L’opera e il suo contesto storico
Dido and Aeneas è la prima opera completa di Purcell di cui si abbia notizia.
L’autore la scrisse a 19 anni di età ed è probabilmente la sua opera più perfetta sotto il profilo drammaturgico-musicale. L’opera fu scritta dal Purcell per la parte musicale e dal poeta Nahum Tate, in seguito poeta laureato (quindi poeta di corte), con l’ausilio, per qualche adattamento del libretto di Thomas Durfey, celebrato autore teatrale dell’epoca. Si tratta del primo esemplare completo di opera “inglese”, nel senso di opera concepita e scritta in lingua inglese da un autore indigeno. Fu scritta per ambienti molto vicini alla corte reale degli Stuart, probabilmente fu eseguita privatamente per il re stesso, come il di poco precedente “Venus and Adonis” di John Blow, che di Purcell fu maestro. Ciò si deduce da una serie di allusioni politiche contenute nel Prologo, di cui è rimasto il testo ma non la musica, probabilmente distrutta dal Purcell stesso dopo le prime rappresentazioni, cambiato il clima politico. Ad ogni modo la prima esecuzione di cui si ha notizia certa è del 1689, per un collegio femminile alla moda di Chelsea, ed è logico presupporre che lo stesso Purcell sedesse al cembalo, e in seguito, nel 1700, l’opera fu inserita come intermezzo in un lavoro di Shakespeare. Da allora è rimasta in repertorio, tanto che già al finire del 18° secolo veniva inserito nei programmi della nascente “Academy of Ancient Music” di Londra. In ogni caso, il modello per l’opera fu fornito a Purcell dai masques di corte, che prevedevano frequenti inserimenti del balletto, e dall’opera veneziana, anzi l’aria d’opera veneziana sembrerebbe aver costituito un modello interessante per la ricerca del giovane autore inglese. L’opera è completamente cantata, senza parti recitate, e questo, nel contesto inglese dell’epoca, era segno di grande modernità. La trama dell’opera tratta della ben nota vicenda virgiliana, in modo spoglio, semplice ed efficace, senza vicende collaterali e una grande concentrazione drammatica che costituisce il maggior pregio dell’opera. Sembra strano dire che un’opera barocca funzioni soprattutto dal punto vista teatrale, ma questo caso specifico è ben noto. La destinazione cameristica (probabilmente la camera del re, certamente il collegio femminile diretto dal coreografo e regista Josia Priest a Chelsea) richiese un numero ristretto di personaggi e di strumenti, e quindi una semplificazione della trama. A differenza che nell’originale virgiliano, in cui Enea parte per obbedire agli Dei e al destino, nell’opera inglese Enea è spinto a partire soprattutto dalle forze del male, incarnate nella Stregoneria, che con gusto tipicamente britannico, poteva simboleggiare una polemica contro i riti “papisti” della chiesa cattolica.
L’organico
L’organico dell’opera prevede, in partitura, tre soli personaggi principali (Belinda, Didone, Enea, rispettivamente soprano, mezzosoprano, tenore) e alcuni comprimari, per brevi frasi (solo la Maga ha una parte di qualche rilievo, ed anticamente era una parte alternativamente rappresentata da un mezzosoprano o da un baritono). Lo strumentale prevede il basso continuo ed il classico quartetto d’archi (vln 1, vln 2 vla, basso/cello). Date le caratteristiche della destinazione dell’opera, è ovvio ipotizzare un gruppo cameristico, non molto esteso, di musicisti. Il coro è a 4 parti miste, senza divisioni (SATB), e richiede un gruppo piccolo di cantori, modernamente 12 o 16 ( ma la partitura è effettiva anche con poche meno o poche più persone), sia per la destinazione cameristica di cui si è detto, sia per la scrittura spesso madrigalistica e raffinatissima delle parti. Data la tessitura, la parte del contralto nel coro è destinata ad una corda maschile di tenori acuti o una corda mista. Sulla specifica vocalità del coro, ci soffermeremo più tardi.
La funzione del coro nel Dido & Aeneas
L’opera prevede una nutrita serie di interventi corali (15 interventi, contro 20 arie e recitativi) per lo più molto brevi ed incisivi. I cori sono sempre collocati: a) alla fine di una sequenza “recitativo e/o aria”, e quasi sempre alla fine di una scena o di un atto. Oppure: b) all’inizio di una scena. Ciò non è senza conseguenze, come vedremo, per la funzione drammaturgica del coro. Il coro interpreta di volta in volta: Cortigiani, streghe, marinai, amorini.
Tipologia della scrittura corale e vocalità Purcell si rifà con eleganza alla tradizione madrigalistica italiana/inglese. Tuttavia il trattamento formale e l’impianto tonale sono totalmente moderni, barocchi, come vedremo. I cori sono in stile imitato con sezioni omoritmiche, o del tutto in scrittura omoritmica, con la tipica britannica nobiltà nel movimento. La maggior parte è costituita da interventi brevi che definiscono una scena, un evento, un “affetto”, secondo la poetica barocca. Altri brani, che concludono per lo più scene ed atti, sono di durata equivalente a quella di un breve madrigale (il più lungo, 2’ 20’’, è l’ultimo, “With drooping wings”) e sono più strutturati. Essi seguono del madrigale, oltre alla disposizione delle voci, anche la struttura ad episodi legati ai singoli versi del testo. Esiste l’eccezione del brano “In our deep vaulted cell”, che utilizza la tecnica tipicamente barocca dell’eco, in cui alla frasi omoritmiche del coro risponde l’eco delle ultime sillabe.
E’ molto probabile che un quartetto vocale cantasse la parte in eco da dietro la scena. In altri casi, dopo l’esposizione del testo, anche diviso in episodi, si assiste alla ripetizione integrale della musica, con una conseguente ripartizione A A’. Nella prassi esecutiva la parte A’ viene sempre cominciata con dinamica diversa. Anche nell’ultimo coro dell’opera, già citato, c’è un segno di ripetizione integrale, ma in tutte le esecuzioni è prassi non far cantare la ripetizione dal coro ma solo dall’orchestra. Ciò è giustificato dal miglior effetto drammatico che si ottiene accompagnando i sentimenti di dolore e di tristezza dell’ultima scena con un lento decadere della tensione, senza ribadire il tutto con i versi del coro, che appesantirebbero il finale. E’ da dire che quest’uso è unanimemente accettato, a di mostrazione in questo caso di una moderna univoca sensibilità formale degli interpreti. La scrittura dell’intera opera ha un’ispirazione unitaria, e si può pensare che sia stata scritta in poco tempo, deducendolo dalla fortissima continuità stilistica dell’insieme, che coniuga elementi italiani, inglesi e francesi con grande eleganza. In particolare, i valori drammatici del testo vengono seguiti con estrema cura e con una raffinatezza nei particolari e nell’esecuzione tecnica delle idee musicali che è propria del grande autore. I cori fanno parte integrante di questo stile, e quindi in essi il legame parola-musica è strettissimo. Circa la vocalità dei cori, come detto, la scrittura si richiama ad una vocalità non pesante, ma molto attenta ai valori espressivi della singola frase, alla declamazione del testo. La tessitura delle voci si mantiene tranquillamente entro i limiti del madrigale classico, e preferibilmente è stesa in zone dove la declamazione del testo è più semplice. Le dissonanze sono preparate o di passaggio, gli effetti richiesti sono piuttosto normali nello stile del madrigale maturo. Tipicamente barocchi ed amati da Purcell sono certi ritmi “a specchio” come in “Fear no danger”:
Sono da notare gli accenni allo stile veneziano in “To the hills and the vales”, con il ritmo puntato nei vocalizzi, come un abbellimento scritto per esteso: e la “risata” del coro delle streghe (Ho, ho ho, in “Ho, ho, ho” e simili). Si tratta di stilemi piuttosto frequenti nello stile madrigalistico italiano di una o due generazioni prima, e molto delicate da rendere con un gruppo corale, adatte ad un gruppo non grande. Gli archi raddoppiano sempre le voci del coro, il che fa pensare ad un suono morbido e fuso. Le
funzioni a cui assolvono i cori dell’opera sono tre: a) come presentazione di un clima emotivo, di una situazione specifica. b) come amplificatio o commento di uno stato d’animo o di un concetto presentato nelle arie precedenti. c) come culmine e dissolvimento di una tensione creata precedentemente. Fanno parte del caso a) cori come “Great minds”, “Harm’s our delighful”, “Fear no danger”, “Banish sorrow”, “Thanks to these lonesome vales”, “Come away”. Particolarmente incisivi in questa funzione sono i cori brevi, costituti da poche battute
che innalzano immediatamente il tono della vicenda. Del caso b) fanno parte: “When monarch”, “Cupid only”, “Ho ho ho”, “Haste, haste to town”, “Destruction is our delight”. In questo caso il coro assume una funzione, molto simile a quello della tragedia greca, di commento all’azione. Assolvono alla funzione c) i cori di : “To the hill sand the vales”, “In our deep vaulted cell”,” With drooping wings”. In questo caso, il coro è il culmine di una tensione e l’inizio del suo dissolvimento. Per bellezza e durata, i cori più importanti dell’opera sono senza dubbio: “Cupid Only”, “To the hills and the vales”, “Destruction’s our delight”, “In our deep vaulted cell”, “With drooping wings”. In generale il coro in quest’opera, pur se rappresentato sulla scena da una pluralità di personaggi (Cortigiani, marinai, streghe, amorini) non assume mai un vero realismo scenico, e trasmette sì le immagini del testo e le emozioni, ma in maniera sempre filtrata, come nella migliore tradizione neoclassica. In molte esecuzioni moderne, infatti, si evita di travestire il coro, e lo stesso Purcell non cambiò il genere delle voci per marcare differenze tra i marinai, ad esempio, e le streghe, utilizzando sempre in ogni caso il coro misto. Il coro conserva quindi una sua veste di “personaggio” che entra nell’azione e la commenta, ed assolve a funzioni fondamentali, specialmente quando chiude le scene e gli atti, ( per es.prima della danza nel 1 atto) ossia sempre, tranne che nel 2 atto, in cui il coro è il penultimo numero, e l’atto chiude con l’aria di Enea. Questa asimmetria ha sempre attratto la curiosità degli studiosi, e in molte esecuzioni dopo detta aria si inserisce un brano strumentale per chiudere l’atto con una danza. Alcuni studiosi ed interpreti invece pensano che tale conclusione sia voluta dal Purcell, per mantenere alta la tensione, ed evitare una conclusione ovvia. Analisi di alcuni cori With drooping wings Il brano è scritto nella tonalità di sol minore, che per Purcell era legata simbolicamente all’idea di tragedia. E’ posto alla fine dell’opera, subito dopo la morte di Didone, e quindi nel momento di maggior pathos dell’opera. La sua funzione è quella di dissolvere la tensione del suicidio della regina e di condurre gli spettatori verso una composta contemplazione del dolore e dell’eternità. Il testo invita gli amorini a vegliare sulla tomba di Didone e a spargere rose sul sepolcro, per sempre. I primi tre episodi sono classicamente madrigalistici, in stile imitato, ognuno legato ad un’immagine del testo, con il primo dei tre più lungo. La linea discendente del primo episodio rappresenta la discesa degli amorini attorno a Didone morta. Nel secondo episodio lo diffusione delle crome rappresenta lo spargersi delle rose. Nel finale Purcell ricorre ad una declamazione interrotta da singhiozzi-pause estremamente efficace che rimarca la parola “never”, usando anche un cromatismo. Le linee vocali di grande semplicità sono di aiuto nel condurre l’opera al suo finale. Tonalmente il brano si può considerare bipartito, con una prima parte che si conclude su Re maggiore e una seconda parte che fa il percorso inverso fino al sol minore. Questo elemento di modernità sotteso ad una tecnica vocale ancora madrigalistica è assai indicativa della posizione storica di Purcell. Cupid only throws the dart Il coro è inserito nel primo atto ed ha la funzione di commentare ed esplicitare i sentimenti d’amore sottintesi al dialogo appena precedente tra Enea e Didone, esaltando il potere di Cupido. Il primo episodio è imitato, con un tema ribattuto semplice ed espressivo. Molto interessante è l’utilizzo delle dissonanze di passaggio, che rendono il brano…pungente come le frecce di Cupido. Nella seconda parte il testo è affidato ad un declamato omoritmico, ripetuto più volte e leggermente variato. Anche in questo brano breve, Purcell unisce la tecnica madrigalistica ad un attento percorso tonale. Dall’iniziale mi minore, si giunge a sol maggiore con l’inizio del 2 episodio, e ricomincia il percorso inverso.
Bibliografia:
David van Asch, note dall’edizione discografica Naxos
Curtis Price, note dall’edizione discografica Archiv
Clifford Bartlett, note dall’edizione della partitura
King’s Music
Voci da Wikipedia: “Dido and Aeneas”, “Henry
Purcell”
Ellen T. Harris,” Henry Purcell’s Dido and Aeneas” –
Oxford University Press USA
William H. Cummings, prefazione e saggio dalla
partitura ed. Dover
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