Di recente si assiste, nella scuola primaria e secondaria di primo grado, a un rifiorire di iniziative volte a riscoprire il valore educativo e formativo del canto corale. Sono sorti, o si sono riaffermati, concorsi per cori scolastici e per complessi vocali giovanili, vi sono iniziative ministeriali e concerti di cori di voci bianche, spesso sorti in ambito scolastico, sono in cartellone quasi ovunque. In questa situazione sorge l’esigenza di trovare, nell’ambito scolastico, persone in grado di occuparsi consapevolmente delle giovani voci dei bambini e ragazzi coinvolti in queste iniziative. Se la direzione di un coro di adulti comporta la padronanza di tutta una serie di competenze – tecniche, psicologiche, perfino organizzative – a maggior ragione la direzione di un coro di voci bianche richiede esperienze e competenze non facilmente reperibili, anche quando ad occuparsene siano insegnanti diplomati. Per fare un esempio, è logico che un pianista, per bravo e consapevole che sia, non possiede dalla sua formazione conservatoriale le esperienze e le conoscenze tecnicopratiche necessarie alla conduzione di un coro di bambini o di giovani della scuola secondaria di primo grado. Il primo requisito indispensabile all’insegnante è una conoscenza perfetta (non solo teorica) della vocalità nel suo insieme: anatomia dell’apparato vocale e respiratorio, funzionamento della fonazione, respirazione diaframmatica (e gli altri tipi: clavicolare e toracico-costale), emissione vocale, risonanze di petto e di testa e tutto quel che attiene all’aspetto vocale. E’ impossibile pensare che l’insegnante-istruttore di un coro di bambini abbia solo vaghe conoscenze teoriche o addirittura che sia convinto che “cantare è la cosa più naturale del mondo” e quindi non occorrano ai bambini tecnica e consapevolezza. La voce è delicata ad ogni età, figuriamoci all’epoca della formazione definitiva del fisico
della persona. Al contrario, è indispensabile non solo che conosca alla perfezione tutto l’aspetto teorico della vocalità, ma anche che sappia metterla in pratica, almeno fino al punto di poter esemplificare su sé stesso le cose che chiede ai suoi coristi. Un direttore di coro che non canti è come un istruttore di guida che non guidi. La selezione dei coristi è un altro punto dolente. e l’obbiettivo è quello di creare un coro scolastico per esibizioni (poco importa se interne o esterne, se destinate ai soli genitori o ad un pubblico più vasto) una selezione è indispensabile. Se invece si vuole dare ai ragazzi una conoscenza della coralità come aspetto formativo, allora è indispensabile non selezionare. A questo punto, devo dare una tirata d’orecchi a molti insegnanti del passato, che attribuivano (ma molti lo fanno ancora) con troppa facilità il marchio di “stonato” ai loro alunni, spesso lasciando in loro una specie di marchio d’infamia per la vita. Molto spesso – ma potrei dire sempre – si tratta di bambini con la voce insolitamente spinta nella zona acuta o (più frequentemente) in quella grave dell’estensione. Questi soggetti cantano una quarta o una quinta sopra o sotto la nota giusta e quanto migliore sarà il loro orecchio, tanto più stonati sembreranno, perché la loro percezione interna li farà cercare l’intonazione corretta anche durante l’esecuzione, andando a cozzare contro la loro vocalità. L’operazione di recupero, che è fattibilissima ma richiede un po’ di tempo da dedicare individualmente al soggetto, è la seguente: si fa intonare al ragazzo una nota a sua scelta, la si trova con uno strumento a tastiera e la si fa ripetere con lo strumento parecchie volte, fino a dare al ragazzo la sicurezza di quella nota. Poi si sale e si scende con intervalli di tono intero partendo dalla nota data, e insistendo fino a corretta esecuzione, e allargando progressivamente l’estensione. Dopo poche lezioni il ragazzo è in grado di aggregarsi al gruppo con facilità. Tornando alla selezione è bene ricordare che un errore comune è quello di mettere gli elementi molto bravi tutti nella prima voce lasciando la seconda un po’ al suo destino. E’ invece utile fare il contrario: la difficoltà della prima voce, di solito quella della melodia, è nell’estensione, mentre quella della seconda, generalmente incaricata di compiti di carattere armonico, è nell’intonazione. Quindi è indispensabile che gli elementi che hanno nell’intonazione il loro punto di forza facciano parte della seconda voce, non della prima, lasciando invece in questa i bambini che abbiano particolare facilità nella zona acuta. Nel caso del coro senza selezione di elementi, il mio suggerimento è di scegliere per la seconda voce i ragazzi particolarmente indipendenti e autonomi, che possano cantare senza farsi influenzare dalla facile melodia della prima voce. Un altro punto importante: cantare la seconda o la terza voce non è una punizione, ma un premio. La prima voce, la melodia, è sempre relativamente semplice da imparare e da ritenere, le altre – e quanto più sono “compresse” tra altre parti tanto più questo sarà evidente – sono difficili, poco orecchiabili, complesse da ricordare. Queste richiedono doti musicali e caratteriali spiccate, a differenza della relativa anonimità della voce melodica. Una volta stabilite le sezioni, inizia il lavoro vero e proprio. Nei primi incontri è indispensabile dare ai giovani una base tecnica il più possibile corretta, tramite spiegazioni, esempi, vocalizzi e quanto occorre. Iniziare dalle spiegazioni sui vari tipi di respirazione, mostrandone le differenze, motivandoli a cercare la respirazione corretta (cosa utile non solo per il canto, ma per la vita intera), facendo loro svolgere esercizi fisici che permettano il formarsi di questa consapevolezza. In questa fase è utile, quando possibile, la collaborazione di un medico, meglio se foniatra, o almeno di un insegnante di scienze motorie. Allo stesso tempo, si cercherà di dare ai discenti le capacità fonatorie corrette. Un metodo semplice per rendere consapevoli i ragazzi del canto in maschera è quello di far toccare la parte ossea del naso mentre si emette la consonante N o M. La leggera vibrazione che si avverte è quella che va cercata durante l’esecuzione, e si può trasferire alle vocali (che sono il vero oggetto del canto) con esercizi graduali di apertura della bocca partendo dalle consonanti citate verso le vocali I, O, E, A. La U richiede un’emissione particolare, truccando una O in modo opportuno. A proposito dell’apertura della bocca, è indispensabile richiedere ai ragazzi un’apertura il più possibile “alta”, nella A e nella O in tutta l’estensione, nella I e nella E almeno nella zona acuta. Un sistema utilizzabile per dare la misura della corretta apertura della bocca è quello delle “tre dita”: indice, medio e anulare tenuti dritti e uniti devono entrare verticalmente nella bocca aperta. Si distribuisca ai ragazzi lo spartito (corretto, leggibile… a volte si vedono spartiti indecenti) e non il solo testo. E’ un’occasione preziosissima per iniziare i ragazzi alla lettura e alla consapevolezza anche grafica della notazione musicale. Si insegnano – per imitazione, sperando e cercando di avere poi la possibilità di dare ai coristi la consapevolezza canora necessaria per la lettura – le varie voci, frase per frase, partendo da quella più grave. Quando la sezione ha un discreto controllo della frase appresa, si passa alla voce immediatamente superiore, confrontandola e rapportandola sempre a quella appena terminata. Prima possibile si facciano sovrapporre le due sezioni, fino ad ottenere la polifonia prevista. Quando la frase è appresa con sicurezza, si proceda con quella successiva. A mio parere è meglio, per il formarsi di una consapevolezza corale, fare le prove con tutto il coro e non con le sezioni separate. E’ vero che questo lascia spesso i ragazzi inoperosi (mentre una delle sezioni apprende la propria parte, le altre devono tacere), però permette agli alunni di rendersi conto della complessità della polifonia e del necessario relazionarsi tra di loro delle singole parti. Alcuni direttori suggeriscono di far apprendere tutte le parti a tutto il coro, e scinderle successivamente; in determinate condizioni potrebbe essere un metodo fruttuoso. Non è assolutamente indispensabile partire dall’inizio del brano, e spesso neppure consigliabile. E’ molto meglio iniziare dalla parte più difficile, oppure da quella più accattivante, onde gratificare i ragazzi che cantano. Il “montaggio” del brano può avvenire in un secondo tempo, quando tutte le parti siano state apprese con sicurezza. Durante tutto il percorso di apprendimento dei brani, bisogna sorvegliare il corretto svolgimento tecnico del canto: respirazione, immascheramento della voce, esattezza delle note nella polifonia. Fondamentale anche convincere i ragazzi all’ascolto reciproco: il coro richiede assoluta sincronia ritmica e sintonia vocale, impossibili da ottenere senza il lavoro costante delle orecchie. Il momento dell’esibizione pubblica va curato anche dal punto di vista estetico: abbigliamento, ordine di ingresso e di uscita, correttezza della postura, tutto contribuisce ad una buona riuscita, senza però arrivare ad esagerazioni paramilitari. L’importante è che i ragazzi vedano questo momento come il coronamento di un lavoro piacevole e gioioso, compiuto insieme all’insegnante e agli amici. Molto importante cercare di dare al coro un’identità globale: è un gioco di squadra, si vince e si perde insieme, il “tutto” al di sopra del singolo. L’ultima raccomandazione: niente esaltazione per le buone o ottime esibizioni, niente drammi per gli errori. Un comportamento diverso sarebbe sbagliato coralmente e poco formativo per la persona. Sovraccaricare di aspettative un’esibizione di un coro di voci bianche è assolutamente deleterio, e può portare i bambini – e, spiace dirlo, anche i genitori – a una tensione eccessiva che alla lunga potrebbe giungere a disgustare dal canto e a portare il coro al disfacimento. Usiamo buon senso,e anche spirito olimpico: anche ai concorsi di canto corale, l’importante non è vincere, ma partecipare.
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