Sempre di più negli ultimi anni mi sono sentito dire da cantori e direttori che in questo momento la problematica più immediatamente preoccupante per molti cori sia il rischio di interruzione o perfino di cessazione dell’attività corale per mancanza di cantori e che comunque diventi sempre più concreto il timore che l’attività in corso sia sempre più di minor qualità per il fatto di una progressivo impoverimento dell’organico vocale.
Proviamo a fare qualche riflessione analitica sull’argomento.
- Come prima impressione in questa specifica situazione sembrano essere riconoscibili prevalentemente i cori i cui componenti appartengono principalmente alla fascia dell’età adulta con attività consolidata nel tempo. Molte volte si tratta di cori che, nati dopo gli anni sessanta, hanno avuto con una bellissima e importante storia.
Ma se per alcuni il prestigio e la qualità consentono loro ancora di protrarre con soddisfazione il proprio percorso, l’anagrafe dei componenti potrebbe far prevedere comunque inevitabili contraccolpi nei prossimi dieci anni. Ma questa situazione coinvolge anche numerosi altri cori, magari meno conosciuti, perchè meno presenti nei circuiti concertistici e nella rete informatica, ma ugualmente importanti per avere rappresentato un modo di interpretare la coralità amatoriale nei suoi aspetti positivamente fondanti un’attività collettiva e culturalmente rappresentativi di uno stile di vita sociale.
Oggi l’Associazionismo sia regionale che nazionale è chiamato ad impegnarsi nell’affrontare questa situazione, non solo come dovere morale in quanto proprio questi cori hanno dato un contributo fondamentale alla nascita e allo sviluppo associativo, alla crescita di percorsi musicali di cantori e direttori, alla possibilità di offrire spazi di espressione a molti compositori che dalle elaborazioni ai brani originali hanno creato uno specifico repertorio corale, ma soprattutto perché l’accettare questa responsabilità può individuare ciò che davvero è importante nella vita dei cori associati.
Se non si inserisce questa problematica nell’agenda delle cose necessarie da affrontare con priorità e tempestività, non solo si viene meno ad una responsabilità istituzionale (spesso proprio quei cori hanno dato il via all’associazionismo corale come processo di solidarietà, di reciproco aiuto, di ricerca nel repertorio), ma si assisterà impotenti e quasi conniventi ad una perdita di valori: forse questo processo involutivo può essere stato, anche se inconsapevolmente, aiutato da obiettivi che, in passato, non sono riusciti a mettere maggiormente a fuoco le necessità dei cori della fascia adulta.
- Procediamo, con grande cautela, a proporre alcuni altri elementi nel ragionamento, senza presumere che essi possano ipso facto costituire il rimedio, ma che tuttavia ci aiutino a trovare insieme un processo del farcoro che ci faccia intravvedere qualche percorso, che ci possa guidare verso l’individuazione di alcuni elementi strutturali della attuale attività corale che ci consentano con un senso di sano pragmatismo di prospettare possibili campi di azione nel tentativo di porre risoluzione al problema così come si prospetta nella sua attuale configurazione e dimensione.
Le due cause più ricorrenti indicate come negativamente influenti sull’attività corale sono il mancato ricambio e in maniera specifica la mancata immissione di voci giovanili con la conseguenza di un progressivo ed inarrestabile incremento dell’età anagrafica del coro.
A mio parere una delle ragioni responsabili della rara immissione di un giovane in un coro di adulti “storico” può essere la scarsa attenzione al processo di integrazione fra la fascia giovanile e quella più matura. Che cosa s’intende per processo d’integrazione?
Proviamo a fare chiarezza: in genere la concomitanza degli obiettivi musicali e sociali nei cori determinano un buon livello dell’accoglienza e del clima dei rapporti, per cui non credo sia questo uno dei motivi.
I giovani però sono abituati ad esercitare attività collettive in gruppi omogenei per l’età, per cui l’immissione di un singola persona in un coro più eterogeneo per l’età ha minor probabilità di successo.
Approfondiamo ancora un po’ il ragionamento con qualche esempio di attività corale giovanile.
I gruppi chiamati vocal pop sono espressione di una precisa propensione dei giovani di oggi: ricerca del gruppo piccolo, più semplice da gestire musicalmente e organizzativamente, con un repertorio accattivante perché più rappresentativo delle tendenze dei mass media e facilmente approciabile nella rete informatica, con una una prassi esecutiva tendente a mettere in risalto le qualità singole, meno quelle dell’insieme, che richiedono una maggior maturazione dei risultati tecnici ed espressivi richiesti da un repertorio forse considerato più impegnativo e meno coinvolgente d’insieme: in sintesi è la ricerca del divertissement puro attraverso un repertorio ed una prassi più conosciuti e facilmente raggiungibili senza necessità di particolari esigenze di approfondimento (studio, ricerca stilistica ed impegno nella crescita musicale). E’ una deriva della cultura corale giovanile assai diffusa e molto importante su cui riflettere per capirne contenuti e come innestare un collegamento con la tipologia corale “tradizionale”.
- Credo che ancora una volta sia importante capire quale sia il ruolo della pedagogia musicale attualmente praticata nell’età infantile e come essa prosegua nell’attività dei cori voci bianche dei cori giovanili.
E’ qui che si gioca una parte importante della partita per la vita futura della coralità: diventa davvero urgente e necessario un maggior investimento di risorse ed energie nella formazione dei direttori e degli insegnanti che svolgono l’attività didattica e che si occupano dell’educazione musicale sia nelle istituzioni scolastiche che in quelle esterne nelle varie tipologie corali: forse indirizzarsi o indicare come modello vincente la ricerca del successo nell’evento effimero può essere non lungimirante e ostativo al processo di crescita dell’attività della maggioranza dei cori alle prese con problemi più immediati.
- Oggi si sta assistendo alla capillare diffusione della progettazione dell’attività musicale strumentale e vocale nelle scuole per la fascia secondaria e recentissimamente anche nella primaria, fondamentale quest’ultima per una precoce attività di pedagogia musicale.
Può essere che dall’importanza e dall’attuale successo dell’attività pedagogico-musicale scolastica nella fascia dei 6 agli 11 anni nasca il suggerimento che un’attività simile possa svilupparsi anche nei cori storici con l’obiettivo di iniziare processi di alfabetizzazione basilare e di divulgazione dell’attività musicale?
Sviluppare così l’idea del coro come scuola musicale[1] può aiutare i cori a partecipare a questo grande ma indispensabile progetto?
La domanda che ci si pone è se il flusso giovanile verso attività inerenti la pratica della musica prosegua dopo l’esperienza formativa scolastica e, nella prospettiva che qui interessa, in quale maniera coinvolgerà l’attività ei cori tradizionali.
Si è notato che l’attuazione di un buon progetto didattico pedagogico dipendenti dalla competenza del docente e dalla organizzazione messa a disposizione dai dirigenti scolastici può indirizzare e incoraggiare il giovane a continuare: dopo una positiva esperienza all’interno del coro scolastico la probabilità di un inserimento nel cori giovanili non scolastici e di adulti aumenta in maniera sensibile.
Occorre però che negli obiettivi della progettazione dei cori scolastici si tenga conto della successiva di diffusione sul territorio dei giovani cantori e che il beneficio di un’educazione musicale volta all’attività corale si allarghi anche alla proposta artistica dei cori di adulti in cui l’integrazione di differenti età apporti un grande beneficio dal punto della formazione del cittadino.
E questo può avvenire solo se nella pratica corale si affronti la questione del repertorio in senso di pluralità stilistica, senza rinunciare al ruolo fondamentalmente formativo che l’attività pedagogica si deve mantenere nei confronti dei cantori giovani ed adulti.
Decisiva nel proseguimento dell’attività musicale dei bambini e dei giovani saranno dunque la competenza e la capacità comunicativa che fanno la qualità del rapporto dei cantori col direttore.
Al di là del fatto che in qualunque maniera esso avvenga, il proseguimento dell’attività musicale (sia vocale che strumentale) è da considerarsi il vero successo dell’attività formativa attuata dai cori scolastici, è forse utopistico pensare e di conseguenza progettare un’azione formativa capace di allargare la conoscenza dei repertori corali e che i giovani una volta terminata la presenza nel coro scolastico possano proseguire l’attività corale anche attingendo alle varie proposte dei cori presenti sul territorio?
Quindi il problema del repertorio si pone non tanto nella sterile e superatissima dicotomia contrappositiva per esempio fra il repertorio della canzone pop rispetto al repertorio proveniente dal “classico”, fra la prassi sonora e della esecutiva del jazz e quella del canto medievale, fra la possibilità di esprimersi anche attraverso il movimento corporeo (purché non risulti come sovrapposizione inefficacemente espressiva) e la preconcetta inadattabilità della musica “classica” all’accostamento verso l’attività di movimento (si stanno diffondendo iniziative volte ad associare per esempiol a musica rinascimentale alla danza).
Si tratta il più delle volte di falsi pregiudizi “ideologici”, che spesso celano l’obiettivo dell’intrattenimento disimpegnato, della rapida e accattivante accondiscendenza dei bambini e, soprattutto, dei genitori e l’ammiccamento verso il pubblico, ma che poco hanno a che fare con l’attività della formazione, della ricerca del ludico spazio musicale in grado di far crescere con consapevolezza nel mondo dei suoni.
Sicuramente invece gioca un ruolo fondamentale nella formazione la qualità musicale della proposta, dove il concetto di “attualità” deve riferirsi al metodo di lavoro ma non ad un particolare repertorio.
Infatti è possibile appassionare i bambini alla musica medievale come alla “vecchia” canzone del quartetto Cetra o di qualche moderno cantautore, al canto di montagna come alla spiritual o alla polifonia antica, se interviene un discorso di contestualizzazione, di applicazione di un corredo esecutivo di carattere anche pluristrumentale che dia spazio alla creatività, all’improvvisazione, alla ricerca del mondo sonoro sottraendo l’azione pedagogica all’unico criterio della memorizzazione in cui molto spesso purtroppo sono invece confinati i cori degli adulti.
In questa prospettiva si possono integrare forse spazi per ogni tipo di musica nel quale la monodia e polifonia ed il canto popolare nelle loro più estese applicazioni entrino nella dimensione musicale giovanile?
- Ecco quindi che per i cori di adulti e quelli “storici” si aprirebbero scenari d’intervento attivo nella formazione e di accoglienza di un flusso giovanile che in maniera naturale potrebbe rimanere ancorato alla coralità espressa dal direttore al di fuori della scuola, ma che potrebbe avere sbocchi anche diversi perché diversificata, conosciuta e qualitativamente valida è l’offerta dei cori diffusi sul territorio.
Questi cori dunque si devono far trovare preparati in un percorso d’inserimento all’interno di questo contesto: un modo potrebbe essere quello di intraprendere e iniziare un’azione di carattere formativo rivolto anche non solo ai giovani ma anche agli adulti senza preoccuparsi che questa attività porti a realizzare immediatamente un incremento nel coro di voci nuove e/o giovanili.
Il repertorio può svolgere un’azione importante sulle motivazioni di nuove aggregazioni all’organico del coro: il riferimento alle origini culturali della propria identità sia di carattere popolare che “classico”, non deve circoscrivere il repertorio in un cerchio staticamente chiuso, ma disponibile alle nuove interpretazioni compositive anche di materiali o di standard (probabilmente in molti casi ormai datati) per affrontare la richiesta di nuovi orizzonti sonori che sappiano interpretare la positiva e indispensabile ricerca anche di nuovo repertorio: in questa prospettiva il ripetersi di vecchi repertori potrebbe precludere il processo d’integrazione verso il nuovo che ogni cultura nella propria storia musicale propone.
L’idea della musica corale vista come processo di formazione del cittadino, del senso di appartenenza e contemporaneamente di integrazione multiculturale è un messaggio rappresentativo e fortemente simbolico deve tradursi concretamente nel modo di farcoro.
- Un’altra domanda da porsi è se gli elementi che abbiamo gettato nella riflessione possano tradursi concretamente in prassi progettuale e davvero siano in grado di catturare anche quella fascia di persone giovani o adulte che non avendo mai svolto attività musicale hanno bisogno di margini di avvicinamento, di spazi di conoscenza e rassicurante attività preparatoria.
Si arguisce da ciò che tale fascia potrebbe costituire uno spazio, attualmente ancora poco preso in considerazione, di “acculturamento” corale; l’esperienza ci dice che un’attività di formazione musicale pare molto apprezzata da questa fascia: la lettura, ascolti guidati, facili esercizi di prassi esecutiva in piccoli ensemble vocali e strumentali.
Anche il tentativo di avvicinare e di unire la pratica vocale a quella strumentale allontanerebbe quel pregiudizio che si traduce in uno statico schema contrappositivo fra musicista e amatore che ormai la pratica pedagogica ha definitivamente rimosso.
Progettare e realizzare una pratica strumentale di carattere amatoriale significa avvicinare molti alla musica d’insieme, a quella dimensione di musica dove si suona con qualsiasi strumento disponibile, prassi che tanto positivamente ha influito la fruizione della musica in senso allargato come quella del concetto della di Haus Musik nel mondo anglosassone fra l’Ottocento e la prima metà del Novecento.
Ma ancora una volta il ruolo fondamentale in tutto questo è rivestito dalla persona che presiede all’attività formativa, sia esso maestro, direttore, strumentista: fondamentale è la sua funzione pedagogica che lo deve spingere sul terreno della costante ricerca e non della scorciatoia comoda ed appagante del risultato immediato, ma sul percorso dello studio personale, della conoscenza, della competenza acquisita non solo con l’esperienza, ma anche con il confronto di idee e di metodologie.
- Ma ritornando alla problematica iniziale relativa ai cori storici occorre che il direttore faccia un’approfondita analisi del proprio modo di lavorare per esempio della tecnica della prova che deve avere sempre i requisiti di essere gradevole, ricca di spunti, di approfondimento, di progressione nella crescita del repertorio e della tecnica del coro.
Un graduale percorso che porti a migliorare la prestazione del coro sul terreno della lettura e dell’intonazione rende quel coro più attraente di un altro. A questo proposito ci sono metodi di alfabetizzazione del cantore che abbreviano i tempi di apprendimento per evitare la noia di estenuanti ripetizioni queste si che allontanano la fretta giovanile di raggiungere rapidamente un soddisfacente risultato e del raggiungimento di un efficace standard esecutivo: perché non aprofittarne?
- Un altro elemento di riflessione è quale attrattiva può esercitare l’ambiente corale in una società così cambiata rispetto agli anni 60 e soprattutto quali sono i valori che ancora oggi possono coinvolgere giovani ed adulti a considerare il coro come attività come fondamentale per la propria vita culturale e associativa: oggi la moda del raggiungimento rapido e con successo anche effimero in più attività svolte anche contemporaneamente, dell’agonismo che conduce a considerare solo il primo posto come obiettivo mettono in seria crisi il valore dell’appartenenza, dell’approfondimento culturale dovuto all’esercizio della musica.
- Un ultimo elemento che merita considerazione ed analisi riguardante ancora una volta principalmente l’attività giovanile è quale sia l’attuale incidenza e quali siano le prospettive di uno sviluppo futuro dell’attività musicale e in particolare quella corale svolta nelle parrocchie.
Si conosce l’importanza storica della musica nella tradizione religiosa cristiana e l’insegnamento della musica ad essa collegata.
In particolare sarebbero da approfondire i risultati che nella tradizione luterana ha avuto l’insegnamento della musica affidato a musicisti istituzionali come l’organista ed il maestro di cappella, i quali, incidendo in maniera determinante nel periodo della formazione infantile, hanno costruito un substrato culturale nella musica di grande spessore che consente a chiunque una pratica della musica e in particolare di quella corale: grazie a ciò nei paesi anglosassoni si sono ottenuti risultati eccellenti dal punto di vista della partecipazione alla liturgia.
Si tratta quindi che ancora una volta ci si faccia interpreti di un’esigenza e di una richiesta che nella pratica della musica liturgica è molto sentita: la creazione di spazi per affrontare un percorso che non faccia coincidere il canto come “accompagnamento” alla liturgia, bensì un percorso formativo verso un esercizio della musica liturgica dove si possa sviluppare l’idea della bellezza del canto, non solo quella della facilità della moda e della contaminazione fine a se stessa. L’errore più riscontrabile nell’organizzazione liturgica della parrocchia è la mancanza di un percorso che unisca voci bianche a quella degli adulti per la formazione di un unico coro cui affidare il servizio liturgico: orari delle messe, cerimonie, celebrazioni di culto di vario genere sono ripartibili in varie formazioni ma tenendo conto di un repertorio parzialmente comune ma che soprattutto abbia momenti di esecuzione comune.
Quella che sempre più diffusamente ma anche in maniera equivoca è definita la musica liturgica giovanile o adatta ai giovani come contrapposizione a quella “tradizionale” risulta invero una commistione di false prospettive liturgiche ed estetiche: la musica giovanile così come praticata oggi è anche il linguaggio delle canzoni, del divertimento e dei festivals, dei mass media, della rete informatica e del mercato discografico; è un idioma che malamente si acconcia al servizio liturgico.
Il dubbio quindi che la “musica liturgica giovanile” sia preferita in quanto facile, immediata e perché generalmente non necessita di competenze musicali, né grosso impegno ha dunque fondamento? Può essere la stessa faccia della medaglia che si trova in tanta produzione della musica corale per giovani?
E’ opportuno che la coralità “laica” dialoghi con questa per confrontarsi sui metodi della formazione, della crescita e della consapevolezza estetica?
Sono convinto che per poter raggiungere quella soddisfazione nel “farcoro” cui tutti aspiriamo (cantori, direttori e pubblico) bisogna aderire ad un processo che ci veda insieme e impegnati nel canto corale in una dimensione fortemente pedagogica. Non dimentichiamo che i principali obiettivi di ogni associazione di cori permangono la diffusione del canto corale, lo sviluppo dell’attività di base e dei mezzi per raggiungerli!
[1] L’inserimento da parte della scuola privata nell’attività musicale della scuole pubbliche è recentemente incoraggiata dal bando della Regione Emilia-Romagna (Deliberazione Giunta Regionale Emilia Romagna n° 1714/2015).
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