Nel 2001 è stato celebrato il quinto centenario di un avvenimento importante nel campo della tipografia, secondo forse solo all’innovazione apportata da Gutenberg alla stampa del libro: nel 1501 a Venezia lasciava i torchi una raccolta di musica a stampa, per la prima volta realizzata con caratteri mobili dal tipografo Ottaviano Petrucci, un nome ancora oggi poco conosciuto ai più, ma ben noto a quanti si interessano di storia della musica. La ricorrenza è stata ricordata a Venezia con un Convegno internazionale organizzato dalla prestigiosa “Fondazione Ugo e Olga Levi per gli studi musicali” al quale hanno partecipato studiosi di storia della stampa (compreso l’autore di questo contributo), della musica e di musicologia provenienti, oltre che dall’Italia, da Francia, Gran Bretagna, Germania, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda. Chi era Ottaviano Petrucci, definito anche il Gutenberg della musica? A Magonza, nel 1457, J. Fust e P. Schoeffer stampano il Salterio, nel quale ai righi stampati al torchio furono aggiunte a mano le note. Quindi- Ottaviano Petrucci fa la sua comparsa a Venezia alla fine del secolo. Della sua giovinezza si sa poco: nato nel 1466 a Fossombrone (non distante da Urbino) si era trasferito in laguna nel 1490, sembra per apprendere l’arte tipografica, anche se a ventiquattro anni era un po’ tardi, allora, per imparare un mestiere; in effetti cosa abbia fatto Petrucci fino al 1490 rimane un mistero. Originaria di Fano, città dalla quale era stata allontanata per motivi politici, la sua famiglia si era trasferita a Fossombrone ed è probabile che Ottaviano abbia frequentato la nobiltà locale e, verosimilmente, a Urbino la corte del duca Federico del Montefeltro e poi di suo figlio Guidobaldo. Questa ipotesi è sostenibile considerando a fiducia riposta in lui dai duchi Della Rovere, successori dei Montefeltro, nel corso della sua vita; per contro non trova corrispondenza nel mestiere che Ottaviano intraprende: quella tipografica non era certo arte di prestigio, meglio sarebbe stato essere mercante. È possibile poi che Petrucci si sia trasferito a Venezia già conoscendo la tipografia? Per quanto se ne sa, la stampa fu introdotta a Urbino proprio nel 1490, e quindi troppo tardi per Ottaviano. Nel 1476 a Cagli, prossima sia a Urbino che a Fossombrone, era stata attiva una tipografia che però non ebbe vita lunga e quindi sembra da escludere che abbia potuto compiervi un apprendistato (a soli dieci anni?). Se non conosceva la tipografia, conosceva almeno la musica? Certo è che Petrucci nell’ultimo decennio del secolo è a Venezia. La Serenissima era all’epoca il centro di gran parte del traffico internazionale; disponeva di una notevole organizzazione commerciale che le consentiva di intrattenere rapporti con tutti i paesi che si affacciavano sull’Adriatico, sullo Jonio, sull’Egeo e con paesi dell’entroterra (Austria, Boemia, Ungheria). Oltre alle attività commerciali fiorivano in Venezia quelle artigianali ed artistiche; le diverse espressioni culturali godevano di protezione e favori; la vita civile era regolata da ordinamenti illuminati. Il benessere raggiunto favoriva un tenore di vita elevato nel quale trovavano posto feste, canti, rappresentazioni musicali e i musici e i letterati che approdavano da più parti a San Marco erano tenuti in grande considerazione. La stampa a caratteri mobili aveva trovato in Venezia il terreno ideale per svilupparsi ed affermarsi: agli stampatori la Serenissima accordava privilegi (specie di brevetto o monopolio dell’opera prodotta) e nel retroterra (a Treviso, Padova, Toscolano, Maderno) era possibile approvvigionarsi della carta necessaria, di buona qualità e già esportata in larga il colophon della Paolina misura; le opere realizzate godevano di un vastissimo mercato di vendita, in pratica tutte le terre toccate dai mercanti veneziani. Merita ricordare che nell’ultimo quarto del secolo in laguna operarono più di centocinquanta tipografie – tra le quali quella di Aldo Manuzio – mentre a Roma erano una trentina, poco meno di cinquanta a Bologna ed una ventina a Firenze. Non si sa cosa abbia fatto e chi abbia frequentato Petrucci appena arrivato a Venezia; dalle due lettere che presentano la sua prima opera si deduce che si era bene inserito negli ambienti culturali veneziani, così come è verosimile che abbia incontrato e frequentato due suoi concittadini, Bartolomeo Budrio e Franceco Spinaccino, personaggi interessanti per le rispettive attività: tipografo il primo, maestro di liuto il secondo (del quale Petrucci stamperà un’opera); deve aver, quanto meno, imparato l’arte tipografica, o deve essersi dedicato a perfezionare le sue conoscenze. Il 25 maggio del 1498 Ottaviano avanzò richiesta alla Serenissima per ottenere il privilegio esclusivo per stampare musica affermando che “con molte sue spese et vigilantissima cura ha trovato quello che molti non solo in Italia, ma etiam dio de fuora de Italia za longamente indarno hanno investigato che è stampar comodissimamente canto figurado. Ed per conseguenza molto più facilmente canto fermo; cosa precipue alla Religione Cristiana de grande ornamento et maxime necessaria; per tanto el soprascritto supplicante ricorre alla Ill.ma Signoria … supplicando se degni concederli come a primo inventore che niuno altro nel dominio di V. S. possi stampare canto figurado né intabuladure de organo e de liuto per anni venti ne anche possi portare ne far portare o vendere dicte cose in le terre e luoghi de Excelsa V. S. stampade fuora in qualunque altro luogo sotto pena de perdere dicte opere et de pagare ducati X per ciascheduna opera…”; il Consiglio concesse il privilegio con la formula: “Quod suprascripto supplicanti concedatur prout petit”. Contro ogni previsione, alla concessione non fece seguito alcuna stampa: bisognerà attendere fino al 1501 perché veda la luce la prima edizione musicale stampata interamente con caratteri
mobili. Le ragioni del ritardo potrebbero essere ricercate nella messa a punto del sistema di stampa, o forse nella necessità di reperire i finanziamenti necessari per avviare una tipografia propria e per una prima edizione. Fatto è che dopo tre anni esatti, il 15 maggio 1501, Ottaviano Petrucci edita la sua prima opera, l’Harmonice musices Odhecaton (noto più spesso come Odhecaton), cioè cento canti di musica armonica (in realtà sono novantasei), un volumetto in 4° di forma oblunga (23 x 16 cm), con testo a caratteri gotici, nitidissimi, stampato con un inchiostro nero brillante, mantenutosi inalterato nelle pagine pervenuteci a distanza di cinque secoli. I caratteri metallici usati, non si sa se in piombo, o stagno, o in loro lega, furono certamente incisi da maestri del mestiere: non era difficile trovarne allora a Venezia dove i maggiori stampatori davano rilevante importanza ai caratteri usati per le loro opere (ricordiamo ancora che all’epoca era attiva da oltre un decennio la tipografia di Aldo Manuzio, noto per la ricerca posta nella la prima pagina dell’Odhecaton (Venezia, 1501) scelta dei caratteri e nell’eleganza della pagina stampata). È molto verosimile che il Petrucci si sia avvalso dell’opera di Francesco Griffo, bolognese, raffinato incisore “dalle mani dedalee”, padre del corsivo usato per il Virgilio stampato da Manuzio (Venezia, 1501) e per il Petrarca del Soncino (Fano, 1503). Petrucci non indicò mai quale procedimento adottasse nella stampa; secondo alcuni questa avveniva in tre impressioni successive: la prima per i righi, la seconda per le note, la terza per il testo, le iniziali, i numeri di registro ecc.; secondo altri la stampa – almeno in un secondo tempo – avvenne mediante due sole impressioni. Ma ciò che meravigliò fin dall’inizio fu l’elevata perfezione raggiunta nelle impressioni successive (in pratica le ristampe) nelle quali mai furono riscontrate differenze di registro, il che faceva dell’opera del Petrucci un vero capolavoro e del suo autore un vero artista; con i mezzi a disposizione, il problema della tenuta del registro era una delle maggiori difficoltà che gli stampatori incontravano in occasione di ristampe (per la carta, supporto altamente igroscopico, sono sufficienti piccole variazioni di temperatura e umidità per creare problemi di registro). L’Odhecaton e le molte edizioni che seguirono, incontrarono subito il favore del pubblico e il forsempronese deve averne tratto discreti utili, una parte dei quali venne sicuramente investita nell’acquisto di beni nella città natia, dato che – nell’aprile 1504 – il duca Guidobaldo gli concesse l’onore di essere eletto nel Consiglio di Fossombrone, nel quale, secondo gli statuti vigenti, nessuno poteva sedere “nisi sit et esse reperiatur civis originarius eiusdem civitatis, possideat bona stabilia in dicta civitate forisempronii et eius districtu valoris centum florinorum ad minus et habitaverit ad minus per viginti annos continuos…”. Nel 1511 Petrucci decise di trasferire la propria attività nella città natale, spintovi dalla situazione politica veneziana, dalla scomparsa dei suoi protettori e forse anche dall’età; da un atto notarile risulta che nell’aprile di quell’anno prese in affitto a Fossombrone una casa di Francesco di Paolo Guidi da Urbino, con l’uso delle stalle e della cisterna, al prezzo di ventidue ducati e mezzo l’anno. Nella sua terra, Petrucci continua a
dedicarsi alla stampa, ma non
più solo musicale. Nel 1513 edita l’opera più importante di Paolo da Middelburgo, vescovo della città: la De recta Paschae Celebratione: et de die Passionis domini nostri Jesu Christi, più nota come Paulina, trattato sulla correzione del calendario romano e sui calcoli per determinare l’esatta cadenza della Pasqua. Un volume prestigioso, con fregi bellissimi e iniziali stupende, un testo nitido, di grande effetto tipografico, che ancora oggi colpisce e si lascia ammirare quale esempio superbo di bella stampa; della Paulina è da rimarcare la bellezza del carattere, disegnato da Francesco Griffo, in quegli anni presente a Fossombrone. Nel 1519 Ottaviano Petrucci viene invitato dalla comunità di Sora (Frosinone) a impiantare colà una tipografia; per rendere più appetibile l’offerta, la comunità decide di regalare al Petrucci un appezzamento di terra sulle rive del torrente Carnello la pagina d’apertura della Paolina (o Paulina) per erigervi una cartiera, in modo che non debba preoccuparsi per l’approvvigionamento di carta. Molti hanno dubitato dell’esistenza di questa cartiera, almeno fino ad oggi, ma della sua costruzione e del suo funzionamento si può essere certi, dal momento che abbiamo rintracciato
sia l’atto di donazione del terreno per costruirla (1519), sia un atto notarile del 5 gennaio 1535 che ne riporta la vendita fatta dal nostro Ottaviano a Sebastiano Bonaventura di Urbino. Non è, quella di Sora, l’unica cartiera posseduta dal Petrucci, che ne ebbe un’altra nei pressi della sua città natale, in località Acquasanta, nella frazione di San Lazzaro di Fossombrone. Di questa cartiera, per il cui impianto lo storico forsempronese A. Vernarecci cita la data del 1520, ma certamente anteriore di alcuni anni (gli atti notarili di Sora lo identificano già come possessore di cartiera), Ottaviano Petrucci ne venderà metà nel 1523 e metà dieci anni più tardi, sempre allo stesso acquirente, Gio. Francesco di Paolo di Guido di Urbino, antenato della famiglia Passionei. Delle opere musicali da lui stampate ci restano pochissime copie, peraltro incomplete, dell’Odhecaton e pochi frammenti delle oltre cento edizioni musicali edite dalla sua officina tipografica. Tra le sue edizioni ricordiamo le Messe di Josquin de Pres, Brumel, Ghiselin, e Pierre de la Rue. E ancora undici libri delle Frottole, le intavolature del Bossiniensis, le Messe di Mouton e quelle di Fevin, i Mottetti della Corona, la Musica di messer Bernardo Pisano sopra Petrarca,… Petrucci muore nel 1539, forse a Venezia (e non se ne conosce il luogo di sepoltura) dopo un’esistenza che lo ha visto alla ribalta dell’intensa vita tipografica veneziana e dopo aver ricoperto nella sua città natale una serie ininterrotta di cariche pubbliche.
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