Dialogo tra Schola Cantorum e assemblea: minimo comune denominatore è la musica. Questo filo conduttore vuole collegare tra loro due entità apparentemente separate: la Schola Cantorum che solitamente esegue i brani e l’assemblea che generalmente li ascolta in modo passivo e partecipa sempre meno alla liturgia eucaristica.
L’Assemblea, all’interno della liturgia, viene considerata il soggetto della celebrazione e dovrebbe riuscire ad esprimere questa centralità, proprio perché la liturgia viene intesa come ‘azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato’1 e come tale rappresenta e manifesta l’unità dei fedeli che costituiscono un solo corpo in Cristo2. Questo significa che la celebrazione liturgica è azione di tutti: ha come soggetti principali colui che presiede e l’assemblea chiamata ad esercitare il sacerdozio battesimale, assumendo compiti specifici per servire all’altare, proclamare la Parola di Dio, eseguire musiche e canti, accogliere i partecipanti, animare la celebrazione, ecc. Sono tanti i fedeli che restano passivi al canto, forse perché lasciati nell’incertezza, non adeguatamente coinvolti in un’azione corale e quindi cristallizzati nel ruolo di puri destinatari anziché di protagonisti della celebrazione. Ritengo che la scuola sia in gran parte responsabile di questo ‘buio’ che oscura non solo la preparazione musicale personale, ma anche la passione che spinge e fomenta il gusto estetico e musicale dei bambini che, da adulti, con grande probabilità, non avranno potuto maturare un gusto o una conoscenza adeguata in ambito musicale come invece succede per l’arte, la letteratura, ecc., senza aver potuto apprezzare la bellezza del canto e dell’ascoltare musica. Proprio per questo l’assemblea liturgica non deve essere un insieme piatto e confuso di fedeli, una folla estranea di persone che assistono al rito ciascuna per conto proprio, ma deve essere guidata a divenire una vera comunità attiva.
Dunque, l’assemblea, deve manifestare la propria unità anche con la voce, rispondendo al sacerdote nei dialoghi che intercorrono durante la celebrazione, proclamando le letture bibliche, proponendo le intenzioni della Preghiera dei fedeli e partecipando al canto3. La Schola Cantorum è designata ad accompagnare le funzioni religiose nella Chiesa cattolica. Da quando il Canto Gregoriano divenne musica dotta e difficile, automaticamente si rese necessaria la presenza di cantori specialisti ai quali venivano affidate le parti tipiche della Schola. Di questa specializzazione richiesta da esigenze di servizio si hanno già notizie precise sotto Celestino I (422-432) che istituisce la ‘Schola Cantorum’, poi riordinata e consolidata da Papa Gregorio Magno (590-604)4. […] Il tema dell’ascolto è sempre stato fonte di studi, dal famoso otorinolaringoiatra Alfred Tomatis (1920-2001) che dedicò il suo lavoro allo sviluppo di un metodo terapeutico basato sull’ascolto di molta musica mozartiana per favorire un miglioramento delle capacità intellettive di elaborazione, giudizio, associazione, al filosofo Adorno, nella sua ‘Introduzione alla sociologia della musica’, per impostare una corretta analisi parte proprio dal soggetto, cioè dall’ascoltatore, o meglio dal ‘rapporto tra gli ascoltatori di musica, come singoli individui socializzati, e la musica stessa’, fissando una base per una psicologia sociale dell’ascolto5. Quest’ultimo individuò l’esistenza di sei tipi di comportamento: esperto, buon ascoltatore, consumatore di cultura, ascoltatore emotivo, ascoltatore risentito o astioso, ascoltatore per passatempo e fan6. Diventa quindi importante per chi esegue tenere in considerazione le varie tipologie di ascoltatore, o meglio, essere consapevole dei diversi bagagli culturali con cui la persona che partecipa giunge al concerto o all’esibizione musicale. Questo breve intervento riguarda l’ascoltatore che partecipa ad un concerto, ma potremmo trovare un parallelismo anche nell’assemblea che partecipa alla liturgia. C’è chi partecipa alla Messa domenicale in modo puntuale, risponde e dialoga con il sacerdote in modo attivo e sicuro, chi invece segue in modo maggiormente ‘passivo’ gli eventi e i momenti salienti della liturgia. Per quanto riguarda il canto è necessario aprire una piccola parentesi sul dibattito post-conciliare riguardante il canto assembleare. Per affrontare questa tematica mi rifaccio ad un articolo di Fulvio Rampi, titolare della Cattedra di Prepolifonia al Conservatorio di Torino ed esperto in musica sacra e Canto Gregoriano, pubblicato sulla rivista ‘Far Coro’7. Egli, sottolinea come «la debole riflessione ecclesiale ha contribuito a determinare un progressivo degrado della prassi liturgicomusicale, con esiti non di rado avvilenti», come la vexata quaestio della participatio actuosa, pietra miliare della riforma liturgica post-conciliare, trasformatasi però in una sorta di assemblearismo estremo e a tutti i costi. «Il canto assembleare è divenuto la “traduzione simultanea” della partecipazione attiva: secondo l’opinione divenuta largamente maggioritaria, tutto ciò che lo esclude si configurerebbe automaticamente come elemento in sé negativo perché in contraddizione ‘a priori’ con tale principio». In realtà, l’autore, ritiene che il canto assembleare dovrebbe essere considerato valore aggiunto e non elemento distruttivo della componente musicale dell’atto celebrativo8. Egli, ritiene inoltre che l’inno, possa rappresentare una delle risposte più concrete e coerenti, poiché il testo originale, la struttura strofica misurata e ripetitiva facilmente memorizzabile, lo fanno diventare un potente strumento espressivo alla portata di tutti. Alla luce di queste riflessioni ritengo importante sottolineare il rapporto di complementarietà tra la Schola e l’assemblea, per assegnare ad entrambe la corretta collocazione nella prassi liturgico-musicale. Si può quindi far cantare l’assemblea con stile semplice, con testi ‘non propri’ e con selettività di forme, creando la subalternità del canto assembleare, viceversa prioritario nelle risposte al celebrante e raccomandabile nei canti dell’Ordinario. «Il direttore d’orchestra non deve, o certo non deve esclusivamente, la sua fama alla capacità di presentare la partitura. Egli è un’immagine, l’immagine del potere che egli personifica visibilmente come figura di spicco e grazie alla vistosa gestualità»9. Con questa definizione il filosofo Adorno sottolinea l’aspetto comunicativo e relazionale del direttore che, attraverso il gesto, comunica in un modo con l’orchestra e in tutt’altro con il pubblico. Questo aspetto apparentemente divergente ci fa in realtà capire che il direttore ha una duplice funzione e che deve essere molto abile nel mantenere un equilibrio tra il ‘poloorchestra’ e il ‘polo-pubblico’. Il direttore diventa quindi il mediatore che interpreta la musica e deve farla arrivare all’ascoltatore; allo stesso modo, in ambito liturgico, il ‘maestro di cappella’ o la figura che si occupa della parte musicale all’interno della liturgia, sempre se prevista, ha il compito di mediare e di creare un dialogo tra Schola Cantorum e assemblea. Avrà, quindi, il compito di preparare la ‘Schola Cantorum’ ad esprimersi con una certa qualità vocale e musicale. Daniela Contessi, docente di ‘Esercitazioni corali’ al Conservatorio ‘G. Puccini’ di La Spezia, in un articolo sulla rivista ‘Far Coro’ sottolinea come il lavoro del direttore si svolga anche attraverso una costruzione lenta e paziente della vocalità del corista. «Infatti, quando ci troviamo di fronte ad un coro, si parte proprio dall’analisi del suono che un determinato gruppo di persone può emettere. Questo varia in base a tanti fattori, quali il numero dei componenti, l’età, le condizioni ambientali e alla tradizione musicale che è diversa da regione a regione. L’apprendimento della tecnica sarà così utilizzata per ottenere un ‘colore’ uniforme e specifico di quella realtà corale»10. Ma per quanto riguarda l’assemblea, chi ha il compito di guidarla durante la celebrazione liturgica? Matteo Ferraldeschi, frate e direttore di canto gregoriano, ritiene che in realtà il ruolo del sacerdote celebrante, se è in grado di cantare, sia determinante nel coinvolgere l’assemblea a prender parte attiva al canto nella Liturgia. Nel suo articolo sulla rivista ‘Far Coro’ utilizza quest’immagine per far comprendere meglio il suo messaggio: «il gregge va dove lo conduce il pastore». Anche nel Documento ‘Musicam Sacram’ viene evidenziato che l’actuosa participatio è anzitutto interna: occorre come prima cosa esserci fisicamente e al contempo avere quella disposizione o atteggiamento interiore per cui mente, cuore e sensi si conformano alle parole che si pronunziano o si ascoltano12. Matteo Ferraldeschi rivela la propria sorpresa nel constatare come «non appena io canti le parti che mi spettano, l’assemblea d’improvviso si svegli, tenda le orecchie e levi il capo e lo sguardo verso di me; non tanto verso di me ma verso l’altare o l’ambone: mi viene da dire dunque che il canto del celebrante è un canto che orienta: orienta la preghiera, orienta il cuore e i sentimenti, orienta i sensi, la vista, l’udito. Lo stupore si fa ancora più grande poi quando mi rendo conto che il mio canto provoca immediatamente la risposta dei fedeli, nelle acclamazioni, nei dialoghi»13. Secondo Ferraldeschi, dunque, il popolo assume un atteggiamento più attento e devoto e cala più spontaneamente anche quel sacro silenzio. «Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la schola cantorum o coro, il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto. Quello che si dice della schola cantorum, con gli opportuni adattamenti, vale anche per gli altri musicisti, specialmente per l’organista»14. Per concludere, ritengo quindi che il direttore debba aver consapevolezza del proprio ruolo di mediazione tra pubblico e orchestra, il ‘maestro di cappella’ o organista o direttore di coro debba avere le necessarie competenze per creare questo dialogo tra assemblea e Schola Cantorum e, non per ultimo, il sacerdote sia chiamato a guidare l’assemblea con il canto per coinvolgere in modo appropriato ed efficace tutti i fedeli. Nel periodo postconciliare, una superficiale interpretazione delle indicazioni in merito alla partecipazione dell’assemblea, all’importanza della Schola (diventata ‘gruppo di canto’ dove la priorità era la socializzazione), al compito dell’animatore che dall’ambone guidava il canto, ha sicuramente favorito un decadimento di questi ruoli. Anzi, la tendenza era appunto quella di considerare nociva esibizione ciò che invece è fondamentale all’azione liturgica, dato che si tratta di parole, gesti, silenzi, suoni e movimenti e come tali vanno gestiti con competenza e misurata autorevolezza.
Il programma dei brani strutturato per la prova finale ha cercato di rendere partecipe l’assemblea attraverso la recitazione di testi e l’ascolto attivo con pagine che vanno dal Canto Gregoriano alle composizioni di autori contemporanei, grazie anche all’utilizzo del Linguaggio dei Segni (LIS) e di movimenti scenici. Infine, l’assemblea è stata coinvolta nel canto di un corale a cui è seguito un mottetto (sul tema del corale) composto per l’occasione ed eseguito dalla Schola.
Canto gregoriano Victimae paschali laudes
Thomas Tallis (1505 ca. – 1585) If ye love me
Paolo Lorenzani (1640 – 1713) Cibavit eos
Johann Sebastian Bach (1685 – 1750) Ach bleib bei uns, Herr Jesu Christ
Felix Mendelssohn (1809 – 1847) Er nimmt auf seinen rucken (Christus)
Benjamin Britten (1913 – 1976) Procession (A ceremony of carols)
Benjamin Britten (1913 – 1976) This little babe (A ceremony of carols)
Roberto Di Marino (1956 – ) Beata viscera
Mario Lanaro (1957 – ) Ne timeas Maria (L’Annunciazione)
Cristina Zanella (1990 – ) Laudate Dominum mottetto per assemblea e schola cantorum
NOTE 1 Ordinamento Generale del Messale Romano, OGMR 16, Capitolo I, IMPORTANZA E DIGNITÁ DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA.
2 Ordinamento Generale del Messale Romano, OGMR 91, Capitolo III, UFFICI E MINISTERI DELLA MESSA.
3 Cfr. Lazio Sette: 25 febbraio 2007, p. 11, tratto da https://liturgia.diocesifrosinone.it/formazione/abc-della-liturgia/83-lassemblea.html, ultima consultazione 27/08/2019.
4 Pellegrino Santucci, Cultura e Scuola, XIV, 1975, ottobre-dicembre, p. 113.
5 Adorno T. H., (1971), Introduzione alla sociologia della musica, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino. p. XI.
6 Ibidem, p. XII e XIII.
7 ‘Il canto dell’assemblea liturgica fra risorsa ed equivoco’ di Fulvio Rampi, pubblicato 12 Aprile 2018, tratto da https://www.farcoro.it/canto-dellassemblea-liturgica-fra-risorsa-ed-equivoco.html, ultima consultazione 28/07/2019.
8 Ibidem.
9 Adorno T. H., (1971), ibidem, p. 129.
10 ‘La vocalità corale’ di Daniela Contessi, pubblicato 20 Giugno 2009, Aggiornato 7 Febbraio 2018, tratto da https://www.farcoro.it/la-vocalita-corale.html, ultima consultazione 13/07/2019
11 ‘Il ruolo del celebrante: la partecipazione attiva’ di Matteo Ferraldeschi, pubblicato 1 Maggio 2017 , aggiornato 3 Gennaio 2018, tratto da https://www.farcoro.it/ruolo-celebrante-partecipazione-attiva.html, ultima consultazione 13/07/2019.
12 Cfr. Istruzione del «Consilium» e della Sacra Congregazione Dei Riti Musicam Sacram, del 5 marzo 1967, n. 15 a.
13 Ibidem.
14 Ibidem.
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