Chi si pone alla guida di un qualsiasi tipo di compagine corale o strumentale dovrebbe possedere, oltre a un buon orecchio e altrettanto senso ritmico, una solida formazione musicale, con studi di composizione, analisi, lettura della partitura, nonché particolari capacità comunicative e spiccate doti umane; oltre a ciò dovrebbe aver raggiunto anche un sicuro controllo del proprio gesto direttoriale. La cura del gesto dovrebbe essere uno dei suoi interessi basilari, se non proprio il principale. Tale considerazione potrebbe e dovrebbe risultare ovvia eppure ancora troppo spesso si assiste ad esibizioni corali dove l’approssimazione del gesto del direttore[1] è talvolta a dir poco sconcertante (non a caso letteralmente l’opposto di “concertante”): gestualità vaga, che spesso non ha nulla a che fare con la scansione del tempo o con il metro dei brani, costantemente circolare o a senso unico, sempre uguale in ampiezza, esagerata rispetto a quello che dovrebbe effettivamente indicare o superflua, movimenti d’attacco inappropriati o incerti, ingressi delle voci ignorati, respiri non indicati, e così via, non sono che alcuni dei difetti che più comunemente si riscontrano in alcuni direttori, e che naturalmente non possono che riflettersi in modo negativo sulla resa di coloro che quei gesti dovranno interpretare. Purtroppo ancora in troppi sembrano sottovalutare la preziosa portata di un buon gesto direttoriale: con i giusti e appropriati movimenti di braccia e mani si possono e si dovrebbero indicare molteplici aspetti musicali: dall’imprescindibile scansione ritmica (tranne ovviamente il caso di ambiti musicali come quello del canto gregoriano) alle variazioni agogiche, dalla cura delle dinamiche al modo di articolare i suoni, dall’indicazione delle altezze alla cura del fraseggio, dall’intonazione dei suoni alla loro tenuta, gli attacchi, le chiusure, gli ingressi delle voci, ecc. Tanto più il gesto sarà tecnicamente chiaro e preciso e allo stesso tempo vario, tanto più il risultato musicale sarà corrispondentemente accurato, ricca di particolari, interpretativamente convincente e coinvolgente.

Approfondendo la questione soprattutto relativamente alle realtà corali non professionistiche, purtroppo si nota ancora troppo spesso che la qualifica di amatoriale o dilettantistico sembra orientare alcuni dei direttori (forse perché poco motivati anche in virtù della gratuità per la quale spesso prestano la loro opera) ad un approccio piuttosto superficiale proprio riguardo quella gestualità con cui le dovrebbero guidare; se poi si tratta di cori di voci bianche o scolastici pare quasi che taluni si sentano autorizzati ad improvvisare o a inventare qualsiasi tipo di gesto diverso da quello ormai universalmente utilizzato (e codificato in vari trattati sulla direzione), quasi per andare incontro a non proprio precisate esigenze di semplicità dei piccoli cantori, finendo poi per essere astrusi e complicati. In realtà il gesto comunemente in uso può essere anche estremamente essenziale ed efficacemente comprensibile da chiunque. Fin da piccoli, nel fare musica d’insieme, si può e si dovrebbe essere abituati a porre attenzione e a riconoscere il corretto modo di dirigere, a individuare i tipici movimenti della scansione ritmica, a distinguere almeno un battere da un levare.

È proprio e soprattutto alla guida di complessi amatoriali che il direttore dovrebbe dimostrare di possedere la competenza e l’accuratezza tecnica necessaria per far esprimere più sfumature possibili, perché di fronte a compagini di questo tipo, in particolare se composte da giovanissimi, il suo ruolo non può essere solo quello di puro concertatore ed esecutore ma anche, se non soprattutto, di colui che ha la responsabilità della formazione musicale, che istruisce ed educa alla musica attraverso il canto d’insieme. Egli è una guida sotto molteplici punti di vista e fin dall’uso del gesto dovrebbe sentirsi profondamente responsabile di ciò che imprime, instilla, trasmette nei propri coristi. Non dovrebbe essere solo l’ambizione a guidare coloro che scelgono di svolgere questo ruolo, e la fretta di ottenere risultati non deve far perdere di vista il fatto che quella del direttore dovrebbe essere una sorta di missione, portata avanti con adeguata capacità e una preparazione tecnica il più possibile raffinata, per riuscire a far esprimere ad altri le più sottili finezze espressive che si hanno in mente.

Invece tra coloro che fanno musica il direttore di coro – almeno per quello che riguarda la realtà italiana – sembra  essere il meno obbligato ad una seria formazione specifica: talvolta, ad essere un poco malevoli, si ha quasi l’impressione che chiunque abbia anche una semplice infarinatura musicale possa sentirsi legittimato a formare e dirigere gruppi più o meno numerosi di cantori. Questa mancanza di adeguata preparazione, tranne rarissime eccezioni (ma queste ci possono essere in tutti i campi musicali), non può che influire negativamente sulla qualità della proposta tecnico-musicale che questi direttori possono offrire, a partire proprio dalle proprie capacità gestuali.

Ancora troppo spesso, nei contesti amatoriali, ci si trova di fronte a direttori, ammirevoli per la passione e l’impegno con cui si dedicano ai loro gruppi, magari con una buona preparazione musicale (anche se non specifica), che hanno le idee talvolta confuse su come usare il proprio gesto. E purtroppo è soprattutto lì, in ambito dilettantistico che la gestualità del direttore può aiutare a sopperire a quelle carenze formative in campo musicale piuttosto frequenti tra i componenti di quelle formazioni.

A titolo di esempio ci soffermeremo ora su uno dei momenti più significativi della direzione, ovvero il gesto d’attacco, perché è lì che si possono in genere riscontrare i maggiori problemi direttoriali: come vedremo si tratta di una delle situazioni più importanti e più delicate di tutta la fase esecutiva. Viene spesso sottovalutato, e invece in quel breve istante devono poter essere comunicate le informazioni fondamentali che riguardano non solo l’inizio ma l’intera composizione. Il direttore deve aver ben chiaro in mente velocità, dinamica, articolazione e carattere o affetto da esprimere e trasmetterlo subito in maniera inequivocabile, senza fraintendimenti, se non vuole essere lui a dover poi “inseguire” il proprio coro: non si può lasciare, come talvolta accade, che sia la compagine guidata a decidere, suo malgrado, tempo e carattere del brano.

Un primo errore, forse il più grave, è quello di non dare troppo peso, o peggio di non considerare per niente, il respiro che precede l’attacco del suono. Il gesto d’incipit deve servire in primo luogo a far prendere il respiro e questo dovrebbe essere nella stessa velocità della pulsazione pensata per il brano, ovvero deve indurre ad un’inspirazione ritmicamente misurata, che risulta di particolare importanza sia per la sincronia dell’attacco stesso sia perché si cominci immediatamente nel tempo prefigurato: un respiro più rapido o più lento della velocità che ci si è prefissati potrebbe far partire il coro nella maniera non voluta, costringendoci a frenare o accelerare (spesso con gestualità scomposta) per recuperare la giusta scansione, a meno che non ci si voglia adeguare al nuovo tempo scaturito per errore. In quel respiro poi, se adeguatamente indicato, ci potranno essere anche le altre informazioni contenute dal brano cantato, come il tipo di emissione vocale o in generale l’affetto voluto: come ci ha insegnato Fosco Corti, “il respiro è già canto”. Se poi non si fa prendere fiato adeguatamente si costringerà chi canta a riprenderlo quasi subito, magari interrompendo il giusto fraseggio. Vista l’importanza che risiede in questo respiro iniziale, sarebbe auspicabile inoltre che il direttore non rimanga “in apnea” proprio in quel frangente, ma respiri sincronicamente con il suo gesto: non solo stimolerà i coristi a prendere fiato insieme, in maniera spontanea e allo stesso tempo misurata, ma quel gesto risulterà più autentico e naturale, senza rigidità.

Altro difetto frequente è quello di frenare il gesto poco prima che tocchi quel punto immaginario che rappresenta il momento vero e proprio dell’attacco del suono, quasi per timore che le voci non entrino, stando lì ad aspettare che lo facciano. Il problema è che il coro (giustamente) aspetta che sia invece il direttore a dare un’indicazione precisa per iniziare, che così però non arriva in maniera chiara, con la conseguenza che l’attacco risulterà nella maggior parte dei casi approssimativo o a cascata (una voce dopo l’altra), perché mancando un segnale inequivocabile da parte del direttore ci saranno sempre dei coristi, in genere i più insicuri, che aspetteranno che siano altri a prendere l’iniziativa per cominciare.

Un altro degli errori che ogni tanto si riscontrano nel gesto iniziale è quello del movimento autonomo della mano rispetto al braccio, risorsa questa che può essere utilizzata in altri momenti della conduzione, magari per indicare la sinuosità di una linea melodica, ma che nel momento dell’attacco è da sconsigliare. Il motivo risiede nel fatto che, in questa che ribadiamo essere un fase assai delicata, più l’avambraccio e la mano sono solidali tra loro e si comportano come un unico blocco, un’unica linea non spezzata, più il punto d’attacco risulterà netto.

Altra abitudine poco corretta che si riscontra piuttosto frequentemente è quella del controllo dell’ampiezza del movimento d’inizio: sia che la partenza preveda il pianissimo sia che contempli il fortissimo non si notano spesso grandi differenze nel relativo gesto d’attacco, il quale quindi potrà essere non adeguato alla dinamica che si vorrebbe richiedere. Più frequente è l’errore nell’uso del gesto grande anche se in realtà si vorrebbe una sonorità tenue, cosa che molte volte accade perché il direttore è condizionato dalla grandezza della compagine che ha di fronte, dal timore che col gesto piccolo il coro non parta; in realtà se si richiede la massima concentrazione, la perfetta attenzione ad ogni minimo movimento del gesto, e soprattutto se questo è chiaro, non ci dovrebbero essere inconvenienti in tal senso.

Si potrebbero forse citare anche altre situazioni legate al gesto iniziale, ma quelle elencate dovrebbero essere già sufficienti a far capire anche in maniera più generale quanti dettagli si possono esprimere con la propria gestualità, particolari che se omessi o sbagliati possono danneggiare la performance di una compagine e il relativo modo di eseguire o interpretare un brano musicale. L’auspicio è quindi che tutti i direttori di formazioni corali o anche strumentali, di piccole o grandi dimensioni, amatoriali o professionali, mantengano sempre alta la cura del proprio gesto, nella consapevolezza della sua grande utilità e delle notevoli risorse che in esso risiedono.


[1] Da intendersi in modo neutro, che si tratti di direttore uomo o donna