Nel panorama dei compositori che seguono la generazione dell’Ottanta, Goffredo Petrassi (Zagarolo 1904 – Roma 2003) occupa senza dubbio un posto di innegabile rilievo: in quasi cento anni di vita, ha attraversato il XX secolo lasciando una vastissima produzione, anche nell’ambito della musica corale (specialmente negli anni ’30, periodo di composizione del Magnificat, che gli portò grande successo, e negli anni ‘60/’70). Il suo percorso, sviluppatosi in maniera singolare, poiché iniziato da autodidatta e proseguito in Conservatorio dai ventiquattro anni in poi, ha toccato e sperimentato molteplici linguaggi compositivi: distinguiamo, ad esempio, un periodo neoclassico, in cui Petrassi supera già la tradizione della generazione dell’Ottanta (Casella e Malipiero, tra gli altri) traendo molto dalla musica di Stravinsky e Hindemith; in un’altra fase il compositore si spinge invece verso una tonalità allargata, toccando l’atematismo e con un approccio volto al totale cromatico (non dodecafonico, ovvero l’elaborazione del materiale ed i rapporti tra gli elementi tratti dai semitoni della scala cromatica non vengono organizzati secondo le regole compositive che si applicano alla serie dodecafonica); verso la fine degli anni ’40 abbiamo la musica teatrale e di scena, mentre tra gli anni ’50 e gli anni ’80 va definendosi un tipo di scrittura caratterizzato dalla presenza di personaggi timbrico-figurali, una fase che si sviluppa grazie all’importante lezione di Berio e Ligeti. A questo periodo risale la composizione dei Mottetti per la passione (1965).
MOTTETTI PER LA PASSIONE (1965)
Concepiti per coro misto (Soprani, Contralti, Tenori, Baritoni, Bassi), i Mottetti per la Passione appartengono all’ultima fase del compositore. La loro analisi consente di rintracciare alcuni principi cardine che sono alla base del loro processo compositivo: la gestualità che li caratterizza, ad esempio, che si sviluppa progressivamente conquistando di volta in volta nuovi timbri e nuove altezze, con un simbolico uso dei registri vocali. Dal punto di vista armonico, non si può in questo contesto parlare naturalmente di tonalità, e nemmeno di dodecafonia: si deve invece fare riferimento ad altri concetti, quali quello di campo armonico, (termine coniato da Gentilucci in riferimento alla musica di Berio, che prevede l’esclusione di determinati suoni, se si hanno dodici suoni si parla di totale cromatico), polarizzazione delle altezze, un procedimento nel quale le note sono riproposte sempre alla medesima altezza (come accade in Berio e Ligeti, ad esempio) e intervallarità ricorrenti.
Un altro elemento cui è necessario porre attenzione, per avvicinarsi all’autore, è racchiuso nel modo di trattare il testo: dopo Il canto sospeso di Luigi Nono, ecco la frammentazione totale delle sillabe, che, pur essendo collocate in modo da mantenere all’ascolto una certa comprensibilità del testo (e in ciò consiste il punto di forza di Petrassi, a dispetto di un’avanguardia tendenzialmente contraria in questo aspetto), costruiscono le parole correndo da una voce all’altra; non è raro, infatti, che alcune voci si inseriscano sulla sillaba di una parola senza aver cantato le precedenti o che esse insistano su di una singola parola monosillabica particolarmente significativa nel contesto della frase. Le parole stesse, in breve, diventano un elemento essenziale e polivalente del discorso musicale, che instaura con il testo uno stretto rapporto dialettico.
Ed è forse proprio “dialettica” la parola chiave che può aiutarci ad entrare nel mondo del compositore: un mondo che si muove nell’avanguardia, ma che lancia uno sguardo al passato ed alla sua rielaborazione; un mondo che attesta un profondo disagio comunicativo, specchio delle contraddizioni del Novecento, ma che non impedisce all’autore di elaborare una strategia del tutto personale per tendere una mano all’ascoltatore; un mondo che trova infine efficace sintesi tra la forza della logica, della razionalità e la più sincera umanità.
1.TRISTIS EST ANIMA MEA
Tristis est anima mea usque ad mortem, sustinete hic et
vigilate mecum. Nunc videbitis turbam, quae circumdabit me.
Vos fugam capietis et ego vadam immolare pro vobis.
(II Responsorio per la Feria V in Coena Domini)
Il primo mottetto del ciclo, Tristis est anima mea, rappresenta la consapevolezza di Cristo della sua imminente cattura e del sacrificio che compirà per gli uomini.
A livello formale, la composizione è suddivisibile in quattro sezioni, l’ultima delle quali suddivisa in due sottosezioni, in accordo con la scansione del testo su cui è costruita, secondo l’ordine: A – B – C – D (1 – 2).
La prima sezione A (bb. 1 – 9), presenta una scrittura di carattere prevalentemente omoritmico, mentre un significativo impiego della pausa provoca la sensazione di una campata musicale con attacco in “levare” posto tra gli interventi vocali. Molto evidente è la direzionalità di registro assunta dalla trama sonora, che svolge tre movimenti ascendenti consecutivi (non tuttavia nella voce del basso che, per compensazione, si espande in direzione discendente, eseguendo gli stessi intervalli del soprano per moto contrario), caratterizzati da ampiezza sempre maggiore e da una successione sempre più serrata: ciò avviene in maniera più evidente nelle voci femminili ed in particolare in quella di Soprano. Per contrasto, la dinamica indicata dal compositore non segue l’incremento che ci si potrebbe aspettare, ma, al contrario, giunge fino ad un ppp, dove si colloca, con grande effetto, il parlato afono (presente per due volte all’interno della composizione) sulla parola “mortem”.
La sezione B (bb. 10 – 18) riprende le figure ascendenti, una sorta di levare che consente di raggiungere un maggior slancio dinamico sul battere successivo. Anche questa sezione, come la precedente, termina con l’impiego del parlato afono, questa volta sulle parole “vigilate mecum”, secondo ed ultimo esempio presente nel mottetto: in questo caso sono coinvolte solo le tre voci superiori, mentre Baritono e Basso, in un’escursione dinamica che va dal pp al ppp realizzano una sorta di pedale.
Con la terza sezione C (bb. 19 – 32) raggiungiamo, in concomitanza con un significativo cambio di tempo (si passa da 4/2 a 3/2) il primo vero ed improvviso slancio dinamico verso il f; ha inizio così un procedimento di carattere imitativo, particolarmente calzante sulla parola “turbam”, immagine della folla che si assiepa, in cui le voci svolgono delle entrate “a cascata”, con precisa direzionalità ascendente. Subito dopo l’apice, le voci si disgregano improvvisamente, Soprano e Basso tacciono e, particolare che merita di essere sottolineato, la voce di contralto realizza una linea melodica di carattere “circolare” proprio sulla parola “circumdabit”. Tutte le parti si riuniscono sull’ultima parola (ed ultima sillaba) della sezione: “me”.
La quarta sezione D (bb. 33 – 47) può essere divisa in due sottosezioni, strettamente legate da uno stesso procedimento compositivo: a partire da figurazioni disgregate, da interventi imitativi (realizzati anche per moto contrario) nettamente separati sulla parola “fugam”, si giunge ad una prima riunione delle voci al termine di D1; allo stesso modo, si trova una vera e propria ricomposizione omoritmica con un’espansione divergente al termine di D2, che si conclude però con tutte le voci all’unisono (o all’ottava) sulla nota fa.
A livello armonico, l’analisi non può fare riferimento né ad un contesto tonale né ad un impiego seriale, dodecafonico. Uno dei parametri, come si è accennato, è quello del calcolo delle intervallarità ricorrenti, che consente in ogni caso di riconoscere alcune costanti ed alcune cellule che trovano impiego e sviluppo nel corso del procedimento compositivo: ciò accade ad esempio per l’intervallo, prevalente, di terza minore, cellula che si presta facilmente ad essere sovrapposta per la formazione di triadi; a questo intervallo si affianca quello di nona minore, particolarmente impiegato nell’ultima sezione, caratterizzata dall’utilizzo di un contrappunto in cui non è presente la nota La (campo “difettivo”). Particolarmente interessante risulta la penultima battuta del mottetto, da questo punto di vista paradigmatica: nel breve spazio di una battuta, sono presenti gli intervalli di terza, settima e nona. L’utilizzo della triade, di solito tenacemente evitato in questo tipo di scrittura, compare in questo primo mottetto con una certa frequenza, certamente per precisa volontà del compositore: ne abbiamo riscontro, ad esempio, alle bb. 1, 6, 25-26, 32, 43, 46, sia che questa si presenti con note sovrapposte, sia che si realizzi per sovrapposizione progressiva di suoni (quasi come fossero pedali), sia che le note che la compongano si presentino in successione nella stessa voce, alla stregua di un arpeggio; tale triade, che coinvolge evidentemente tre voci, compare in modo ricorrente in associazione a due note estranee, collocate nelle voci rimanenti.
Un altro elemento di grande interesse, che richiama una scrittura di stampo Bartokiano, è l’impiego, nella sezione B, di cluster di note consecutive, chiaramente delineati in aree corrispondenti all’articolazione del testo.
- IMPROPERIUM
Improperium expectavit cor meum, et miseriam: et sustinui
qui simul mecum contristaretur, et non fuit; consolantem
me quaesivi, et non inveni: et dederunt en escam meam fel,
et in siti mea potaverunt me aceto.
(Improperio del Venerdì Santo (Parasceve))
Improperium, il secondo mottetto, presenta un carattere contrastante rispetto al precedente; una scelta certamente legata all’argomento cardine di questa composizione, ovvero gli improperia, ovvero i rimproveri che Cristo muove al popolo, cieco e debole nonostante le chiare manifestazioni del Signore.
Il mottetto si può suddividere formalmente in quattro sezioni, secondo lo schema: A – B – C – D.
Prima di procedere con l’analisi, è interessante porre l’attenzione su una questione che porrà il direttore ad una scelta delicata: in questo mottetto, infatti, non è presente la voce di baritono, che viene sostituita da un secondo tenore (con relativo cambio di chiave); sarà necessario dunque sdoppiare la voce di baritono, tenendo conto del timbro e dell’estensione delle singole voci e facendole confluire nella sezione più appropriata.
La sezione A (bb. 1 – 23) si apre con le entrate delle voci, dalla più grave alla più acuta, sulla parola “improperium”: le sillabe sono distribuite tra le parti, che, a cominciare dal Basso, si inseriscono, dopo una pausa, ad entrate sempre più strette Si realizza così un climax ascendente, sebbene non tutte le voci sviluppino una direzionalità effettivamente ascendente, se considerate nella loro singolarità: un interessante ed efficace elemento di contrasto. In questo mottetto è di particolare effetto l’uso del sussurrato sulle parole “expectavit cor meum”, spesso impiegato in abbinamento a gruppi irregolari di note: una sorta di collegamento tra le diverse sezioni testuali, che corrisponde quasi sempre ai segni di interpunzione (quali due punti e punto e virgola), un costante monito che accompagna tutto lo svolgimento del mottetto. Nei procedimenti che prevedono entrate scansionate, è con grande frequenza il basso ad anticipare le altre voci, che si raggruppano poi a due a due (voci maschili e voci femminili), inserendosi progressivamente su un “tappeto” sonoro creato dalle note lunghe che le stesse mantengono alla fine del loro intervento.
In generale, la sezione A si caratterizza per un uso tendenzialmente contrappuntistico delle parti, che si riuniscono solo sulla parola “fuit”, in chiusura della sezione. Con la transizione del sussurrato alla voce del Basso, si apre B (bb. 23 – 31), sezione che rivela un espediente mai impiegato fino a questo momento: alla voce del contralto, si sviluppa infatti una sorta di arpeggio riproposto in “loop”, che riassume, tra l’altro, intervalli di terza, settima e nona minore. Non è un caso, certamente, che questo procedimento si collochi proprio sulla parola “consolantem”, in una sorta di madrigalismo. La sezione si conclude con l’omoritmia di tutte le voci, escluso il Soprano, che anticipa la prima parte del testo e mantiene la sua nota.
La sezione C (bb. 32 – 43), cui si giunge, come ci si può aspettare, grazie all’uso del sussurrato, vede in atto un procedimento di entrate in cui le voci si proiettano con grandi salti nella parte più alta del loro registro, in modo specialmente evidente nelle voci di Soprano e Tenore I. La trama delle parti si fa qui di stampo più contrappuntistico, in un progressivo incremento dinamico che giunge ad un fff; proprio in questo punto, la voce del basso si sdoppia a realizzare due note che danno luogo ad un simbolico tritono sulla parola “fel”. Si realizza poi una sorta di lunghissimo pedale, su cui un baritono solo declama la parte iniziale del testo del mottetto, con carattere nettamente contrastante con il sussurrato usato in precedenza. Sul finire di questa declamazione, si apre la sezione D (bb. 43 – 55), quella conclusiva.
Con una scrittura che in parte ci riporta alla sezione A, le entrate delle voci sono organizzate “a cascata”; le singole parti realizzano percorsi fortemente indipendenti, certamente non di carattere imitativo, fino alle ultime battute, in cui le voci si riuniscono progressivamente: prima il Contralto, poi le tre voci inferiori ed infine il Soprano, sull’ultima sillaba, giungendo così all’unisono (o all’ottava) sulla nota do.
La gestione dell’armonia non si differenzia in maniera sostanziale dal primo mottetto della raccolta: anche in questo caso riscontriamo l’impiego di alcune triadi, con particolare rilevanza alla situazione proposta a b. 30, in cui vediamo la sovrapposizione di una triade minore (che si realizza tra Basso, Soprano e Tenore I) e di una triade maggiore (tra Basso, Tenore II e Tenore I), sempre con fondamentale sulla nota La; ritorna anche la presenza di cluster di suoni contigui. Per quanto riguarda l’impiego di intervalli ricorrenti, rimane inequivocabile la predilezione di Petrassi per le terze, le settime e le none minori, anche se, in modo particolarmente evidente in questo mottetto, capita di riscontrare intervalli inusuali in questo tipo di scrittura (realizzati armonicamente o melodicamente): è il caso, ad esempio, del salto di quarta ascendente o dell’intervallo di quinta, consonanze collocate certamente non in maniera accidentale, ma con una precisa volontà del compositore di creare un contrasto con il linguaggio impiegato nella scrittura di queste composizioni.
Se per un verso la riflessione svolta presenta una sua autonomia concettuale, per l’altro sollecita un lettore interessato al suo completamento con l’analisi dei rimanenti due Mottetti e ad una valutazione conclusiva sugli elementi che animano la dialettica del mondo del compositore.
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