35, 46, 50, 52, 59, 61, 65, 68. 69, 75, 77, 79, 81, 89, 90. Va evidenziato che le dissonanze osservate sono utilizzate dal compositore solo quando il raccordo di passaggio è effettuato da due semiminime, come nell’esempio:
O bone et dulcis Domine, S, A, T, B, mis. 27
Le imitazioni presenti sono scarse e non di ampio respiro; le voci coinvolte sono sempre il Superius e l’Altus, questo perché libere nel loro contappunto a differenza del Tenor e del Bassus legati al cantus firmus. Il fatto poi di dover comunque modulare la propria esistenza su ben due canti fermi non ha certamente concesso al compositore di esprimere lunghi momenti imitativi.
Per il medesimo motivo della classificazione delle imitazioni presenti, ovvero il fatto che Tenor e Bassus svolgono la funzione di cantus firmus e sono quindi legate all’antico canto piano, le figure retoriche11 rilevate sono state ricercate nelle sole voci di Superius e Altus.
Tra le numerose figure riscontrate le più significative, perché foriere di un forte legame con il testo cantato, sono:
Anàbasi dell’Altus a mis. 26-28: in questo caso la figura retorica mostra una pronunciata ascesa in concomitanza delle parole tuam pietatem, così da sottolineare “l’altezza” salvifica della pietà divina.
Ipèrbole del Superius a mis. 58 e dell’Altus a mis. 63: in due voci diverse la figura in questione è applicata sulle parole tua. Il riferimento a Dio di questo aggettivo è motivo di eguale slancio verso l’acuto da parte di tutte le voci.
Ipòbole dell’altus a mis. 73: molto pronunciata, descrive infatti un’intera ottava, questa figura si applica alle parole servus tuus, ad indicare quindi l’estrema sudditanza alla divinità.
IV. CRITERI DI EDIZIONE
La copia scelta per la presente trascrizione e per gli esempi sopra riportati è Q.61, conservata presso la Biblioteca internazionale e Museo della Musica di Bologna. La copia è segnalata anche nel catalogo Gaspari.12
Edizione dei testi
Il titolo delle composizioni è uniformato all’incipit testuale delle voci di Superius e Altus. I testi dei canti fermi sono uniformati alla versione ufficiale già nella stampa e non sono presenti varianti testuali.13 La divisione in sillabe dei testi latini rispetta l’etimologia delle parole. Nelle stampe il testo è posto sotto le note, la scriptio continua è abbandonata ogni volta che una sillaba deve essere cantata per più di una nota. Ciò ha agevolato la trascrizione del testo. Nel caso di ligaturae all’interno del brano, la sillaba figura in corrispondenza della prima nota della ligatura. Ai testi sono stati aggiunti i segni di interpunzione e sono state sciolte le abbreviazioni poste nelle stampe originali in presenza dei dittonghi.
Edizione delle musiche
I testimoni musicali presentano notazione mensurale bianca. Nella trascrizione sono stati rispettati i seguenti criteri:
- i valori delle note e delle pause sono mantenuti eguali ai caratteri a stampa;
- le chiavi musicali originali figurano all’inizio di ciascuna composizione, insieme all’incipit in notazione quadrata; nella trascrizione vengono impiegate le moderne chiavi di violino, violino-ottavizzata e basso, corrispondenti alle estensioni delle singole voci;
- le indicazioni di tempo utilizzate nella trascrizione sono «C» per l’indicazione di tactus originaria di Tempus imperfectum cum prolatione imperfecta.
- le barre di battuta sono collocate nei singoli pentagrammi di ogni voce ma non tra i pentagrammi; le battute generate risponderebbero, in senso moderno, a delle battute regolate dall’indicazione 4/2, tuttavia viene mantenuto, come predetto, il segno di tactus «C» in ossequi al significato originario dello stesso;
- in virtù del posizionamento delle barre di battuta sono state inserite le legature di valore;
- le ligaturae presenti nelle fonti sono state indicate in trascrizione con una legatura quadrata posta sopra le note:
- non sono presenti color e quindi non vi saranno ulteriori indicazioni in tal senso.
- i segni di alterazione presenti nei testimoni sono riportati integralmente e posti davanti alle rispettive note; le alterazioni proposte figurano sopra le note interessate. 14
V. BIBLIOGRAFIA E FONTI
Repertori Musicali
GASPARI 1943
GAETANO GASPARI, Catalogo della Biblioteca del Liceo Musicale di Bologna, 5 voll, Bologna, Libreria dall’Acqua e Cooperativa Tipografica Azzoguidi, 1890-1943.
Liber Usualis 1961
The Liber Usualis, with introduction and rubrics in English, a cura del Monastero Benedettino di S. Pietro a Solesm, Tournai-NewYork, Desclee, 1961.
Missalis Romani 1474
Missalis romani editio princeps. Mediolani anno 1474 prelis mandata (rist. anast.), a cura di A. Ward e C. Johnson, collana Bibliotheca Ephemerides Liturgicae. Supplementa, CLV, Roma, 1996.
RISM B/1
Repertoire International des Sources Musicales, B/I: Recueils imprimés XVIe-XVIIe, a cura di François Lesure, München-Duisburg, 1960.
Repertori dei testi liturgici
Biblia Sacra
Biblia sacra iuxta vulgatam versionem, Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft, 19944.
Bibliografia dei testi musicali
APEL 1962
WILLI APEL, Die Notation Der Polyphonen Musik 900-1600, Leipzig, Breitkopf & Härtel Musikverlag, 1962 (trad.it., Firenze, Sansoni, 1984).
BENT 1994
MARGARET BENT, Accidentals, Counterpoint and Notation in Aaron’s “Aggiunta” to the “Toscanello in Musica”, «The journal of Musicology», XII, 1994, pp. 306-344.
BENT 1984
MARGARET BENT, Diatonic ficta, «Early Music History», IV, 1984, pp. 1-48.
BERGER 1987
KAROL BERGER, Musica Ficta. Theories of Accidental Inflections in Vocal Polyphony from Marchetto da Padova to Gioseffo Zarlino, Cambridge-New York-Port Chester-Melbourne-Sydney, Cambridge University Press, 1987.
CIVRA 1991
FERRUCCIO CIVRA, Musica poetica, Torino, UTET, 1991.
HYDON 1962
GLEN HYDON, The Case of Troublesome Accidental. A Footnote on the problem of Accidentals in Internal Cadences, in Natalicia Musicologica Knud Jeppesen Septuagenario, a cura di B. Hjelmborg e S. Sørensen, Hafniae, Wilhem Hansen, 1962, pp. 125-129.
NG2
The New Grove Dictionary of Music and Musicians, ed. By Stanley Sadie, 29 voll., London-New York, Macmillan Publishers Limited, 2001².
PERLINI 2002
SILVANO PERLINI, Elementi di retorica musicale, Milano, Ricordi, 2002.
Fonti
PETRUCCI 1504
Motetti C., Venezia, Ottaviano Petrucci, 1504.
Note
1. NG2, IX, pp. 713-738.
2. PETRUCCI 1504, RISM B/1: 1504-01.
3. Di questa copia integra esistono due microfilm conservati rispettivamente nella Biblioteca Nazionale Braidense – Milano, coll. Disertori Dis.X.10 e nella Biblioteca della Fondazione Giorgio Cini – Venezia, coll. 1504/1.
4. Biblia Sacra, Lc 1, 28, 42. 5 Ivi, Mt 6, 9-13.
5. vi, Mt 6, 9-13.
6. Per la melodia cfr. Missalis Romani 1474, pp. 180-182.
7. L’intervallo di quarta nella terminologia musicale greca e in quella occidentale tra il Medioevo e il Rinascimento.
8. Liber Usualis 1961, p. 1861.
9 Alle miss. 56-59 la melodia ha delle assonanze con l’intonatio e la mediatio del secondo tono salmodico.
10. L’intervallo di quinta nella terminologia musicale greca e in quella occidentale tra il Medioevo e il Rinascimento.
11. Sulle figure retoriche si vedano: PERLINI 2002 e CIVRA 1991.
12. GASPARI 1943, vol. II, p. 344.
13. Cfr. Biblia Sacra.
14. Le alterazioni sono state proposte nelle sensibili precedenti le cadenze, laddove l’ambito verticale o il disegno imitativo delle voci lo suggerissero o lo imponessero e per evitare tritoni laddove non concessi dalle regole del contrappunto. Sul problema della musica ficta si veda: cfr. APEL 1962; BENT 1984; BENT 1994; BERGER 1987; HYDON 1962.
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