Giovanni Pierluigi da Palestrina, come molti sapranno, svolse la sua attività quasi esclusivamente a Roma; forse meno diffusamente noti sono i suoi rapporti con Guglielmo Gonzaga, Duca di Mantova, che – fra l’altro – gli commissionò almeno dieci Messe polifoniche nel corso degli anni che vanno dal 1568 al 1579. L’esistenza di queste Messe, testimoniata dalla preziosa corrispondenza fra Palestrina e Guglielmo (si tratta probabilmente delle uniche lettere autografe di Palestrina pervenuteci1) rimase fino a pochi decenni fa avvolta nel mistero poiché, a causa della dispersione dell’archivio della Basilica Palatina mantovana di Santa Barbara, se ne erano perse completamente le tracce. Già nel 1947 Oliver Strunk2, sulla base di questo carteggio, ne aveva ipotizzata l’esistenza individuando con grande acume quelle che dovevano esserne le caratteristiche musicali e formali, ma solamente nel 1950 il musicologo danese Knud Jeppesen – ricostruendo le complesse vicende dell’archivio barbarino – potè annunciarne il ritrovamento presso la Biblioteca del Conservatorio “G. Verdi” di Milano e successivamente pubblicarle.3 Per comprendere correttamente la funzione di queste messe è necessario inquadrarne la commissione nel contesto dell’operazione che maggiormente caratterizzò la politica culturale di Guglielmo Gonzaga: l’istituzione della Basilica Palatina di Santa Barbara. Divenuto Duca di Mantova ancora minorenne nel 1550 a causa della morte del fratello diciassettenne Francesco III, Guglielmo (1538-1587) ebbe ben presto l’occasione di dar prova del suo carattere deciso e volitivo; destinato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica a causa della sua deformità (soffriva, come già prima di lui altri membri della famiglia, di gravi problemi alla colonna vertebrale), non rinunciò per questo – nonostante le forte pressioni subite – al suo ruolo di governo; dopo alcuni anni di reggenza da parte della madre e dello zio, il cardinale Ercole Gonzaga, si trovò a dover gestire i delicati equilibri di un ducato che godeva di una posizione strategica al centro della pianura padana e sul quale la recente annessione di Casale Monferrato (1536) aveva ulteriormente attirato le mire dei potentati limitrofi; sposato ad Eleonora d’Austria, nei 37 anni del suo governo Guglielmo curò dunque con grande attenzione i rapporti con i potenziali alleati, anche attraverso una accorta politica matrimoniale che lo portò a consolidare le alleanze con Ferrara, Firenze e l’Impero attraverso i matrimoni
dei suoi tre figli Margherita, Vincenzo e Anna Caterina. In una tale situazione anche il rapporto con la Chiesa romana, che proprio in quegli anni aveva portato a termine i lavori del concilio di Trento, si rivelava determinante. La posizione di Guglielmo fu volta a proporsi come immagine del perfetto principe cattolico, ma al tempo stesso ad affermare con decisione la propria indipendenza da Roma. Queste sono le motivazioni che nel 1562 lo portarono ad intraprendere la costruzione della Basilica Palatina di Santa Barbara e a chiedere al Papa che essa fosse dotata di una propria liturgia esclusiva (che rispetto a quella romana enfatizzava l’importanza delle festività collegate ai Santi protettori della città, di cui i Gonzaga possedevano le reliquie, e di quella di Santa Barbara in particolare), di un proprio repertorio di canti e di un clero che rispondesse direttamente alla Santa Sede piuttosto che all’episcopato mantovano; in sostanza il nuovo tempio avrebbe celebrato al tempo stesso tanto l’ortodossia nei confronti della Chiesa di Roma quanto la potenza della dinastia dei Gonzaga. La richiesta era ambiziosa, poiché il Concilio di Trento aveva recentemente sancito la
soppressione di tutti i riti che non avessero una tradizione consolidata da almeno duecento anni; tuttavia
l’insistenza e la determinazione di Guglielmo fecero sì che – dopo due decenni di intense ed estenuanti trattative – Gregorio XIII, con Bolla Cum ex insigni del 10 novembre 1583, concedesse la facoltà di utilizzare
in modo esclusivo un proprio Messale ed un proprio Breviario. Nel frattempo Guglielmo aveva provveduto a dotare la Basilica di un proprio repertorio di canti basato su quello romano ma riveduto in conformità ai dettami conciliari e a direttive locali (a partire dagli anni ’50 egli intrattenne una regolare corrispondenza con Carlo Borromeo, per il quale nutriva profonda amirazione e che probabilmente ne influenzò profondamente le idee); aveva inoltre promosso la composizione di un repertorio polifonico basato su questi canti firmi, avvalendosi principalmente della collaborazione del compositore fiammingo Giaches de Wert.4 È in questo quadro che si colloca il rapporto fra Guglielmo e Palestrina: la prima delle lettere di Palestrina indirizzate a Guglielmo che ci è pervenuta porta la data del 2 febbraio 1568; essa accompagna l’invio da Roma di una prima Messa commissionata dal Duca “per mano di Virtuoso così raro come M. Giacches [de Wert]” e realizzata “così come mi ha instruito M. Anniballe Cappello”.5 In questa lettera il compositore
manifesta qualche incertezza circa l’aver correttamente interpretato le richieste di Guglielmo e lo stile da praticarsi in Santa Barbara: “se li piacerà di comandarmi, come la uoglia, o, breve o longa, o che si sentan le parole, io mi prouarò servirla secondo il mio potere …”.6 Non abbiamo notizie certe di questa Messa ma possiamo supporre che si tratti della Missa in Duplicibus majoribus [‘Doppio maggiore’], non pervenutaci, cui si allude nella minuta di una lettera inviata da un ufficiale di corte mantovano ad Annibale Capello il 23 ottobre 1578 in occasione della più corposa commissione di Messe di cui si parlerà più avanti. Nel decennio successivo al 1568 lo scambio epistolare testimonia essenzialmente l’invio di alcune composizioni palestriniane a Mantova, a volte su testi forniti dal Duca stesso; l’evento più significativo è comunque l’inoltro – tramite il solito Annibale Capello – di una copia fresca
di stampa del Mottettorum
… liber secundus, dedicato a Guglielmo7; questo libro contiene, fra gli altri, due mottetti collegati alla nuova liturgia di Santa Barbara: Gaude Barbara beata a 5 vv. e Beata Barbara a 6 vv.8 Un altro aspetto importante dei rapporti fra Palestrina e Guglielmo è rappresentato dalla frequente richiesta di pareri professionali e di revisioni di proprie opere musicali da parte del Duca, che praticava attivamente e con particolare competenza la composizione, tanto da disporne in più occasioni la pubblicazione (sebbene generalmente in forma anonima, come era frequente nel caso di personaggi di tale rilevanza)9. Gli interventi di Palestrina, che spesso dichiara di aver trascritto le composizioni in partitura per meglio esaminarle, sono ossequiosi ma schietti, e non mancano di rilevare i passaggi particolarmente deboli per i quali giunge a suggerire un totale rifacimento: “il ‘pleni’ [del Sanctus] non l’ho tocco perché spero che un giorno V. Ecc.a hauendo un poco d’otio si pigliara piacere di rinouare quel terzetto …”.10 Le osservazioni di Palestrina ci illuminano anche sulle preferenze stilistiche del Duca, che – come avremo modo di verificare – costituivano altresì delle precise prescrizioni per i musicisti che componevano per Santa Barbara. Scrive Palestrina, commentando un Mottetto di Guglielmo: “mi par che quando si può far di meno soni meglio l’Harmonia”,11 e: “mi pare ancora che per la stretta tessitura delle fughe, si occupino le parole agli ascoltanti, che non le godono come nella musica commune”.12 Apprendiamo dunque come il gusto di Guglielmo – decisamente conservatore e vicino alla tradizione fiamminga – inclinasse verso un fitto ed onnipresente tessuto imitativo, spinto fino al punto di oscurare l’intelligibilità del testo; giova qui ricordare come una simile posizione si scostasse significativamente dalla prassi romana e dalle raccomandazioni conciliari che avevano determinato, solo pochi anni prima, il successo della Missa Papae Marcelli. Semplici questioni di gusto o, ancora una volta, una sottintesa dichiarazione di indipendenza da parte del Duca di Mantova? La corrispondenza si infittisce fra il novembre 1578 e la primavera 1579 in occasione dei successivi invii delle nove Messe commissionate a Palestrina e destinate a Santa Barbara. Si tratta delle cosiddette ‘Messe mantovane’ riscoperte da Jeppesen (2 in Duplicibus minoribus, 3 in Festis Beatae Mariae Virgini, 2 in Festis Apostolorum e 2 in Semiduplicibus majoribus). Con le altre Messe polifoniche composte espressamente per Santa Barbara da diversi autori (fra cui Giaches de Wert, Gian Giacomo Gastoldi, Giovanni Contino, Francesco Rovigo e lo stesso Guglielmo), queste composizioni condividono alcune particolarità stilistiche evidentemente imposte dal Duca. In primo luogo sono tutte Messe ‘corali’ costruite
sulle melodie del Kyriale ad usum ecclesie Sante Barbare; le melodie di questo Kyriale erano a loro volta il frutto dell’opera di riorganizzazione del canto monodico sacro promossa dal Duca (alla quale con ogni probabilità egli stesso partecipò attivamente) secondo principi di semplificazione e razionalizzazione in sintonia con quelli caldeggiati dal Concilio tridentino: “[Palestrina] afferma che nel uero V.A. ha purgati quei canti fermi di tutti i barberismi e di tutte le imperfettione che ui erano …”.13 Le Messe di Santa Barbara si presentano quindi come raccolte di brani estratti da differenti Messe del Kyriale romano (spesso ritoccati modificando sillabazione e melismi secondo criteri più ‘rinascimentali’ e in funzione di una maggiore chiarezza modale) integrate da melodie originali e riunite in base al criterio dell’appartenenza al medesimo modo ecclesiastico. Una seconda caratteristica comune alle Messe polifoniche in questione è la sistematica applicazione del principio dell’alternatim, in cui sezioni polifoniche si alternano ad altre in cantus planus secondo una prassi che più comunemente portava ad alternare sezioni cantate a sezioni affidate all’organo; a questo proposito sappiamo che Palestrina, almeno inizialmente, ricevette dal Duca solamente le melodie dei versetti da rielaborare polifonicamente, e che più volte rinnovò la richiesta di poter avere anche le melodie dei versetti monodici, tanto per servirsene – previa autorizzazione del Duca – nelle celebrazioni romane in S.Pietro, quanto in vista di una pubblicazione a stampa che avrebbe potuto rientrare nell’ambito dell’incarico di rivedere il Graduale romano affidatogli proprio nel 1578 da Gregorio XIII (“… se l’Altezza V.a si contentara si mandaranno in stampa con il graduale che nostro signore mi ha comandato che io emendi …”14).
Ulteriore tratto condiviso dall’intero corpus delle Messe di Santa Barbara – in linea con le già citate preferenze stilistiche di Guglielmo – è l’utilizzo sistematico di una texture fittamente imitativa; nel carteggio riguardante la composizione delle Messe mantovane di Palestrina questa richiesta compare insistentemente. Fra i vari documenti vale la pena di citare una lettera contenente varie disposizioni del Duca, la cui minuta è stata modificata di propria mano dallo stesso Guglielmo, che invita Palestrina a non affrettarsi a comporre sul liuto le Messe richieste, ma a curare h’esse siano fugate continouamente et sopra soggetto […]”15. Nella medesima lettera non si perde l’occasione per sottolineare – con una punta di orgoglio – la maggiore complessità polifonica delle musiche in uso a Mantova rispetto alla tradizione romana di S. Pietro. Palestrina recepisce la richiesta realizzando una serie di composizioni in cui l’equilibrato avvicendarsi di sezioni imitative ed omoritmiche cede pressoché completamente il posto ad una continua elaborazione imitativa dei soggetti, tanto da spingere Jeppesen a definire queste Messe una sorta di Arte della Fuga palestriniana ed a considerarle un oggetto di studio indispensabile per la conoscenza del contrappunto cinquecentesco, ma anche a sottolinearne l’elevata e
severa bellezza mai degradata a puro tour de force. Le 9 Messe palestriniane degli anni 1578-79 ci sono pervenute in due magnifici manoscritti, opera magistrale del celebre calligrafo Francesco Sforza, i MSS 164 e 166 del Fondo S. Barbara della Biblioteca del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano ritrovato e studiato da Jeppesen; quattro di esse compaiono anche nel MS 14 del medesimo fondo assieme ad una Missa Dominicalis adespota che pure potrebbe essere attribuita a Palestrina;16 una ulteriore Messa palestriniana Sine nomine a 4 voci, quasi certamente non scritta per Mantova in quanto non presenta le caratteristiche distintive del repertorio mantovano, si trova nel MS 109. Una Missa Dominicalis a 5 voci alternatim appare inoltre, unica edita a stampa, in una raccolta milanese del 1592 curata da Giulio Pellini, che contiene altre 5 Messe della Domenica di autori mantovani.17 Dopo il 1579 le lettere si fanno più rade; nella primavera del 1583 il compositore, per tramite del funzionario mantovano Aurelio Zibramonte, propone per il posto di Maestro di Cappella del Duca – temporaneamente disponibile a causa della malattia di Giaches de Wert – Annibale Zoilo e il suo allievo Francesco Soriano, sconsigliando invece l’assunzione di Luca Marenzio, che a suo parere non sarebbe “maggior huomo del Soriano, né in scienza né in attitudine di governar musici”. Successivamente si avvia anche una trattativa per il trasferimento a Mantova dello stesso Palestrina, le cui richieste economiche appaiono però eccessive e che di conseguenza si conclude senza alcun esito. L’ultima lettera di Palestrina a Guglielmo, datata 6 luglio 1587, accompagna l’invio di “pochi canti” e precede solamente di pochi giorni la morte di quella singolare figura di mecenate che si spegnerà a Goito il 14 agosto dello stesso anno; il ducato passerà quindi nelle mani del più brillante e prodigo figlio Vincenzo, molto più sensibile del padre alle ultime tendenze della musica profana piuttosto che al repertorio sacro, e ben presto farà la sua comparsa alla corte mantovana il giovane Claudio Monteverdi. Nota discografica: delle nove messe del 1578- 1579, assieme alla citata Sine nomine, esiste una incisione discografica eseguita dalla Cappella Musicale di S.Petronio con la direzione di Sergio Vartolo, pubblicata da Bongiovanni in 3 volumi per un totale di 5 CD (Vol. I: Bongiovanni 5544/45 (2 CD); Vol. II: Bongiovanni 5556/57 (2 CD); Vol. III: Bongiovanni 5558).
1 Iain Fenlon, Music and Patronage in Sixteenth-century
Mantua, Cambridge, Cambridge University Press, 1980; trad. italiana:
Musicisti e mecenati a Mantova nel ‘500, Bologna, Il Mulino,
1992, p. 125
2 Oliver Strunk, Guglielmo Gonzaga and Palestrina’s Missa
Dominicalis, in «The Musical Quarterly», XXXIII, (1947), pp.
228-239; trad. italiana in La musica e il mondo : mecenatismo e commitenza
musicale in Italia tra Quattro e Settecento, a cura di Claudio
Annibaldi, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 73-84.
3 Le opere complete di Giovanni Pierluigi da Palestrina, a cura
di Knud Jeppesen, voll. 18-19, Roma, Scalera, 1954.
4 Iain Fenlon, Giaches de Wert and the Palatine Basilica of
Santa Barbara. Music, Liturgy and Design, in Giaches de Wert (1535-
1596) and His Time. Colloquium Proceedings, Antwerpen 26-27
August 1996, Leuwen – Peer, Alamire, 1999, pp. 30-31.
5 Edita in Antonio Bertolotti, Musici alla corte dei Gonzaga
in Mantova dal secolo XV al XVIII. Notizie e documenti raccolti negli
archivi mantovani, Milano, 1890, pp. 47-48.
6 ibidem
7 Lettera di Annibale Capello al Duca di Mantova, da
Roma il 24 settembre 1572, in Bertolotti, cit., p. 49.
8 Cfr. Paola Besutti, Quante erano le messe mantovane?
Nuovi elementi su Palestrina e il repertorio musicale per S. Barbara, in
Palestrina e l’Europa. Atti del 3° Convegno internazionale di studi
(Palestrina, 6-9 ottobre 1994), a cura di G. Rostirolla, S. Soldati,
E. Zomparelli, Palestrina, Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina,
2006, pp. 712 ss.
9 Cfr. Richard Sherr, The Publications of Guglielmo Gonzaga,
in «Journal of the American Musicological Society», XXXI,
(1978), pp. 118-125.
10 Lettera di Palestrina al Duca di Mantova, da Roma il
17 aprile 1574, in Bertolotti, cit., p. 50.
11 Lettera di Palestrina al Duca di Mantova, da Roma il
3 marzo 1576, in Bertolotti, cit., p. 49.
12 Ibidem.
13 Lettera di Annibale Capello al Duca di Mantova, da
Roma il 18 ottobre 1578, in Bertolotti, cit., p.52.
14 Lettera di Palestrina al Duca di Mantova, da Roma il
1° (o, più probabilmente, il 5) novembre 1578, in Bertolotti, cit.,
p. 52.
15 Lettera di un funzionario della corte mantovana ad
Annibale Capello, da Rizolo il 23 ottobre 1578, edita in Knud
Jeppesen, Pierluigi da Palestrina, Herzog Guglielmo Gonzaga und die
neugefundenen Mantovaner-Messen Palestrina’s. Ein ergänzender Bericht,
in «Acta Musicologica», XXV, (1953), pp. 132-179; p. 162.
16 Cfr. Besutti, cit., pp. 730-734.
17 Questa Messa compare in edizione moderna in: Pierluigi
da Palestrina’s Werke, ausgearbeitet von Franz Xaver Haberl,
Tomus XXXIII, Leipzig, Breitkopf & Hartel, 1907, pp. 1-33.
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