Il canto, in ogni tipo di sua forma, è una manifestazione artistica dell’uomo, come la pittura, la scultura, la prosa, ecc., che prevede da parte di chi lo esegue una certa predisposizione e un ovvio grado di consapevolezza e conoscenza. Non è assolutamente vero che tutti possono cantare, senza averne una minima capacità tecnica e vocale o almeno una certa esperienza. Sarebbe come se a un certo punto, dall’ambone, il sacerdote dicesse “Adesso dipingete” oppure “Scolpite questo blocco di marmo”. Chiaramente sono arrivato ad un paradosso per comunque evidenziare un fattore che penso non possa essere messo in discussione: ‘cantare non è come parlare, recitare preghiere o intenzioni’.
Assodato questo punto, potremmo considerare accettabile un’assemblea che apra almeno modestamente la bocca per seguire una schola cantorum che li supporta. Aggiungo che naturalmente ogni nazione si ritrova un popolo più o meno abile a cantare in virtù di quanto ha investito nell’istruzione musicale di massa. Quelli della nostra età, se non hanno frequentato un conservatorio o almeno dei corsi di musica paralleli alla normale frequenza scolastica, hanno di per se un grado di conoscenza musicale vicino allo ‘zero’. I frutti si vedono, ovvio, e non solo in merito alla partecipazione canora come assemblea. Avendo viaggiato assiduamente negli ultimi anni in tutto il mondo posso testimoniare che ci sono Stati, quali i Paesi Baltici, Scandinavi, l’Area tedesca e russa, dove quasi tutte le persone cantano con facilità. Penso che molti di noi avranno assistito ad una funzione protestante dove normalmente l’Assemblea è capace di cantare a 4 voci oppure una liturgia ortodossa dove la stessa canta larghi passi alternati al pope.
Non ne faccio una questione di confessione, non si fraintenda, però è sintomatico che l’area cattolica, configurabile come il sud Europa (Italia, Francia, Spagna, Portogallo) non abbia più questa capacità di cantare. Considero questo fattore come un’insufficienza per lo più tecnica e culturale. Spero che nel futuro i giovani comprendano che cantare è un’attività bella, educativa e formativa che appartiene alle manifestazioni artistiche dell’individuo. Ci saranno, a questo punto, apprezzabili ricadute anche sul canto liturgico assembleare.
Alcune considerazioni sul repertorio. Recentemente Bepi De Marzi, l’autore di Signore delle Cime e stimato musicista (anche liturgico, essendo stato organista della sua Chiesa per decenni) ha scritto un interessante articolo nel quale mette in evidenza la banalizzazione testuale e musicale che imperversa tuttora nelle chiese italiane, contraria a quelle che sono le disposizioni tuttora valide emanate dal Concilio. Il vero problema è che non c’è nessuno che controlli questo sfacelo e sapete perché? Perché nella maggior parte dei casi i ‘controllori’ (sacerdoti e vescovi) hanno sul repertorio le stesse opinioni distorte di coloro che lo eseguono.
Dopo tanti anni di direzione corale mi sono stancato sinceramente di spiegare che ritmi sincopati e testi storpiati dalla Bibbia non sono utili per favorire l’inserimento giovanile; questo retaggio anni ’60 e ’70 viaggia pari passo con la banalizzazione della nostra società. E’ facile da applicare, non scontenta nessuno e quindi sopravviva! Il vero problema sono i compositori che, ovviamente, non hanno interesse a perdere tempo nella ricerca di testi significativi e musiche appropriate che non apprezzerebbe nessuno. Non essendoci più la dovuta attenzione artistica e finanziaria da parte delle istituzioni religiose, ognuno si arrangia come può, cercando di raggiungere il massimo dello scopo (quello che si ritiene tale) con il minimo dei mezzi. Come può un compositore serio che ha studiato 10 anni al Conservatorio, che ha investito parte della sua vita in questo, dedicarsi profondamente alla composizione sacra quando sa che nessuno gli renderà onore (né morale né economico) a quello che per lui è la sua attività primaria? Questo vale anche per gli organisti e i direttori di Coro. Si fa presto a dire: “ci vuol spirito di servizio perché così si rende gloria a Dio”. Bisogna capire che per tanti (anche per me) questa è la professione principale nonché fonte di gratificazione artistica. Ecco quindi che sono venuti alla ribalta personaggi che si improvvisano musicisti e compositori e che, guarda caso, accontentano allo stesso tempo gli uditi facili dei fruitori. La composizione musicale è sì azione liturgica e veicolo di preghiera ma è anche e soprattutto manifestazione artistica della capacità umana. Sarebbe come dire che davanti alla Pietà di Michelangelo l’uomo laico non possa capire la bellezza che emana, una forza che è anche e soprattutto terrena, altrimenti saremmo qui ad asserire che solamente chi è credente può apprezzare l’arte! Questo per dire che il repertorio musicale per la Messa deve avere un contenuto di autentico valore. Altrimenti scadiamo nel banale, che non è un reato, ma sicuramente, è un’opportunità persa nella nostra vita. Questo vale per tutti, anche per i sacerdoti che durante l’omelia possono carpire l’attenzione dei fedeli oppure addormentarli o farli desiderare di essere altrove.Se avete colto queste mie riflessioni avrete anche sicuramente sintetizzato che non sono per una messa completamente farcita di mottetti a 12 voci, che naturalmente reputo molto più adatti ad un concerto che a una celebrazione, ma nemmeno alla sciatteria imperversante. L’obbligo è quello di tendere al bello, non necessariamente ogni cosa deve essere cantata da tutti. L’essere avvolti da musiche sublimi predispone l’animo ad una riflessione e ad una preghiera molto più profonda che cantare per inerzia, senza nessuna cognizione, banalità quali Una notte di sudore (che ti porta spesso ad annusare il tuo vicino di panca) o Santo, oh, oh. Hanno forse pari dignità i surrogati musicali, che Mons. Alessandro Maggiolini, vescovo di Como, definiva “canti senza né capo né coda, né eleganza, né significato”, precisando con amarezza, che “al posto del gregoriano, pura poesia, erano venute fuori delle vigliaccate, delle osteriate”? Sono passati quarant’anni dal Concilio Vaticano secondo, ma la partecipazione attiva dei fedeli alle cerimonie religiose è rimasta sulla carta. E intanto quasi due generazioni sono state private di un prezioso patrimonio, la cui eliminazione, “a colpi di martello pneumatico e di schitarrate”, come scriveva anni fa Vittorio Messori, “è stata un crimine contro la cultura prima che contro la religione”. Completo dissenso anche da parte del Mº Bruno Bettinelli, che ebbe come allievo Riccardo Muti. In un’intervista, accenna alla “dolorosa situazione in cui si trova, oggi, la dignità della musica (ormai da troppo tempo e in modo a dir poco inquietante) in certe Chiese, durante le funzioni e specialmente durante la Messa. La pessima abitudine di sostituire l’organo (anche quando sarebbe presente) con squadre di baldi giovanotti forniti di strumenti malamente strimpellati a sostegno di melense canzonette indecorose per i loro contenuti vuoti di senso e privi del rispetto dovuto a un simile ambiente, ha portato a un degrado allarmante”. Continuare su questa pericolosa china, su questa involuzione della bellezza, non si chiama, cari amici, spirito di servizio!
Nessuno si sognerebbe di coprire il Giudizio Universale della Cappella Sistina con una crosta del primo pittore trovato per strada. Perché allora si cerca di cancellare l’immenso patrimonio musicale che abbiamo a disposizione con canzonette che ormai sono futili anche per il più parrocchiale dei campeggi? Salviamo quello che tutti hanno assodato come ‘capolavori’ ed accostiamolo ad un repertorio selezionato, artisticamente e liturgicamente valido. Sono convinto che sarà meglio per tutti e finalmente anche la Chiesa si rifarà promotrice di quell’azione di supporto artistico che ha sicuramente perso con la fine del Rinascimento, quando era molto più conscia delle capacità creative umane.
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