Dal 2013 è consultabile sul web all’indirizzo www.corostelutis.org l’archivio CCS, contenente migliaia di canti popolari emiliani. Uno strumento che permette di conoscere, analizzare e confrontare le testimonianze della cultura orale ivi raccolte.
L’interesse per i canti di tradizione orale prende la forma di una vera e propria disciplina soltanto nel secolo scorso suggellato dall’istituzione, a metà degli anni settanta, delle prime cattedre universitarie di etnomusicologia. A Roma la cattedra fu affidata a Diego Carpitella, studioso considerato tra i fondatori dell’etnomusicologia scientifica. Presso il D.A.M.S (Dipartimento di arti musica e spettacolo) di Bologna, invece, ebbe come guida Roberto Leydi. Nei decenni precedenti gli studiosi si erano a lungo confrontati sulle modalità di raccolta e trascrizione dei canti tradizionali arrivando alla comune conclusione dell’imprescindibilità dell’ascolto diretto delle fonti originali. La trascrizione in notazione convenzionale, infatti, non venne più ritenuta sufficiente a restituire tutte le infinite sfumature del canto dei cosiddetti “informatori”. Con la parola informatore intendiamo colui che ricorda i canti tradizionali e permette al ricercatore di trarne una traccia audio affinchè queste melodie non si disperdano.
L’importanza della musica di tradizione orale è stata pienamente compresa in Italia quando la prassi del canto spontaneo tipica della civiltà contadina è cominciata a scomparire. I grandi mutamenti sociali avvenuti in Italia dal dopoguerra in poi hanno significato, fra le altre cose, la perdita di un patrimonio culturale quasi esclusivamente legato alla trasmissione orale. Negli ambienti urbani riti, danze e canti si sono defunzionalizzati nel breve giro di una o due generazioni. Nelle zone montane e rurali, più isolate e più resistenti al cambiamento, la perdita di memoria rispetto alla cultura contadina è stata un po’ più lenta ma, comunque, inesorabile. L’arrivo dei mass media (radio e tv in primo luogo) in tutte le case e la grande diffusione della musica di consumo ha trasformato l’italiano medio radicalmente: da “cantante naturale”1 a fruitore di musica quasi esclusivamente passivo nel giro di 25/30 anni. Qualunque approccio serio alla materia ha dovuto, perciò, tenere conto della relativa urgenza di porre in salvo dall’oblio le testimonianze della cultura orale.
L’interesse di Giorgio Vacchi (fondatore del coro Stelutis di Bologna) per questi temi nasce negli anni 60 dopo un quindicennio dedicato alla riproposizione con il coro Stelutis dei canti resi celebri dalla S.A.T. di Trento. Quel repertorio, semplice ed affascinante al tempo stesso, aveva avuto una enorme influenza sulla coralità amatoriale italiana ma rischiava, in vari casi, di ridursi a stereotipo nonostante l’indubbia forza dei testi tradizionali. Fu proprio l’esigenza di rinnovare il proprio repertorio che spinse Vacchi a chiedersi se non esistessero canti autenticamente popolari anche nella nostra regione, in Emilia Romagna. Le ricerche fatte sino a quel momento in Italia erano frammentarie e il materiale raccolto in regione era poco e spesso mal documentato2. A questo si aggiunsero i ricordi personali relativi ad un breve periodo della propria infanzia trascorso presso i cugini nelle campagne di Carpi. Ricordi lontani ma la cui vivezza portava con se le sonorità tipiche del canto popolare emiliano. Da qui la decisione di intraprendere in prima persona una ricerca sul campo a partire dal proprio territorio. Le prime interviste effettuate tra amici e conoscenti con un registratore a bobina Philips risalgono alla fine degli anni ’60. Non ci vorrà molto tempo per capire che le zone migliori per trovare informatori erano quelle appenniniche. Con la collaborazione del cantautore Francesco Guccini, allora amico personale di Vacchi e studioso di dialetti vengono fatte le prime interviste in paesi dell’Appennino tosco emiliano. Le registrazioni vengono scrupolosamente catalogate con i dati relativi agli informatori e trascritte in notazione convenzionale. Nasce la consapevolezza dell’importanza della ricerca sul campo su vasta scala.
Nell’ambiente corale amatoriale Vacchi incontra alcuni appassionati: tra questi un posto di rilievo lo occupa Paolo Bernardini allora direttore del coro di Gaggio Montano (piccolo comune dell’appennino bolognese) e segretario comunale con vasti interessi culturali. Il suo lavoro di ricerca e trascrizione sul proprio territorio fu fondamentale. In quegli anni Vacchi sensibilizza i tanti cori con i quali viene a contatto sull’esigenza di fare ricerca nel proprio ambiente dove maggiori sono le possibilità di reperire materiale interessante. La sua parallela attività di composizione su melodie di origine popolare comincia ad arricchire il repertorio del coro Stelutis con nuovi brani3. Vacchi si fa promotore di un vasto movimento teso al rinnovamento dei repertori e al miglioramento tecnico dei cori. Da queste premesse nasce, nel 1971 l’A.E.R.C.I.P.4 (acronimo di associazione emiliano romagnola cori di ispirazione popolare) nel cui primo statuto è fatto obbligo a tutti i cori associati di contribuire alla ricerca sul campo. In questo modo la mole di materiale raccolto aumentò sensibilmente: direttori di coro e appassionati registrarono decine di interviste. La maggior parte di loro si attenne alle indicazioni date da Vacchi affinchè tali documenti fossero completi e attendibili: ogni intervista doveva contenere i dati anagrafici dell’informatore e alcune notizie sul contesto sociale in cui era vissuto e a cui i canti erano legati. Inoltre era necessario che il ricercatore non influenzasse in alcun modo l’informatore (per esempio era sconsigliato accompagnarne il canto con uno strumento). Le tante musicassette raccolte (nel frattempo i supporti magnetici erano cambiati) costituirono un patrimonio che andava, innanzitutto, trascritto. Per la parte musicale era necessario comunque il lavoro di un musicista: Vacchi vi si dedicò per decenni trascrivendo scrupolosamente anche le piccole varianti melodiche dei vari canti. Per la parte testuale determinante fu l’apporto dell’ing.Amos Lelli, amico, corista dello Stelutis ma, soprattutto, studioso di dialetti5.
Finchè il numero dei canti non superò il centinaio le analisi e le comparazioni potevano essere fatte a memoria. All’inizio degli anni ’80, però, la mole di tracce registrate era già molto più cospicua. Dalla collaborazione con il citato ing.Lelli nasce allora l’idea di costruire un data base utilizzando uno dei primi PC messi in commercio all’epoca. Va premesso che l’archiviazione e la classificazione dei testi in ambito etnomusicologico si era, fino ad allora, mossa su due direzioni principali:
-per zone di provenienza
-per funzioni (canti di questua, ninne nanne ecc…) o per forme (filastrocche, ballate ecc…).
Vacchi decise, invece, di utilizzare il metodo delle cosiddette “parole chiave”. Si trattava di individuare ogni “idea” o concetto presente nel testo a prescindere dalla forma linguistica con la quale veniva espresso nei canti. Tale singola idea venne rappresentata da una o più parole, in italiano, al singolare, al maschile, (per il femminile la parola è preceduta da ª) e all’infinito (per quanto riguarda i verbi). Dunque le “parole chiave” sono i sostantivi, gli aggettivi, i verbi e gli avverbi. Questo sistema permette, nonostante le infinite varianti linguistiche, di confrontare i testi e tutte le loro diverse “lezioni” attraverso i concetti espressi. Si ritenne opportuno, per ampliare la casistica, di inserire nel database anche il contenuto di alcune importanti raccolte a stampa6: anche questi testi vennero classificati con il metodo delle parole chiave. Verso la fine degli anni ’80 Giorgio Vacchi e Amos Lelli cominciarono a studiare la possibilità di inserire nel database anche le melodie. Operazione, questa, molto più complessa che venne affrontata con la creazione del “Codice musica”. Tale codice, ideato da Vacchi e da Lelli appositamente, permette di rappresentare ogni nota con un numero di quattro cifre di cui le prime due definiscono l’altezza del suono e la terza la durata. La quarta cifra rappresenta la presenza di terzine, legature di valore, corone o altri segni di articolazione. Alla destra delle suddette quattro cifre viene posta la sillaba corrispondente al suono così identificato. In questo modo la sillaba è inscindibile dall’intonazione corrispondente. Ma non esistevano al momento sistemi per passare da un codice numerico alla grafia musicale. Si preferì creare ex novo la notazione musicale convenzionale tramite il linguaggio Visual Basic agganciando i simboli al codice musica. Per facilitare il lavoro di comparazione tra melodie si ritenne altresì utile riportarle tutte alla tonalità di do.
Da queste premesse nasce nel 2000 l’applicazione CCS2000 (da Centro Culturale Stelutis) frutto del lavoro di programmazione di Amos Lelli, Gabriele Lelli e (in un secondo tempo) di Marco Lelli. Essa offre la possibilità di visualizzare in notazione musicale qualsiasi melodia contenuta nell’archivio corredata dall’incipit del testo e dal luogo di ritrovamento. Viene riportata anche l’indicazione metronomica originale e la tonalità in cui il canto è stato eseguito dall’informatore. L’applicazione permette di confrontare le estensioni delle melodie e di cercare nell’archivio determinati moduli ritmici e melodici. Analogamente è possibile fare ricerche sui testi: data una “parola chiave” trovare tutte le canzoni in cui è presente oppure cercare tutte le parole chiave presenti in una data canzone. Lo stesso si può dire per serie di parole fino ad un numero di 36 (con la possibilità di fissare delle priorità).
Al momento della presentazione al pubblico, in occasione di un convegno Aerco organizzato per l’occasione presso la sede del coro Stelutis nel 2000, l’archivio conteneva circa 4200 canti compresi quelli presenti solo come parte testuale. Vi sono contenuti brani frutto della ricerca effettuata in numerose località della nostra regione o limitrofe. Eccole divise per provincia:
Piacenza: Bèttola – Groppallo – Ponte dell’Olio
Parma: Monchio delle Corti – Neviano Arduini
Reggio Emilia: Scandiano – Toano
Modena: Castelfranco E. – Fanano – Montese – Pavullo
Ferrara: Argenta – Casumaro – Cento – Comacchio – Portomaggiore.
Bologna: Castelguelfo – Castiglione dei Pepoli – Gàggio Montano – Crevalcore – Monghidoro – Medicina – Pieve di Cento – Porretta
Romagna: Bagnacavallo – Ravenna – Forlì
Pistoia: Pavana – Ponte della Venturina – Taviano
I ricercatori coinvolti sono molti, ne cito alcuni tra i più importanti oltre a Giorgio Vacchi: Amos Lelli, Mario Cassarini, Arrigo Montanari, Daniele Venturi, Francesco Guccini e, soprattutto. Mario Bernardini che a Gaggio Montano ha reperito circa 1400 titoli.
Nel 2013 l’applicazione CCS2000 è stata messa in rete. Questo è stato possibile dopo un lavoro di variazione di progetto e codifica effettuato dalla società Idem di Granarolo dell’Emilia (Bologna). In occasione di questa revisione sono state fatte alcune implementazioni importanti. La più interessante è quella che permette di ascoltare i canti dalla voce degli informatori. Si tratta dei file audio tratti dalle registrazioni originali di ricerca i cui originali sono custoditi nell’archivio personale di Giorgio Vacchi e del Coro Stelutis. Ora sono ascoltabili in formato mp3 da chiunque acceda al sito tramite una semplice registrazione. Un’altra miglioria riguarda i testi dei canti che ora sono disponibili in una trascrizione comprensiva degli accenti tonici corretti secondo l’Ortografia Lessicografica Moderna7. L’archivio, così come è disponibile adesso in rete, comprende circa 4600 canti ed è raggiungibile all’indirizzo
www.corostelutis.org oppure dal sito del coro Stelutis http://www.corostelutis.it passando per il menù “La ricerca”.
Quest’ultimo passaggio ha un grande significato e sta permettendo di far conoscere l’archivio in misura impensabile anche solo 10 anni fa quando era possibile consultarlo soltanto previa installazione sul proprio pc. Credo che in questo modo sia scongiurato il rischio paventato da Giorgio Vacchi negli anni ’90: egli temeva che tutto questo materiale rimanesse lettera morta. Ci auguriamo, perciò, di riuscire a farlo ulteriormente conoscere sia tra gli studiosi di tradizioni popolari (auspicando che possano contribuirvi inserendo nuovo materiale) che tra i compositori che vogliano cimentarsi con l’elaborazione di temi tradizionali.
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