In uno dei miei primi interventi, anni fa, aprivo con una domanda ci ritroviamo per cantare o cantiamo per ritrovarci? Era uno spartiacque allora e lo è ancora. Sembrerà semplicistico, ma se un coro è più interessato a far musica e mette in secondo piano la divisa e i concerti-scambio ha maggiori probabilità di superare quelle difficoltà che fanno parte della vita di un’associazione. Un direttore che continua a perfezionarsi, ascoltando e studiando per proprio conto nuove pagine (non solo su Youtube), che non ha paura di farsi “vedere” da un collega più esperto, ha più possibilità di trovare nuove voci, porterà innovazioni, avrà il coraggio di rischiare e di aprirsi ai cambiamenti. Qual è il futuro della coralità? Cosi formulata è una domanda a cui è difficile rispondere dato che le identità e il livello medio dei cori cambiano di regione in regione. Più che vivisezionare l’ambiente corale dovremmo portare alcuni esempi di gruppi che godono di buona salute: non è difficile trovarli.
Nelle mie lezioni al Conservatorio di Verona e nelle chiacchierate dopo prove mi soffermo spesso sugli aspetti emozionali, facendo notare che amare il proprio gruppo e sentirsene parte non deve impedire il dialogo con altri cori, l’apertura alla collaborazione tra direttori e cantori. C’è invece la paura del confronto, specialmente quando ci si accontenta di risultati modesti, tanto da invitare alla propria rassegna annuale complessi che mantengono lo stesso livello (se non inferiore). Ci si lamenta da qualche tempo per le poche occasioni concertistiche, e ciò vale per la polifonia quanto per la derivazione popolare. Conosciamo tutti il ritornello se c’è il concerto ci si impegna di più, ma in tempi di ristrettezze urge rivalutare la primaria funzione educativa della lezione; in altre parole il cantore dovrebbe trovare maggior appagamento nella gioia di apprendere, nella prioritaria consapevolezza di una crescita musicale, culturale e umana. La prova serale dovrebbe diventare il momento più intenso della vita di un corista. Pretendere questo è forse utopistico? Per me, che da quarant’anni insegno ad amare il canto corale, a perfezionare il gesto, l’analisi, la pianificazione della prova, utopia non è. Non commettiamo l’errore di cercare giustificazioni all’esterno senza prima guardare dentro la nostra sala prove. Per un momento non lamentiamoci di una scuola che non sente l’esigenza di un corso di teatro o di un coro in ogni classe; evitiamo le critiche a chi continua a proporre in chiesa musiche e testi di bassissimo livello. Questo è il nostro habitat, purtroppo: continueremo a professare le nostre convinzioni, certamente, ma ora analizziamo senza sconti la coralità amatoriale. La voglia di imparare, l’esigenza di migliorare la propria voce, quella della sezione e di tutto l’insieme resta a mio avviso l’obiettivo primario, poi verrà il resto.
Nel momento in cui un coro entra in crisi, e i motivi possono essere dati da monotonia repertoriale, tempi di lettura biblici, mancanza di concerti, cantori che lasciano, l’anagrafe sempre più avanzata, si deve avere il coraggio di intervenire in tempi brevi. Cercare soluzioni rapide, anche radicali, è da preferire ad una lenta agonia nella speranza che cambi qualcosa dall’esterno. Da anni sostengo che non son tanto i repertori da rivedere, ma il modo con cui vengono portati al pubblico. Molti cori, sia pur preparati musicalmente, sul palco sono impacciati e non brillano per agilità scenica; al presentatore manca la dimensione del tempo, non c’è una regìa, un filo conduttore. Abbiamo stancato il pubblico con le lunghe presentazioni, le targhe-ricordo, i saluti dell’assessore e del parroco, il brano a gruppi uniti a fine serata. Sono tutti ingredienti che hanno fatto il loro tempo, altri devono essere i ritmi, altri i dosaggi: meno parole e più musica. Al concerto dell’anniversario (decennale, ventennale ecc.) non dedicheremo tutta la serata a celebrare il passato, con il concorso vinto quindici anni prima e l’elencazione dei cantori che son passati in sala prove (ottima cosa stampare tutto questo in un opuscolo apposito), ma inviteremo un coro (magari più bravo) ed eseguiremo la prima pagina con cui il coro ha iniziato e l’ultima imparata. I Cantori di Santomio, nei concerti per il loro cinquantesimo, stanno eseguendo otto mottetti commissionati ad altrettanti compositori. Sono vari i cori che chiedono ad un musicista uno o più lavori, all’interno di un ampio progetto compositivo da sviluppare nel tempo: ecco il futuro.
La velocità di produzione resta il primo obiettivo per tutti, alle prime esperienze o dopo anni. Il direttore dovrebbe migliorare la fase di lettura evitando le lunghe attese ai cantori che aspettano annoiati il loro turno. Saper leggere individualmente la propria parte resta un traguardo, ma ci possono essere altre strategie: capi-sezione che provano in sale diverse, tracce studio molto curate (cantate dallo stesso direttore o da un corista con la supervisione del maestro) da ascoltare per proprio conto prima della prova serale; proposte di ascolto di vari brani (anche qui serve lo sforzo personale) da studiare in futuro o anche solo per un ampliamento delle conoscenze. Soprattutto è la preparazione del direttore che può velocizzare questa prima fase: migliorando la sua prima vista nel canto e al pianoforte, curando il suo timbro, cercando nuove parole eleverà il suo messaggio pedagogico. Ogni parte va ben assimilata ed eseguita poi davanti al cantore con sicurezza, dato che quella prima immagine sonora rimarrà sempre impressa nella sua mente.
Alcune associazioni corali sono composte dalla formazione principale, madrigalistica (o gruppo scelto) la sezione giovanile e le voci bianche; il corista più portato, che ha già una formazione di base, viene sostenuto economicamente nel frequentare corsi di perfezionamento proposti dalle associazioni regionali (meglio ancora se affronterà un corso accademico al conservatorio); a lui verrà poi affidata la conduzione della formazione giovanile o voci bianche. Serve una felice intesa tra i direttori e nella gestione amministrativa. I rischi ci sono dato che appena la nuova sezione cammina da sola potrebbe sentire il bisogno di autonomia. Conosciamo casi dove un vicedirettore se ne va portandosi appresso una fetta di coro o un’intera sottosezione, dando vita ad una nuova realtà. La cosa, a prima vista, sa di tradimento… ma siamo sicuri che ciò sia veramente negativo? Tanti sono i gruppi giovanili che stanno raggiungendo ottimi risultati. I cori scolastici non sono più una novità: a loro diremo che non esiste solo Oh happy day o Sister Act, ma De Andrè, Il Quartetto Cetra, tanto pop italiano da rivisitare. I compositori creeranno pagine ad hoc a tre voci miste (senza rimpiangere la più completa scrittura per SCTB) con testi poetici del passato e nuovi. Accanto ai giovanili esiste l’attività corale delle Università degli Adulti, grande bacino di energie: investiamo anche nella terza e – oggi – quarta età: ecco il futuro. Al Conservatorio Dall’Abaco, nel biennio di Musicoterapia, propongo vocalizzi, esercizi, giochi parlati e cantati, canti adatti alle voci anziane.
Se sia più importante avere buoni coristi o un buon direttore è una questione mai risolta: sono due componenti che si fondono continuamente, impossibile separarle. Io punto il dito verso il maestro, mi sento di farlo perché è un problema che vivo da oltre quarant’anni, come esecutore, compositore e docente. C’è una coralità che sta invecchiando (penso ai cori ANA e ai maschili di derivazione popolare in genere, ad alcune scholae cantorum) ed è una realtà che va accettata con serenità, senza rabbia. I giovani non amano cantare! Niente di più sbagliato, ho incontrato in una mia masterclass a Milano i bravi allievi del Coro CET: il più “vecchio” ha venticinque anni. Purtroppo non esiste la pillola della giovinezza vocale, ma c’è ancora spazio per elevare la qualità delle forze presenti, che formano attualmente i nostri cori. Dobbiamo incoraggiare tutte le forme di coralità, nelle scuole, quelle più umili ancorate all’associazionismo; dobbiamo sostenere concretamente, anche economicamente, quelle realtà corali che investono nella musica e che – prima di tutto – si ritrovano per cantare.
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