Come affrontare una partitura dal punto di vista vocalico e timbrico

In questo articolo vedremo un modello di come studiare una partitura di un brano corale dal punto di vista vocalico e timbrico, fondamentale per l’esecuzione e la sua riuscita artistica.

Il brano che prendiamo in esame è: ‘Sperent in Te’ (composto nel 1946) di Lajos Bárdos, emerito compositore e maestro ungherese del ’900, non molto conosciuto in Italia, ma certamente tra i più interessanti compositori del panorama corale europeo.

Il testo del brano, in latino, è l’Offertorio della Messa della terza domenica dopo la Pentecoste ed è tratto dal Salmo 9, versetti 11,12,13.

TESTO

TRADUZIONE

Sperent in te omnes,

qui noverunt nomen tuum Domine,

quoniam non derelinquis quaerentes in te:

psallite Domino, qui habitat in Sion,

quoniam non est oblitus orationem

pauperum.

Sperano in te,

tutti coloro che conoscono il tuo nome o

Signore,

poiché tu non abbandoni coloro che ti

invocano:

cantate al Signore, voi che abitate in Sion,

perché non ha dimenticato la preghiera dei

poveri.

 

Il canto d’Offertorio, nato per accompagnare la processione offertoriale e la presentazione dei doni, fa da sfondo ad un’azione rituale. Per tradizione è un canto che appartiene più alla Schola (quindi del coro) che all’Assemblea – che richiede quindi anche una cura timbrica e vocalica più adeguata – e ha lo scopo, dopo i ritmi serrati della Liturgia della Parola, di trasmettere un’opportuna distensione a favore di un’adeguata preparazione alla Liturgia eucaristica. È possibile coprire le parole del celebrante, mentre enuncia le frasi dell’offerta sui doni.

Il Salmo 9: Dio trionfatore sugli empi, attribuito a Davide, è un ‘acrostico’, cioè ogni verso comincia con una lettera dell’alfabeto ebraico. È un inno alla giustizia di Dio che salva gli uomini e umilia gli empi.

I tre versetti scelti da Bárdos (11, 12, 13) sono dedicati in particolare alla fiducia nel Signore che non abbandona mai l’uomo, e all’invito a cantare inni e a narrare le sue opere (il riferimento canoro è certamente non secondario).

Questo aspetto propone già un’attenzione sull’aspetto timbrico ed espressivo importante, che dovrà essere comparato con la notazione e i riferimenti dinamici ed espressivi della partitura, che vedremo di seguito.

Il brano a quattro voci miste è composto in Fa minore e, oltre alla scala minore naturale e melodica, Bárdos fa uso (come spesso in molte sue composizioni) della scala modale dorica trasportata (in questo caso una terza sopra). Lo capiamo dal fatto che la nota Re è talvolta bemolle, talvolta bequadro, come nel Protus antico. Questa scelta consente di mettere in relazione e in dialogo: gusto modale e gusto tonale.

L’ethos dell’aspetto modale e il gusto della scala minore naturale, sono aspetti altrettanto importanti per impostare il giusto approccio timbrico vocalico ed espressivo del brano.

Gli antichi, per il modo dorico, dicevano che occorreva cantare con solennità, austerità, atteggiamento regale. Il modo minore naturale (col Reb), ammorbidisce, però, questo aspetto, rendendolo più dolce e appunto ‘naturale’. Fa evitare anche il ‘tritono’ (Lab-Sib-Do-Re bequadro), quello che gli antichi chiamavano ‘diabolus’, che rende il profilo melodico aspro, duro e non consonante.

Dalla partitura, notiamo infatti come si districa bene questo dialogo tra i due modi.

Il corista dovrà tenerne conto impostando una modalità di canto dolce e morbida, ma certamente con un suono vocalico molto presente e sonoro, evitando però lirismi e vibrati eccessivi, che indurrebbero a ‘profanare’ il brano e soprattutto il testo di questa preghiera.

All’inizio, comparabile col celebrante (essendo un salmo) da bat. 1 a bat. 3 prima dell’entrata dell’Assemblea (tutto il resto del coro da bat. 3), la solennità di questa melodia discendente (che richiama anche il ‘passo di lamento’) e la richiesta di una presenza vocalica è chiaramente visibile.

I Bassi, dovranno comunque tener conto della successiva entrata del coro, soprattutto a bat. 5, quando le armonie si sviluppano su due accordi molto aperti, ma allo stesso tempo delicati ( I7 – terzo rivolto di II7, con la quinta alzata).

Basta cantare in modo del tutto naturale e interpretivamente senza enfasi eccessiva. Questo consentirà un dialogo e un passaggio di testimone vocalico con tutto il coro ben concatenato e uniforme, esattamente come dovrebbe avvenire durante la Messa, tra il celebrante e l’assemblea al Salmo durante la Liturgia della parola.

 

La composizione, in tre sezioni, può essere così suddivisa:

I sezione (batt. 1-11); II sezione (da anacrusico di bat. 12 a bat. 23); III sezione (da anacrusico di bat. 24 a fine brano).

L’indicazione agogica Tranquillo molto, il tono d’impianto scelto, la sonorità e l’ambito pacato e riflessivo, sono coerentemente in sintonia con le richieste del canto all’Offertorio della Liturgia della Messa; suggeriscono le indicazioni generali di come occorre affrontare ed eseguire, sia a livello espressivo e interpretativo sia timbrico il brano nel suo insieme.

Entriamo ora nello specifico dei tre raggruppamenti del brano suddivisi.

I sezione: composta da un breve episodio d’esordio dei Bassi e successivo contrappunto con parti omoritmiche massive (tra Soprani, Contralti e Tenori) e parti imitative (dei Bassi).

La direzionalità dell’esordio melodico, affidato ai Bassi, è nel suo insieme ad arco convesso e comprende tutta l’ottava medio-grave (batt. 1-4, da Fa 2 a Fa 1). Questo incipit melodico risulta riflessivo e allo stesso tempo sereno nella sua cantabilità. I Bassi dovranno cantare a piena voce (rispettando la dinamica in mf), utilizzando una pressione d’aria naturale, in modo da non appesantire il suono e renderlo in sintonia con l’inizio della preghiera da eseguire. Per poter trasmettere una adeguata presenza della voce, è sufficiente che si pronunci e si scandisca bene il testo (senza sforzi e tensioni muscolari soprattutto facciali) e si concentri il suono vocalico bene all’interno della bocca, sfruttando come direzione e punto di propagazione del suono il palato.

Si intende proprio il cantare ‘dentro’ la bocca (non fuori come molti fanno), come insegnavano molti cantanti e maestri storici di canto lirico. E come se si creasse una ‘camera d’aria’ all’interno della quale far propagare il suono. Naturalmente il suono fuoriuscirà per ovvie ragioni e in modo naturale, senza spinte inutili ed eccessive.

Le altre sezioni del coro, rispondono in omoritmia massiva con una direzionalità (al contrario dei Bassi) ascendente fino al culmine dell’episodio: DOmine (bat. 6) assumono lo scopo di creare da subito movimento, varietà e dinamicità. Il dialogo tra le direzionalità contrapposte valorizza, in sintonia col contenuto della prima frase testuale, il significato della speranza degli uomini (terreni) nel nome di Dio (nell’alto dei cieli): Sperent in te omnes, qui noverunt nomen tuum Domine (Sperano in te, tutti coloro che conoscono il tuo nome o Signore).

Il propagarsi dei suoni armonici verso le tessiture medio alte dei Contralti e Soprani e più alte dei Tenori, dovrà essere ben equilibrato tra le sezioni del coro.

I Contralti e i Soprani, soprattutto sulla parole ‘Domine’ dovranno cercare di cantare ancora con una voce morbida (viste anche le armonie ancora delicate volute dal compositore), anche per eseguire in modo sciolto e adeguato il breve melisma della battuta.

I tenori, essendo su una tessitura più alta, dovranno evitare di eseguire un suono sforzato, o ancor peggio ‘strozzato’, come spesso può accadere. È sufficiente, man mano che si va verso l’acuto, che si apra sempre di più la bocca (sempre senza eccessive tensioni). Si sentirà, in questo modo, una maggiore facilità fisica e posturale, che consentirà di raggiungere in modo migliore la zona acuta.

II sezione: suddivisa in episodi in polifonia a cascata, contrappunto imitativo e fugato a bisezioni maschili e femminili, omoritmia a pieno coro.

Il primo episodio (batt. 12-13), in polifonia a cascata tra i Soprani, Contralti, Tenori e con il segno di dinamica forte, assume il chiaro compito di invitare (per tre volte consecutive) a cantare per il Signore (psallite Domino). Successivamente si apre, all’unisono e all’ottava, un tratto (teso a rinforzarne l’aspetto melodico) per poi procedere attraverso una linea, ad arco convesso, dalla sonorità ‘soave’ che richiama, anche da un punto di vista figurativo, la collina di Sion. Dall’anacrusico di bat. 14 al primo tempo bat. 19 il nuovo episodio si sviluppa in omoritmia, contrappunto imitativo tra bisezioni maschili e femminili e successivamente ancora in omoritmia massiva a pieno coro, che ha come punto focale ciò che avviene sulla parola: pauperum (poveri). A bat. 14 è interessante osservare come Bárdos, liberando per moto parallelo, attraverso un arco convesso, le voci dei Soprani, Contralti e Tenori, utilizzi lo stesso meccanismo compositivo di batt. 5-6: tiene i bassi in pedale. Questa scelta consente di inserire una delicata fioritura melodico-accordale su una stabile armonia. A bat. 19 le tre voci dei Bassi, Tenori e Contralti, il gesto ritmico puntato con ulteriore accento tonico rinforzato sulla sillaba principale della parola, le quinte parallele strutturali tra i Bassi e Tenori, assumono lo scopo di richiamare fortemente l’attenzione, per poi liberarla in un lieto e commovente momento melismatico (ancora rinforzato a tratti dalle quinte parallele tra Bassi e Tenori). Il momento è “liberatorio” e ci lascia provare, attraverso questo atteggiamento musicale descritto, il sentimento e l’emozione per la sorte dei “poveri in preghiera”. L’impiego della triade vuota senza la terza (cio che di più perfetto esiste), bene trasmette l’esaudimento della preghiera.

Questa sezione è particolarmente ricca di varie modalità compositive, che richiedono allo stesso tempo varie attenzioni anche dal punto di vista timbrico e vocalico.

Sulle parole ‘psallite Domino’ in forte, ci si dovrà concentrare molto sulle sillabe ‘psal’ e ‘Do’. La vocale ‘a’ non dovrà essere esposta e con una posizione molto in avanti (cosa che potrebbe succedere, visto l’attacco così d’impeto), col rischio anche di stringere e irrigidire la gola, ma dovrà essere nella sua posizione articolatoria orizzontale naturale, con la gola molto aperta e morbida, che consentirà ad avere tutto lo spazio necessario per realizzare un suono molto risonante.

La vocale ‘o’ non dovrà invece essere né aperta e in avanti né chiusa (come per esempio per la parola ‘bosco’), ma dovrà essere aperta e in posizione arretrata, dove ha sede l’articolazione naturale di questa vocale. Ricordiamo oltretutto che le parole e la pronuncia latina non sono mai ‘chiuse’.

Un’attenzione particolare dovrà essere rivolta nel passaggio dal raddoppio all’unisono e all’ottava e agli accordi delle parole ‘qui abitat in Sion’.

Un errore tipico è quello di cantare ‘rinforzando’ l’unisono e il raddoppio, arrivando poi al suono accordale in modo più fiacco e disomogeneo.

Il suono all’unisono e in raddoppio ha sempre più massa sonora rispetto al suono accordale, per ovvie ragioni di quantità di persone che intonano lo stesso suono.

Anche se la dinamica rimane sempre in forte, si dovrà dosare bene la quantità di volume e l’attenzione al timbro vocalico, in modo tale da eseguire e sentire equilibrata e omogenea la massa sonora del coro.

Una situazione simile si creerà anche nel rapporto omoritmia-contrappunto imitativo. Il coro in omoritmia ha più peso testurale rispetto a quando canta con entrate diverse.

La questione è certamente anche di tipo ritmico, ma il coro anche in questo caso dovrà prestare attenzione, perché si crei il giusto equilibrio e la giusta omogeneità tra le voci del coro.

Il volume, che si realizza con le spinte muscolari, soprattutto addominali, più o meno forti sulla pressione dell’aria contenuta nei polmoni, è da considerarsi certamente un elemento importante per la riuscita artistica del suono vocalico.

Non solo, il volume entra anche direttamente in contatto e in dialogo col diaframma.

Un errore tipico che i cantori fanno è quello di spingere con i muscoli addominali, per ottenere appunto più volume, lasciando che i polmoni si svuotino in fretta.

Questo farà inevitabilmente risalire in fretta anche il diaframma, facendo perdere l’appoggio e il sostegno necessario sui polmoni, e costringerà il cantore a ‘sforzare’ il suono, sfibrandolo tal punto di vista timbrico.

III sezione: riproposizione della II sezione con variazioni rafforzative testurali nel primo episodio.

Questa sezione, che nella sua struttura complessiva è la riproposizione della sezione precedente, assume lo scopo di ribadire il concetto spirituale già esposto.

Bárdos, ovviamente, non si limita ad una scontata riproposizione per giustapposizione, ma inserisce due elementi varianti che possiamo definire: ‘rafforzativi’ e che hanno lo scopo di enfatizzarne la carica espressiva. Il primo elemento è evidenziato nell’episodio d’apertura: la polifonia a cascata questa volta coinvolge tutto il coro con l’aggiunta di un’ulteriore voce ai Bassi e, in alcuni punti, anche con sdoppiamenti ai Tenori e Soprani, raggiungendo così le sei voci complessive e quindi un aumento di densità sonora. La partenza non è più affidata solo ai Soprani, ma anche ai Contralti, seguiti dai Tenori e dallo sdoppiamento dei Bassi con quinte parallele strutturali.

Questo atteggiamento, con l’indicazione dinamica fortissimo, sposta l’intenzione precedente dall’invito a cantare al Signore ad un incitamento vero e proprio.

Dal punto di vista sonoro ne fuoriesce un crescendo testurale che porta al culmine del brano volutamente sulla parola: PSALlite (cantate). È la parola chiave che può spiegare la scelta contenutistica dei versetti effettuata da Bárdos, il quale, per ovvie ragioni, è particolarmente sensibile al richiamo e al significato del canto.

Il secondo elemento di varietà (più delicato) rispetto alla sezione precedente lo notiamo sulle ultime tre battute del brano, dedicate alla parola: pauperum. Il coro, riprendendo lo stesso stilema precedente, si sviluppa ora con lo sdoppiamento dei Tenori. La parte superiore di essi assume lo scopo di dare un colore in più al tratto melodico finale dei Soprani.

Dal punto di vista timbrico vocalico, si ripropone la stessa situazione precedente, ma essendoci i ‘rafforzativi’ che abbiamo individuato ed esposto, il cantore dovrà tenerne conto.

Da una parte si creeranno in modo naturale, con l’aggiunta di una voce ulteriore. Dall’altra i cantori, devono aumentare il volume, che dalla sezione precedente in f dovranno eseguire in ff, ma allo stesso tempo possono aumentare anche la presenza vocalica.

Questo si ottiene predisponendo la bocca ancora più come una camera d’aria e aumentato ulteriormente l’articolazione delle sillabe, sempre senza sforzi muscolari e soprattutto facciali.

Un altro elemento che aiuterà a stabilire molta presenza vocalica sono le ‘quinte parallele’. Bárdos le inserisce nei Bassi, creando proprio a livello strutturale questa condizione. Il suono delle quinte parallele (come si usava nelle prime forme antiche di polifonia vocale) crea per sua struttura un suono più duro e anche molto presente, soprattutto nella zona grave.

I cantori dovranno tener conto di tutti questi elementi per produrre un suono veramente artistico che rispetti le dinamiche e le condizioni timbriche ed espressive richieste. Si eviterà così di ottenere suoni sforzati, appesantiti che rovinerebbero certamente un’esecuzione più adeguata al testo della preghiera e alla composizione musicale.

Il finale del brano, richiede infatti e non a caso un’attenzione più delicata sulla parola ‘pauperum’ (poveri), che non può essere eseguita, sia per il suo significato testuale sia compositivo musicale, in modo grossolano.

I cantori, che avranno prestato tutte le attenzione adeguate timbriche, vocali ed espressive, sentiranno di arrivare anche in modo ‘naturale e presente’ al melisma delle ultime battute conclusive e all’accordo di Piccarda finale (Fa Magg.), volto a dare volutamente un senso di ‘speranza’ a tutto il brano eseguito e alla declamazione della preghiera cantata.