Una rivista musicale regionale deve essere capace di fare memoria del proprio passato, dare ampia e diffusa informazione sul presente musicale per indirizzare verso un futuro che sia il risultato di un cammino consapevole di crescita. In questo numero fare memoria vuol dire rendere un doveroso omaggio al grande uomo e musicista Claudio Abbado che ha lasciato un’eredità unica e straordinaria al mondo ma soprattutto alla nostra regione Emilia-Romagna. Un saggio del musicologo Alessandro Rigolli presenta la grande professionalità e umanità di un direttore che ha tracciato un segno indelebile nel panorama non solo musicale ma sociale e didattico. Ancora una volta è dimostrato che la musica è un veicolo straordinario di cultura, uguaglianza e libertà. Le nostre radici, però, non fondano solo su questi grandi personaggi ma anche su uomini che nella semplicità quotidiana hanno creato qualcosa di importante, uomini come Don Gianrico Fornasari, direttore del Coro ANA Valnure di Bettola, recentemente scomparso. Guardare al passato non è da nostalgici ma deve essere un’occasione di esplosione di nuova energia per continuare a camminare con entusiasmo nel presente verso un futuro ancora migliore. “Tornate al passato, sarà un progresso” diceva il grande Giuseppe Verdi. Naturalmente non come conservatori pedissequi di una tradizione. Infatti, solo conoscendo approfonditamente la nostra storia possiamo interpretare e innovare meglio il presente e impostare un futuro ricco di nuove prospettive e novità. In questa ottica si pone la rubrica, che tornerà fissa, dell’analisi di brani corali e in questo numero proponiamo un’interessante lavoro di Andrea Angelini sull’”Ave Maria” di Adrian Willaert. Un compositore o un maestro avranno maggior padronanza della loro arte se conoscono quella del passato. Continuiamo a costruire il futuro incentivando la formazione dei nostri piccoli coristi e delle loro guide. La nostra rivista si occuperà sempre di coralità infantile e scolastica perché proprio in questa attività si svilupperà il nostro “domani”. In questo numero, oltre a un contributo di Matteo Unich sui “piccoli trucchi” per impostare correttamente un coro di classe, presentiamo la composizione inedita “Alice”, una cantata per bambini in sette quadri, della compositrice cubana Ailem Carvajal e un articolo sul metodo di didattica musicale “Steiner”. Il panorama in questo settore è molto ricco e variegato, quindi, è giusto scandagliare tutte queste possibilità perché ognuno possa trovare l’approccio migliore per la sua realtà. Per quanto riguarda sempre la formazione musicale diamo notizia del nuovo corso per direttori organizzato dalla nostra associazione che ha lo scopo di diventare una scuola permanente e un punto di riferimento per tutti i maestri dei nostri cori. Infine, da questo numero, con la collaborazione di Daniele Farneti, ci sarà un appuntamento fisso per la conoscenza e l’approfondimento della vocalità, iniziando a conoscere la laringe. I nostri coristi devono aver sempre più consapevolezza del “buon uso” del loro grande strumento. Sperando sempre che tutto questo sia di vostro gradimento, auguro a tutti una buona e proficua lettura.
Niccolò Paganini direttore editoriale
«In un coro ogni persona è sempre concentrata sulla relazione della propria voce con le altre. Imparare a cantare insieme significa imparare ad ascoltarsi l’un l’altro. Il coro quindi, come l’orchestra, è l’espressione più valida di ciò che sta alla base della società: la conoscenza e il rispetto del prossimo, attraverso l’ascolto reciproco e la generosità nel mettere le proprie risorse migliori a servizio degli altri». Con queste parole Claudio Abbado presentava, al suo debutto, una delle tante formazioni musicali nate per sua iniziativa, il Coro Papageno, un coro molto speciale, formato da detenuti del carcere bolognese della Dozza. La scelta di formare un coro per ricostruire quei legami sociali e il senso di responsabilità che il delitto ha reciso o comunque compromesso, ci pare particolarmente felice. La voce è l’unico strumento che portiamo dentro di noi e occuparsi del coro significa occuparsi prima di tutto di persone: è proprio questo che affascina e rende particolarmente “umanistico”, oltre che artistico, il cantare in coro. Il coro è anche un concentrato di società dove i rapporti sono vissuti con forte intensità e trasformati in musica. La responsabilità di ciascuno è grande, perché l’errore di uno compromette o addirittura vanifica il lavoro di molti. Un rapporto tra i coristi fondato sulla responsabilità e sulla lealtà è la base necessaria a una buona realizzazione musicale. Al tempo stesso la musica genera questa armonia tre le persone. Recenti studi hanno dimostrato come le persone impegnate in un’esecuzione musicale (e gli esperimenti sono stati condotti proprio su formazioni corali) armonizzano tra loro i ritmi corporei, a partire da quello cardiaco: dalla musica discende la possibilità di abbattere tanti muri che ci dividono. Lo stesso Abbado spiegava come la musica opera su una parte del cervello che è altra rispetto a quella della parola e della logica: rinunciare alla musica è dunque rinunciare a una formazione completa della personalità. Cantare in coro avvia dunque un circuito dove la buona musica crea buone relazioni e le buone relazioni buona musica: un circuito virtuoso i cui benefici ricadono ben al di fuori dei confini del coro, contribuendo a rafforzare identità personali e profili sociali. E investire sul coro significa investire sulla formazione delle persone, sulla formazione dei cittadini e del loro senso di responsabilità. Esserne consapevoli e orgogliosi, per primi noi, che della musica corale abbiamo fatto la nostra passione, e convincere di questo le istituzioni del nostro paese: ecco un bell’obiettivo che, nel trentesimo anno di vita della Federazione, tutta la coralità italiana deve porsi.
Sandro Bergamo direttore di “Choraliter”
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