Il Requiem pizzettiano può essere letto come una rappresentazione dell’umanità sofferente e timorosa davanti alla morte, ma che spera in un Dio che è misericordia e amore. È il Pizzetti uomo, che nel tracciare il grande affresco della morte, insieme con il peso del peccato e della tragedia, da grande spazio alla speranza.
Per condurre un’indagine sull’interpretazione in chiave etica del Requiem è necessario definire in modo esplicito quali sono gli elementi a cui Pizzetti affida tali funzioni. In questo senso situazioni armoniche ambigue tra diatonico e cromatico sono utilizzate in senso espressivo e drammatico principalmente, anche se non esclusivamente, quando il testo si riferisce all’umanità sofferente, come possiamo vedere nel ‘Quid sum miser’ o nell’ ‘Ingemisco’ del Dies irae, per fare qualche esempio. Invece quando si parla di Dio utilizza la modalità e l’armonia diatonica come nel ‘Kyrie’ o nel ‘Rex tremendae’ o nel ‘Sanctus’. La contrapposizione tra diatonico e cromatismo, è uno degli elementi della costruzione drammaturgica del Requiem e veicolo della dimensione etica della sua rappresentazione. Nello schema seguente mostro in sintesi i piani drammatici in cui questo viene rappresentato. Nella tabella le tipologie di procedimenti diatonici non sono specificate, mentre laddove possibile sono stati evidenziati elementi cromatici e dissonanti in rapporto alla parte testuale corrispondente.
DIATONICO | CROMATICO | |||||
BRANO | TESTO | BATTUTA | BRANO | TESTO | BATTUTA | TIPOLOGIA DI AZIONE |
REQUIEM | Requiem | 1-6/ 26-32 | KYRIE | Christe | 59-62 | Progressione cromatica |
Et lux perpetua | 6-13/ 32-39 | |||||
Te decet | 13-25 | |||||
KYRIE | Kyrie- Christe | 40-56 | ||||
DIES IRAE | Dies irae, dies illa | 1-51 | DIES IRAE | Oh | 3- 26 | Presenza di un melisma con cromatismo e intervallo eccedente |
Rex tremendae | 67- 73 | Quid sum miser | 51-67 | Contrappunto ricco di armonie moderne con dissonanze a risoluzione eccezionale, presenza di accordi diminuiti | ||
Salva me | 73- 79 | |||||
Recordare | 81- 97 | |||||
Juste Judex | 98- 103 | |||||
Ante Diem | 104- 108 | Ingemisco-Supplicanti | 107-123 | Contrappunto ricco di armonie moderne con dissonanze a risoluzione eccezionale, presenza di accordi diminuiti, scala discendente cromatica nei bassi I | ||
Qui Maria | 124- 141 | Oh | 3- 26 | Presenza di un melisma con cromatismo e intervallo eccedente | ||
Inter oves- Confutatis-Voca me | 142- 160 | Voca me | 155- 156 | Presenza di cromatismo | ||
Oro supplex- Cor contritum-Gere curam | 159-170 | |||||
Oro supplex Lacrimosa- Judicandus- Huic ergo | 160- 182 | |||||
Pie Jesu | 182-196 | |||||
SANCTUS | Sanctus | 1 37 | SANCTUS | Hosanna | 26- 37 | Progressione cromatica |
Benedictus | 39-66 | Progressione cromatica | ||||
Hosanna | 67- 101 | |||||
AGNUS DEI | Agnus Dei I | 1 10 | AGNUS DEI | Agnus Dei II | 8 19 | Progressione cromatica |
Dona eis | 20- 29 | |||||
LIBERA ME | Libera me | 1 14/ 48- 60 | LIBERA ME | Tremens | 19- 21 | Ostinato con nota di volta superiore cromatica |
Dies illa, Dies irae | 24- 30 | |||||
Dum veneris | 30- 35 | |||||
Requiem | 36-48 |
Il cromatismo in questo contesto è un evidente esempio di rappresentazione del dolore e dello smarrimento. In Dies irae, l’esposizione del primo soggetto, da parte dei contralti e dei bassi è costituito da tre semifrasi in modo dorico sul re. Rispondono, sempre in parallelo all’ottava, i soprani II e i tenori II con una sorta di melisma: è una frase che si caratterizza da un movimento di discesa e successiva salita, con la presenza di una seconda eccedente, del cromatismo sol#-sol♮. Il melisma viene ripetuto come un ostinato dall’andamento tipo arabesco, fermandosi ogni volta su sol#, nota che in rapporto con il re dei contralti e dei bassi si trova in un intervallo di tritono molto esposto, bilanciato in seguito dal la, punto di attrazione del melisma. L’unione delle voci maschili e quelle femminili rende questo gruppo una rappresentazione della massa che, come le pie donne sul calvario di Gesù, commenta esprimendo sentimenti misti di stupore, dolore e angoscia. Qui abbiamo l’incontro tra il peccatore, malato dal male compiuto, e il Sommo Bene che è Dio. L’intervallo di quarta eccedente, che nei secoli ha assunto diverse connotazioni di significato tra il cupo e il diabolico, in questo punto sottolinea un evidente sentimento doloroso e di disperazione, che sembra richiamare alla mente un passaggio tratto dallo Stabat mater di Verdi.
Il dualismo è espresso attraverso la contrapposizione dei melismi e la melodia gregoriana: essi maggiormente s’interpongono tra un verso e l’altro del testo e costituiscono una sorta di commento sonoro, vago e lamentoso, a differenza delle frasi della sequenza che invece sono sillabate e mensuratae in modo preciso e regolare. Sul ‘Quantus tremor’, battuta 10, il primo tema, sempre proposto dalle voci dei bassi e dei contralti, subisce una piccola variazione ritmica arricchendola di melismi e di note ribattute che rendono l’andamento balbettante ed esitante, quasi come una sorta di ‘madrigalismo’ per descrivere meglio la condizione di paura e terrore dell’anima del defunto. Invece si mantiene intatto il vocalizzo dell’inizio dei soprani e dei tenori II. Il tutto avviene in una sonorità di piano cupo per chi ha la melodia e pianissimo per le voci che hanno il vocalizzo.
Un altro esempio dove lo stato di paura e smarrimento dell’umanità viene messa in rilievo attraverso i mezzi musicali lo troviamo sempre nel Dies irae: la descrizione del luogo del giudizio che il testo presenta è resa drammatica e inquietante ancora dalla presenza della quarta eccedente. Sul ‘Tuba mirum’, battuta 19, per sottolineare l’effetto della tromba del giudizio finale, vi è un improvviso e brevissimo mezzoforte con un nuovo tema, in modo dorico, proposto sempre dai bassi e dai contralti con le altre sezioni che mantengono il melisma iniziale. Il sol# del contralto e del basso II di fine frase si sovrappone al ritorno del tema iniziale ma trasposto a fa sul ‘Per sepulcra regionum’, battuta 22. Questo cromatismo e la seconda eccedente sono ancora una volta un richiamo alla presenza del male. Interessante notare in questi due passi la presenza di un altro intervallo tipico, re-mib, seconda minore ascendente, che Pizzetti utilizza nelle situazioni di maggior pietà e compassione. Quindi insieme alla situazione di terrore e di paura, vi è comunque sempre uno sguardo di pietà per l’umanità peccatrice. In altri punti Pizzetti utilizza l’intervallo di quarta eccedente o di quinta diminuita per caratterizzare momenti di intensa drammaticità. Come sulle parole ‘fons pietatis’ del Dies irae, al termine dell’accorata richiesta di salvezza del ‘Salva me’ la terza volta cambia l’armonia, ritorna il si bemolle e la frase si chiude nell’indeterminatezza e nell’incertezza data anche dall’accordo di sol minore settima con la quinta diminuita. Qui l’anima dopo un’accesa richiesta di salvezza carica di luce di speranza data dall’armonia in maggiore si chiude nello sconforto del dubbio.
Nell’’Ante Diem orationis’, battuta 103, l’incertezza del giudizio è data dall’accordo sospeso finale: terzo rivolto della settima di dominante sul fa.
Per esprimere sempre uno stato di smarrimento e di incertezza si ripresenta l’intervallo di quinta diminuita, parte di un accordo di settima, in altri due passi del Requiem sempre alle parole ‘parce Deus’.
Altri momenti in cui Pizzetti vuole sottolineare la drammaticità della situazione sono realizzati sia con le caratteristiche musicali appena descritte ma anche attraverso armonie dissonanti di none e di settime. Come nella descrizione della condizione umana rivelata nell’episodio del ‘Quid sum miser’, da battuta 51 del Dies irae, dove il tessuto polifonico si carica di tensione e di sofferenza, un piano dolente ricco di cromatismi e di accordi diminuiti e di maggior densità, le voci da sei diventano otto, con la distinzione tra contralti I e II e bassi I e II. Vi è inoltre la presenza di due temi: il primo ai bassi II con la ripresa del motivo del ‘Dies irae’, e l’altro che allude al precedente Kyrie in modo frigio, affidato prima ai contralti II, poi a canone anche alle altre voci.
Interessante notare che la presenza dell’intervallo di seconda eccendente mi-fa# è presente anche nel passaggio tra la cadenza del ‘Christe’ e la ripresa del ‘Kyrie’ nel Requiem iniziale, b. 64. Sicuramente non è un caso, Pizzetti attraverso questo forte contrasto armonico vuole accostare il senso di inquietudine dell’anima e la richiesta di pietà a Dio. Lo stesso uso armonico e dinamico lo abbiamo quando si vuole rappresentare il senso di colpa e lo smarrimento chiaramente espresso con l’’Ingemisco’ successivo, levare di battuta 109, dove vi è evidente uno sforzo per amplificare, attraverso la musica, il testo. Qui le diverse dimensioni espressive si sommano: la staticità della nota ribattuta in valori lunghi dei bassi I, movimento fermo e deciso dei tenori II e l’inflessione cromatica della nota di volta superiore nei contralti I e soprani I, ogni volta con una diversa interpretazione metrica. Il coro torna a quattro voci miste, l’andamento diventa Sostenuto e dal piano di fine frase, l’episodio parte in mezzoforte. Nella descrizione dell’uomo giudicato ‘Ingemisco tamquam reus, culpa rubet vultus meus, Supplicanti parce Deus’ sono presenti tre elementi melodici: il richiamo a ‘quid sum miser’ e quindi al Kyrie, il tema del Dies irae affidato ai tenori II, e il tema cromatico discendente. Nei soprani I vi è una progressione con l’uso dell’appoggiatura (7-6, 4dim.-3, 4-3) con senso negativo. La seconda eccedente nel tenore richiama, con un intervallo melodico alterato, la quinta diminuita armonica presente nel melisma iniziale del Dies irae. Il basso I nella seconda parte del verso ribatte la nota la che funge da pedale di riconduzione alla dominante che prepara la ripresa del tempo I. Il contesto armonico è possibile definirlo quasi tardoromantico, riconoscibile non solamente nella serie di collegamenti funzionali, ma nella possibilità di realizzare delle risoluzioni eccezionali: l’accordo non conduce sempre verso la consonanza che si aspetta ma ad un’altra armonia dissonante a sua volta. Sicuramente è una scelta compositiva motivata dal testo stesso che ci presenta immagini della colpa che fa arrossire, dell’invocazione supplicante a Dio, ovvero di quei sentimenti che erano già presenti nel ‘Quid sum miser’, ma in questo passaggio il senso del timore e tremore è più intenso e drammatico. Ritornando al Dies irae, a seguire il contrappunto armonicamente ricco dell’’Ingemisco’ vi è la richiesta di perdono e di salvezza accorata ed intensa delle voci, che qui sono sei, sulle parole ‘Supplicanti parce Deus’ per poi pian piano spegnersi con i soli soprani e tenori II sul piano: al cospetto di Dio l’umanità è fragile, e di fronte al giudizio finale non può pretendere ma solo aspettare il verdetto. Il cromatismo è presente, come possiamo notare dalla tabella, anche quando il testo si riferisce a Cristo che è Dio fatto uomo. Nella lettura di Pizzetti, anche Cristo non è esente da questa presenza e lo possiamo constatare nei prossimi esempi.
Sono tutti esempi di progressioni cromatiche che portano sempre a tonalità maggiori: la nel caso del ‘Christe’ e del ‘Benedictus’ e reb per l’’Agnus Dei’. Non è un caso che le armonie al termine delle progressioni cromatiche siano tutte maggiori. Il cromatismo risolve sempre in situazioni diatoniche per dare un chiaro senso del bene che trionfa sul male. Infatti, dalla ricorrenza di alcune situazioni armoniche specifiche si può constatare come Pizzetti utilizzi determinate sonorità con una connotazione etica. Ad esempio, il la maggiore viene impiegato nei momenti di preghiera più intensi: come nell’’exaudi orationem’ del Requiem.
A battuta 20, l’umanità di Pizzetti si esplica ancora meglio su un forte, mai raggiunto, primo e unico nel Requiem-Kyrie, con indicazione di agogica molto espressiva, sull’accordo di la maggiore, la sola sezione dei contralti canta ‘exaudi orationem meam’ alla quale rispondono quasi omoritmicamente, in pianissimo, le altre voci ad eccezione di quella profonda dei bassi II. Dopo il pieno del coro ecco che si leva la preghiera di una voce femminile, che invoca quella salvezza tanto agognata dal defunto. Il la maggiore viene utilizzato per esprimere lo stesso concetto anche in due altri esempi come nel ‘Voca me’ del Dies irae.
Particolare è l’uso del la maggiore che troviamo nella seconda ripetizione del ‘Dum veneris’ del Libera me. Nelle tre volte che ripete il frammento, solo nel secondo, Pizzetti altera il do all’inizio del verso.
Nell’interpretazione in chiave etica delle aree armoniche, il sol maggiore occupa un ruolo altrettanto simbolico: viene utilizzato dove nel testo si parla di salvezza e quindi uno stato di beatitudine.
La morte non è la fine, secondo il pensiero di Pizzetti, e lo rivela in questo esempio in cui tutte le voci entrano per rispondere alla disperazione dell’uomo delle battute iniziali, cantando la speranza della luce eterna. Infatti, rispondono, a canone, in pianissimo, all’incipit dei bassi II, le altre voci. L’entrata dei soprani e poi dei tenori, prima delle altre, e il si bequadro, che determina il passaggio dall’atmosfera creata dal re minore passa al solare sol maggiore, rendono l’atmosfera luminosa, e le parole la colmano di speranza: ‘Et lux perpetua luceat eis’. Su luceat eis i bassi II, a battuta 8, addirittura fanno un arpeggio di settima maggiore sul sol, armonia ardita e intensa che colpisce ancora di più in un contesto modale. Il fa# come un’appoggiatura ascendente verso il sol che invece scende al mi: una sorta di nota sfuggita superiore, molto caratteristica dello stile operistico non certo per un brano di musica sacra. Questo disegno melodico, come uno squarcio di luce improvviso ma destabilizzante in uno scenario di buio e cupo dolore, sottolinea la preghiera drammatica di augurio della luce eterna per il caro defunto. Altri passi con la presenza significativa dell’armonia in sol maggiore sono il ‘Salva me’ del Dies irae dove alla forte richiesta di salvezza dell’anima l’utilizzo di questo accordo fa presagire che essa otterrà con certezza la pace eterna. Il sol maggiore lo abbiamo anche in un contesto diverso ma dal medesimo significato: un momento estatico, sottolineato anche da una pausa che porta al Sostenuto ma pianissimo e dolce del conclusivo ‘Pie Jesu’, levare di battuta 183, che si presenta con un arpeggio in sol maggiore con imitazione fra tenori e soprani, per giungere alle parole ‘dona eis requiem’ quasi in omoritmia e in un momento di forte impatto sonoro ed emotivo.
L’armonia di sol maggiore la ritroviamo infine nel ‘Dominus Deus Sabaoth’ del Sanctus, bb. 11-12 e nel ‘Requiem’ del Libera me. Nella topografia delle aree armoniche del Requiem un ruolo particolare spetta a fa maggiore. Essa viene associata con l’immagine che Pizzetti vuole dare di Dio, un’immagine che non è quella di un giudice severo di cui avere paura ma quella di un padre amorevole e misericordioso: nel ‘Sanctus’, bb. 1-6, e nell’’Hosanna’, 30-37 e 90-101, del Sanctus e nel ‘dona eis requiem sempiternam’ dell’Agnus Dei.
Al termine dell’Agnus Dei l’utilizzo del fa maggiore, con un evidente richiamo ai due esempi precedenti del Sanctus, ha il chiaro intento di accostare Dio, sommo bene, alla pace del riposo eterno del defunto. Concludo presentando un’ultima chiave di lettura che trovo particolarmente significativa. Il tema iniziale della Messa viene ripreso al termine del Requiem, dai contralti, nel secondo movimento di battuta 25. Un quarto e mezzo dopo, impiegando la classica figura retorica della catabasi per dare il senso dell’avvilimento, i bassi primi fanno una scala discendente di re minore, imitati prima dai soprani e poi dai tenori; i bassi II invece tengono un lungo pedale sulla tonica re. Sul ‘dona eis, Domine’ arriva la pace del fa maggiore, che come ho già scritto in precedenza è sempre accostato a Dio sommo bene. Tutto questo abbinato ad andamento in forma omoritmica di tutte le voci sulla sonorità del mezzoforte rende più intensa ed accorata la richiesta di pace eterna al Signore.
Questo passo ha notevoli analogie con un punto del Libera me dove si riprende lo stesso testo: sul calmo dolce del ‘Requiem’, battuta 36, il soprano e il tenore fanno una scala ascendente di sol maggiore a distanza di terza, mentre i bassi fanno un lungo pedale sulla quinta sol-re. Qui Pizzetti utilizza la figura retorica dell’anabasi, in contrapposizione alla catabasi del Requiem, per dare il senso dell’ascesa a Dio. Su ‘Et lux perpetua luceat eis’ il soprano, dalla metà di battuta 42, esegue la scala di re maggiore discendente che, armonicamente parlando, dalla dominante la giunge alla tonica re maggiore. Se nell’esempio precedente l’arrivo alla pace e al fa maggiore era dato da un’armonia di re minore, quindi un ‘dona eis’ carico di una speranza incerta ancora avvolta dal dolore, qui si giunge a ‘luceat eis’ che è certezza della luce eterna che splenderà nell’anima del defunto. Tenendo conto che queste sono le ultime battute scritte dal Maestro, quanto affermato acquista ancora più senso. In questo modo anche il ritornello conclusivo del ‘Libera me’ ha tutto un altro significato rispetto a quello iniziale.
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