La cucina del Canto – Intervista a Raffaele Giordani
Intervista a Raffaele Giordani
Carissimo, innanzitutto è un piacere ritrovarci, soprattutto visti i tempi. A proposito, come hai vissuto e stai vivendo a livello artistico questa situazione generale così opprimente per il mondo della Musica?
Purtroppo la vivo e l’ho vissuta come una cappa, un manto che appanna e nasconde. Durante il primo lockdown non sono riuscito a cantare nemmeno una nota: mi mancava il senso, il fine del mio studio. Da fine ottobre ad oggi, invece, ho più voglia di ripartire e di impegnarmi, ma devo fare i conti con l’incertezza nell’organizzare, nel programmare, con la quasi impossibilità di pianificare qualunque passo. Così, alla fine, mi ritrovo pronto a ripartire ma, allo stesso tempo, sostanzialmente immobile.
Un amico mi ha fatto notare come il fatto che io viva in modo così sofferente questo periodo sia la migliore prova della del mio amore verso la musica. Ho subìto la ‘mancanza d’aria’ tipica del covid come l’aria che manca per non poter fruire la musica, sia da professionista sia da spettatore.
Come musicisti professionisti, inoltre, credo stiamo vivendo una volta di più la sensazione di non essere riconosciuti come necessari dalla grande parte della popolazione e del mondo istituzionale. Siamo stati un’altra volta i primi a chiudere e saremo gli ultimi a riaprire, come se non fossimo anche noi un settore dell’economia del Paese, come se il nostro non fosse un lavoro, ma solamente una passione. Eppure, come disse Bob Kennedy nel suo famoso discorso, il PIL misura tutto ‘eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta’. Per fortuna, a questa sensazione si contrappongono la voce e l’affetto dei molti appassionati a cui la musica manca proprio come a noi musicisti, che vogliono tornare al più presto a fruire della musica, a vibrare assieme a noi e con noi. Palco e platea sono più vicini di quanto pensassi.
Venendo ai pochi lati positivi, una delle cose più belle e inattese di questo periodo di pandemia è stato il corso di Canto Gregoriano nel quale ci siamo incontrati, tu come professore, io come allievo. Volevo seguirne uno da tantissimo tempo, ma non ne avevo mai avuto l’occasione per mancanza di tempo. Devo dire che è stato davvero bellissimo!
Hai ragione, ci siamo conosciuti proprio durante i corsi di Canto Gregoriano online dello scorso anno, cosa ti ha spinto ad avvicinarti anche a quel mondo e cosa ti ha lasciato?
Il canto gregoriano è una curiosità e un interesse che portavo dentro da tantissimo tempo, senza però mai trovare il tempo per seguire un corso al riguardo. Un piccolo sogno nel cassetto. È stata davvero una coincidenza fortunata che tu, assieme ad AERCO, abbiate deciso di organizzare un corso di Canto Gregoriano online proprio in tempo di pandemia. E che bravo sei stato, Luca! Ancora conservo la passione che hai trasmesso a tutti noi corsisti, la meraviglia legata alla riscoperta di un codice capace di restituire così tanta ricchezza, non solo di arte musicale, di cura del più piccolo dettaglio, di capacità di esaltazione del testo sacro: un’intera filosofia di vita, propria di un modo di vivere e vedere il mondo lontano dal nostro. Eppure sono tutti aspetti capaci di coinvolgere i cuori e le menti degli esseri umani ancora adesso, a distanza di diverse centinaia di anni. Credo che ad avvicinarmi maggiormente a questo mondo sia stata proprio la curiosità che provo per mondi ormai scomparsi, sopravvissuti solo negli oggetti o nelle testimonianze che quelle persone hanno lasciato in eredità attraverso i secoli. È lo stesso senso di fascinazione che mi ha spinto, per esempio, ad avvicinarmi al mondo dei campanari (quei matti che ancora si ostinano a suonare le campane secondo le antiche tecniche tramandate oralmente da tempo immemorabile), del quale faccio parte da anni: un mondo che è destinato a perdersi per sempre, se non ce ne si prende cura.
La tua formazione è multi sfaccettata. Cosa ti ha portato verso il canto e poi verso la musica antica?
Spesso mi chiedo se e in che modo la mia precedente formazione scientifica (sono laureato in Chimica) possa avere influito sulle scelte musicali che mi hanno portato ad abbracciare questo repertorio.
Forse il mio modo di cantare e di interpretare ne risente?
Non ti saprei dire con esattezza. Il fatto che faccia il musicista per vivere è conseguenza di una serie di fattori coincidenti: abilità e studio, certamente, ma spesso penso sia stato un semplice caso fortunato della vita.
Da ragazzo cantavo nel coro della parrocchia del mio paese, poi sono passato in un coro amatoriale di Ferrara, la città dove son cresciuto, nel quale ho imparato ad amare il canto corale: il mio primo indimenticato amore. Questo periodo di avvicinamento alla musica corale è stato fondamentale per creare quell’interesse che ha guidato le mie scelte successive. Ho frequentato il Conservatorio G. Frescobaldi di Ferrara e poi, prevalentemente grazie a una rete di conoscenze e relazioni costruita man mano, sono entrato in contatto con cori professionisti e gruppi che facevano musica rinascimentale o barocca. Cantavo dal madrigale a Bach, dalla musica del medioevo a quella contemporanea, cercando di imparare quanto più potevo. Per molto tempo non mi sono focalizzato su un singolo periodo o stile, ma sono stato ‘onnivoro’ e ho cercato di implementare la mia ‘cassetta degli attrezzi’ per ogni evenienza: senza averne reale coscienza stavo andando a bottega. L’incontro con il mondo dell’opera lirica è avvenuto più tardi, quando ormai avevo capito che i miei contatti erano saliti di quantità e – soprattutto – di qualità e avevo sentito l’esigenza di studiare la tecnica del canto in modo più completo ed efficace possibile. Sono ripartito praticamente da zero, grazie alla pazienza di una insegnante formidabile, correggendo errori tecnici (quanta fatica!) ed avvicinandomi alla tecnica lirica del belcanto italiano. Ho pensato più volte alla possibilità di abbracciare la carriera della lirica, ma la passione per il canto barocco e rinascimentale ha avuto sempre il sopravvento e così non me la sono mai davvero sentita di abbandonare il mio primo amore. Almeno finora…
Dunque, cosa consigli di fare ai molti – anche amatori – che si avvicinano al canto in ensemble ristretti?
Cercare di emozionarsi con la musica, prima di tutto, di trovare piacere nel farla. Consiglierei di ricercare la bellezza nascosta nei dettagli con curiosità e, vorrei dire, stupore. Impegnarsi per migliorare sempre la propria arte, sia nelle capacità tecniche vocali sia in quelle di ascolto durante l’esecuzione. Credo che aumentare la consapevolezza delle proprie capacità sia una cosa alla portata di tutti, ma che sia particolarmente necessaria per quelli che intendono aumentare il livello della ‘sfida’ entrando in un gruppo ristretto.
Per un amatore, non credo che il risultato finale debba per forza essere imperativo (entro certi limiti, ovviamente): lo deve essere, però, l’impegno nel percorso personale che si fa, secondo le proprie capacità e secondo il tempo a propria disposizione. Questo vale anche, e soprattutto, per chi volesse avventurarsi nel mondo del professionismo o anche… per un direttore amatoriale come sono io!
Eccoci al dilemma: cantare con o senza direttore?
Un vero dilemma, sì! Una domanda molto delicata che credo appartenga prevalentemente al mondo della musica barocca e rinascimentale, e che può contemplare risposte differenti, e di molto, a seconda delle situazioni e delle persone coinvolte. Per questa ragione non posso fare altro che rispondere con mie opinioni, date dal mio vissuto, assolutamente personali e discutibili.
Ogni gruppo, a partire da quelli giovanili alle prime esperienze fino ai più esperti e rodati, ha bisogno almeno della figura di un coordinatore, se non proprio di quella di un direttore a tutti gli effetti. Ma anche nei gruppi che si prefiggono di seguire il mito di non avere un reale direttore, i problemi cominciano quando gli esecutori hanno idee interpretative differenti: chi ‘la spunta’ tra loro? Chi decide quale idea seguire? Ci sono casi in cui questo problema non sussiste: generalmente è perché tutti hanno grandissima esperienza e sono stati formati alla stessa scuola di pensiero, altrimenti, semplicemente non hanno idea di come interpretare la musica che stanno eseguendo! Se nel primo caso il rischio è di eseguire in modo piatto, prevedibile e forse noioso, nel secondo caso il rischio è una possibile catastrofe!
Voglio farti un esempio. Talvolta mi capita di cantare in un gruppo mitteleuropeo nel quale il direttore si impegna nel dimostrare che si possono eseguire ottimi concerti senza una reale direzione frontale. Lui canta con l’ensemble e dirige, il meno possibile, attraverso semplici cenni della mano o del corpo. Benché il gruppo sia formato da eccellenti cantanti e strumentisti, questa forzatura sposta la maggior parte dell’attenzione degli esecutori verso l’attaccare e il chiudere insieme, verso l’essere più regolari possibile per salvare la verticalità dell’esecuzione e porta a non prendersi quei piccoli ‘rischi’ calcolati che mettono movimento e quindi aggiungono vita all’interpretazione. Quando si eseguono brani polifonici in cui la verticalità è la cifra compositiva principale, tutto ciò si avverte meno. In altri generi del vasto mondo della musica barocca avverto invece che questo modo di fare toglie all’esecutore quella libertà espressiva capace di stupire, quando gestita con intelligenza. In questi casi ho spesso l’impressione che suoni tutto perfettamente ordinato ma algido.
Caso particolare credo sia il madrigale. In questo genere, a mio avviso, la direzione frontale sarebbe da evitare. Certamente può essere utile a scopo didattico o quando il direttore, esterno al gruppo, abbia necessità di fare intendere meglio la propria idea in fase di studio. Poi credo occorra lasciare che il gruppo si gestisca da sé (a volte il tipico gesticolare italiano può essere un vantaggio!) o che il compito di condurre venga lasciato a qualcuno dei cantanti. Meglio ancora sarebbe che il direttore del gruppo fosse uno dei cantanti dell’ensemble. Nel madrigale, specialmente in quelli più tardi, spesso ogni cantore deve sia condurre sia seguire gli altri a seconda che incontri una frase propositiva o che segua la proposta di un altro. Quando il gruppo è abbastanza affiatato può capitare che, durante il concerto, l’ascolto reciproco e il ‘rischio’ calcolato che ognuno apporta all’esecuzione crei un’atmosfera ed una interpretazione sorprendentemente differenti da ciò che si era stabilito durante le prove. In special modo nel madrigale, credo che solo stando dentro il gruppo, cantando e vivendo sulla propria pelle questo scambio di energia il cantante – direttore possa davvero condurre senza dirigere.
Cambiamo argomento: abbiamo una passione in comune, la cucina. Ho potuto verificare le tue doti direttamente, che connessioni ci trovi con la musica?
Ahi, tasto dolente! Quella banalissima ricetta, che ti ho proposto quando hai accettato il mio invito a pranzo in occasione della tua docenza alla masterclass di Canto Gregoriano che avevo organizzato a Ferrara, rappresentava la vetta della mia arte culinaria: ben poca cosa rispetto alle tue gustose ed elaborate ricette!
Benché non possa dire di avere un’autentica passione nel cucinare, credo che le connessioni tra musica e cucina esistano eccome. La musica si può assaporare, si può gustare, si possono mettere le mani nella ‘pasta’ della musica, la si può maneggiare; anche le assi del palco hanno un odore tipico. A volte, quando canto, ho come la sensazione di ‘degustare’ un suono oppure, in particolari momenti di un’esecuzione, di ‘annusare’, ‘fiutare’ un particolare dettaglio dell’interpretazione. Specialmente quando canto in piccoli ensemble o accompagnato dal continuo o da un pianoforte soltanto, spesso ho la sensazione di poter ‘assaporare’ la musica che mi circonda con tutti i miei sensi.
Sinestesie. L’esperienza artistica che ti ha segnato maggiormente per combinazione di emozioni distanti tra loro?
Credo che le esperienze artistiche maggiormente capaci di segnare un artista derivino dalla conoscenza delle persone con le quali collabora. Trovo sia particolarmente interessante poter lavorare con validi direttori, colleghi più bravi di te e in ambienti diversi, perché ognuno di questi lascia qualcosa che puoi portare con te nel tuo bagaglio di esperienze. Ciò che sono lo devo a tutti questi incontri ed è una fortuna poter ricordare tanti momenti importanti per la mia formazione, tante difficoltà superate, tanti dettagli appresi imparando il mestiere. Un’esperienza artistica è anche la lezione di canto, sia quando ti sembra di aver imparato qualcosa di nuovo, sia quando torni a casa convinto che non ce la farai mai.
Anche nel ruolo di direttore del mio gruppo amatoriale devo ammettere di aver vissuto emozioni molto contrastanti: il peso della responsabilità, la tensione dell’organizzazione e della gestione delle prove, magari le arrabbiature, per poi rendersi conto della gioia che ti assale all’improvviso quando capisci che il concerto sta andando bene e lo leggi negli occhi soddisfatti dei coristi che si sono affidati a te con fiducia. Quando capita così ho i brividi di gioia.
Un’ultima domanda. Il tuo sogno rimasto ancora nel cassetto?
In verità ho la fortuna di aver già tolto dal cassetto alcuni sogni. Altri ne ho e ne avrei da realizzare, ma noto che spesso hanno l’abitudine di formarsi una volta realizzatone uno. Così quel cassetto è sempre pieno di frammenti di sogno o di idee messe alla rinfusa in attesa di trovare proprio ordine. Nel 2020 avevo programmato di dirigere il Requiem di Duruflé in una collaborazione tra cori ferraresi (avevo incluso anche te per darci lezioni sul gregoriano, come sai): un sogno che avevo nel cassetto da tantissimi anni. Spero di poterlo realizzare prima o poi. Altri piccoli sogni sono legati a particolari brani che vorrei poter eseguire come cantante professionista, che non ti dico per scaramanzia! E poi c’è la voglia di poter dirigere sempre di più, un desiderio ancora in nuce, cercando di imparare sempre meglio la nobile arte di condurre quando si può e di dirigere quando è necessario.
Ti ringrazio, Raffaele, per il tempo che hai dedicato ai lettori di FarCoro, tutti i nostri migliori auguri!
Raffaele Giordani
È laureato in Chimica e in Canto Rinascimentale e Barocco. Collabora con i migliori ensemble italiani ed europei di musica antica, tra cui: Concerto Italiano, Vox Luminis, Coro e Orchestra Ghislieri, Malapunica, Odhecaton, De Labyrintho.
è membro de La Compagnia del Madrigale fin dalla sua fondazione. Nel repertorio solistico concertistico di epoca barocca o più tarda sono da segnalare opere quali svariate cantate ed oratori di G. F. Händel e di J. S. Bach, Combattimento di Tancredi e Clorinda, Vespro della B.V.M. di C. Monteverdi, Requiem di W. A. Mozart, Petite Messe Solennelle di G. Rossini, collaborando con direttori quali, tra gli altri, Rinaldo Alessandrini, Claudio Cavina, Michael Radulescu, Ottavio Dantone, Fabio Bonizzoni, Giulio Prandi, Diego Fasolis, Robert King.
Ha più volte interpretato, in numerosi festival di musica antica e stagioni operistiche teatrali europee e non, diversi ruoli delle tre opere di Monteverdi. Da segnalare i ruoli di Aminta nell’ Euridice di J. Peri e un Pastore nell’Euridice di G. Caccini, Eurillo ne Gli equivoci nel sembiante di A. Scarlatti, Secondo Israelita e Mordecai nell’oratorio Esther di G. F. Händel. Le sue numerose incisioni discografiche vantano importanti premi della critica internazionale. Dirige l’ensemble non professionale I Cantori del Vòlto da quindici anni.
La cucina del Canto – Intervista a Raffaele Giordani
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