Come nasce una composizione per coro di voci bianche? Per quello che mi riguarda nasce sempre dalla contingenza: mi capita di scrivere in occasione di concorsi, di pubblicazioni, in questo caso un po’ per mettermi alla prova, oppure per semplice necessità scolastica. Nella mia principale attività di docente di strumento alla Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale mi trovo più che altro a dover arrangiare per organici strumentali spesso improbabili (che so, un’orchestra composta da arpa, clarinetto, flauto e pianoforte), ma ogni tanto capita che ci sia qualche buona classe sotto il profilo vocale che ispira una prosecuzione dell’attività corale anche dopo i primi mesi di scuola quando già si suona qualche nota con lo strumento. E allora si pone il problema del repertorio. Ogni coro ha le sue particolari esigenze e necessità, per questo la ricerca di un repertorio adeguato va fatta “su misura”. Spesso anche brani rodati in altre situazioni non vanno bene per quel particolare gruppo. Ecco che nasce l’esigenza di scrivere qualcosa ad hoc che magari vada ad affrontare un particolare aspetto vocale o ritmico o tecnico.
In ogni caso, che si scriva per un coro ben preciso, o si scriva per un coro ideale, è chiara l’importanza di avere bene in mente i destinatari del brano, perché sebbene gli obiettivi didattici che un brano si pone possano essere comuni a tutte le età, la modalità in cui si affrontano dovranno tener conto delle caratteristiche cognitive date dallo sviluppo ad ogni determinato momento.
Ci sono degli elementi che a mio avviso non possono mancare in una composizione dedicata a un coro di voci bianche. Innanzi tutto l’aspetto ludico, non tanto per il divertimento fine a se stesso – sebbene sia determinante creare un clima di apprendimento a cui il bambino/ragazzo torna volentieri – quanto perché, com’è noto, il gioco è la modalità principale attraverso cui avviene l’apprendimento per i bambini. Quindi, trovo utile avvalermi di un testo che sia già di per sé accattivante, o perché racconta una storia divertente o perché presenta giochi di parole, o allitterazioni, o onomatopee che suggeriscono un lavoro sul ritmo o sulla sonorità della parola. Cito ad esempio il testo di Moscerini scemi, dell’autore (e pittore) romano Toti Scialoja, dove il significato è reso ancor più surreale dalla prevalenza e insistenza di pochi suoni consonantici:
Se i moscerini scemi vanno a sciami
Da Pescia ad Altopascio e piove a scroscio,
la gita va a finire a scatafascio
Però, è anche vero il movimento opposto, ossia, porre l’attenzione compositiva su certi aspetti, come la corporeità, il ritmo o la pronuncia può già determinare la caratteristica giocosa di un brano. Una composizione che coinvolga nella sua esecuzione tutto il corpo è sicuramente più stimolante, almeno nelle prime esperienze di musica corale, di una che richiede un’attenzione e un controllo specifico ed esclusivo sulla voce – sempre di tipo corporeo, ma più a livello di motricità “fine” dell’apparato fonatorio.
Anche per queste ragioni, amo molto utilizzare il coro “parlato”, perché permette di esplorare con maggiore libertà aspetti che poi si ritrovano in altra veste nel repertorio corale da concerto. Partendo da queste premesse, vorrei ora soffermarmi su aspetti specifici presenti in alcuni miei brani per coro di voci bianche.
Ritmo
Sappiamo come in una melodia l’aspetto di altezza delle note (il profilo melodico, appunto) sia strettamente collegato al parametro delle durate dei suoni, quindi all’aspetto ritmico. Per questo motivo, curare la precisione ritmica è determinante. Il coro parlato, alla Carl Orff, mi permette di trattare separatamente la competenza ritmica, che presumibilmente diventerà più efficace quando sarà interconnessa al profilo melodico. In genere uso spesso sovrapposizioni di ritmi semplici, che aiutino l’indipendenza ritmica delle singole voci. Trovo sia più facile, soprattutto con bambini più piccoli, lavorare sull’indipendenza delle voci usando brevi frammenti parlati, piuttosto che un intero canone tradizionale.
In questo esempio, tratto da Moscerini scemi, sovrappongo un ritmo in crome ad uno in semiminime, che scandisce la pulsazione, su cui si innesta poi un glissando in minime. È un modo per lavorare sulla suddivisione a livello intuitivo e però già “polifonico”, con in mente l’obiettivo dell’indipendenza delle parti.
La precisione ritmica è molto collegata ad una articolazione precisa delle sillabe, in particolare delle consonanti. Sempre nello stesso brano, con anche lo scopo di evidenziare i suoni ricorrenti già presenti nel testo (“S”, “SC”, “P”…) isolo quindi una sola consonante e ne costruisco una sorta di motivo percussivo:
che viene poi riproposto in imitazione sfasata di mezza battuta:
creando così una sovrapposizione a imitazione, ritmicamente più interessante.
Un tipo di sovrapposizione ritmica più complessa, volta sempre all’indipendenza delle parti è il canone ritmico, o il fugato ritmico. Anche in questo caso, il coro parlato aiuta a concentrarsi sulla precisione della propria parte e sull’indipendenza senza in più il pensiero dell’intonazione precisa.
Infine, il ritmo ha sempre a che fare con la dimensione corporea, da cui trae origine: sappiamo l’elaborazione del ritmo avviene nel cervelletto, la parte più “primitiva” del nostro cervello, che presiede anche al movimento. Per questo, un brano che abbia caratteristiche ritmiche spiccate, facendo appello alla dimensione motoria, sarà anche più coinvolgente per il giovane cantore.
Corporeità
Proprio per quanto si è appena visto, scelgo spesso di inserire veri e propri interventi motori, sottoforma di body percussion. Ad esempio in Plaudite, Psallite (Giro Giro Canto 7) su suggerimento del testo ogni voce accompagna il suo ostinato con il battito di mani, o inserendosi nelle pause (voce 1 e 2), o accompagnando il ritmo della parola (voce 3) per ritrovarsi con lo stesso ritmo alla fine dell’ostinato. Oltre che per una funzione esplicativa del testo (plaudite manibus), il battito di mani, essendo un un suono percussivo non vocale, fornisce una differenziazione timbrica, ma soprattutto mira al coinvolgimento del corpo nel canto, che richiede coordinazione.
Nel Fantasma del castello (Giro Giro Canto 2) uso la body percussion più per creare effetti che come elemento ritmico: la pioggia, il vento, i lampi e i tuoni, un temporale, insomma, forse la più abusata delle imitazioni della natura, ma sempre di grande efficacia con i piccoli. In questo caso, poi, la body percussion è ritmicamente libera, perché mira più ad ottenere effetti agocici e dinamici, diventando così un’occasione per sperimentare in modo attivo un andamento (in accelerando e rallentando o in crescendo e diminuendo) di gruppo, da eseguire seguendo le indicazioni chironomiche del direttore oppure basandosi sull’ascolto per arrivare a gestire da soli il momento di passare da un andamento al suo opposto.
Anche in questo brano, la parte ritmico-percussiva è demandata al parlato, attraverso l’uso di sillabe onomatopeiche nella voce 2 che rendono esplicito il significato del testo cantato dalla voce 1.
Vocalità – emissione – respirazione
L’aspetto motorio riguarda anche quei meccanismi che governano la produzione della voce cantata, ovviamente a livello di motricità fine. Per me, diventa quindi importante suggerire nel brano delle modalità di lavoro in quella direzione: esplorazione del registro/estensione vocale, percezione e attivazione della muscolatura addominale, emissione, risonanze. È chiaro che non si può avere la pretesa di approfondire queste competenze in un solo brano, ma trovo interessante a livello didattico la possibilità di utilizzare un pezzo destinato ad un’eventuale esecuzione in concerto per affrontare, a livello intuitivo e sperimentale per il bambino, qualche questione tecnica, in modo che la finalità esecutiva ed espressiva non sia mai separata da uno studio prettamente tecnico.
Scendendo più nel concreto, faccio riferimento all’esempio riportato in precedenza (es.3), in cui si costruiva un ritmo percussivo a partire dall’isolamento del suono “P”. Oltre all’intento “ritmico”, l’obiettivo era anche quello di porre attenzione alla cura dell’articolazione delle consonanti. Questa è anche strettamente legata ad aspetti fisici di produzione del suono: se torniamo agli esempi precedenti (fig. 3), pronunciare la “P” (bilabiale sorda) in modo che sia udibile richiede un’attivazione notevole del diaframma e dei muscoli della cintura addominale, così come il successivo suono “PF” richiede il giusto dosaggio del fiato sempre a livello diaframmatico per gestirne la durata e l’intensità in diminuendo.
Anche l’uso del glissando nell’esempio successivo ha una chiara intenzione didattica, in quanto permette di esplorare l’estensione vocale e le risonanze nei limiti di quello che sono le reali possibilità del cantore in quel momento. Com’è noto, non tutti i bambini passano naturalmente dalla voce di petto a quella di testa; il glissando è una modalità abbastanza istintiva per far capire empiricamente il passaggio di registro e sperimentare suoni molto acuti o, viceversa, molto gravi senza bisogno di cercare un’intonazione precisa, ma quella più consona al tipo di estensione del cantore.
Con lo stesso obiettivo vanno intesi anche la risata e i suoni “paurosi” del Fantasma del castello, la prima ancora per stimolare il cosiddetto “appoggio diaframmatico”, mentre i secondi per esplorare il registro di testa assieme alla vocale “U” che permette l’abbassamento e quindi il rilassamento della laringe.
In Ognuno al suo posto (Giro Giro Canto 2), pensato per un coro di bambini molto piccoli, scelgo invece di demandare l’esplorazione del registro vocale acuto ai versi degli animali (per esempio lo squittìo del topolino), mentre l’estensione del canto resta nell’ambito di una sesta. I versi degli animali hanno anche la funzione di introdurre semplici ritmi e possono eventualmente essere affidati a un secondo gruppo di bambini che magari non ha ancora “trovato” la propria voce intonata.
Sempre a proposito di emissione e tenuta del suono, è da intendersi l’inizio sussurrato di Moscerini Scemi, in cui a ogni cantore è richiesta la ripetizione di parole o coppie di parole sul fiato e in crescendo fino al fortissimo, contrastando la naturale tendenza del diaframma a svuotarsi e dovendo trovare istintivamente ciascuno la propria soluzione.
Con lo stesso scopo, il suono “SH” in crescendo o in diminuendo che vuole imitare il vento nel Fantasma del castello (vedi es. 5) richiederà la capacità di dosare bene il fiato per ottenere entrambi gli effetti, facendo ancora appello alla percezione della muscolatura addominale e alla gestione della respirazione diaframmatica.
Sappiamo che un bravo direttore di coro sa usare intelligentemente qualsiasi brano per trarne suggerimenti didattici e operativi, ma se il compositore tiene in conto certi aspetti nel momento dell’ideazione e della composizione del brano può, a mio avviso, facilitarne non poco il lavoro.
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