La fioritura di interessi per la musica antica, che caratterizza l’epoca attuale, sta dando frutti. Dire, però, che questi siano tutti buoni sarebbe azzardato soprattutto se ci si riferisce alla vocalità. Mentre da parte di una scelta schiera di strumentisti si conduce una seria ricerca sulla prassi esecutiva delle epoche passate, non altrettanto si può dire dei cantanti; non sono molti, infatti, quelli che si dispongono a recuperare la vocalità antica in atteggiamento critico e con animo sgombro da pregiudizi. Accade invece che, di fronte a coloro che – Dio li perdoni! – continuano a cantare le musiche medioevali, rinascimentali e barocche con tecnica ed espressività romantiche, stia crescendo la schiera di coloro che – Dio li perdoni! – si preoccupano soprattutto di cantare con_tecniche_ed_espressività «antiromantiche». «Antiromantico» non è sinonimo di «preromantico»: mentre il secondo aggettivo implica l’idea positiva di un’evoluzione estesa nel tempo e delle radici che ogni epoca ha in quelle precedenti, il primo ne implica una tutta negativa e, nel nostro caso, rischia di rappresentare soltanto l’idiosincrasia per le esasperazioni stilistiche di tempi recenti e per il cattivo gusto (o l’ignoranza) di chi le applica acriticamente a tutti quelli passati. Niente da eccepire a questa reazione – di per sé, anzi, lodevole – se, nella pratica, non portasse anche all’invenzione di tecniche ed espressività prive di basi critiche. Se non è accettabile che si cantino musiche medioevali, rinascimentali e barocche con tecnica, per esempio, verista, non è neppure accettabile che le si canti con tecniche di fantasia, aventi per giustificazione soltanto il gusto per l’esotismo storico; non è accettabile, cioè l’invenzione di stili «antichi», concepiti essenzialmente come negazione di quelli che sarebbero seguiti poi, mentre sono ormai note la basi genetiche e fisiologiche della comunicazione umana, che impongono a quest’ultima una serie di caratteri universali e costanti nel tempo. È quindi necessario uscire dalla soggettività con la quale si pratica abitualmente la vocalità antica e, incominciando dalla tecnica, chiederci come si deve anziché come non si deve cantare.
Le conoscenze disponibili sulla fisiologia della voce ci consentono oggi di interpretare le testimonianze superstiti sulla prassi vocale e quindi, indagando su queste senza preconcetti, di identificare con buona sicurezza le tecniche in uso nei tempi passati. In questo articolo io vorrei esporre alcuni aspetti anatomo-fisiologici della voce per dimostrare come certe descrizioni del canto e certe osservazioni di quattro teorici rappresentativi del tardo rinascimento in Italia – Vicentino, Zarlino, Maffei e Zacconi – possano dirci molto più di quanto si possa ritenere possibile su elementi dello stile come timbro, agilità, articolazione e potenza.
E’ quindi necessario uscire dalla sogget tività con la quale si pratica la vocalità antica……
Vorrei cominciare distinguendo in generale fra tecniche «antiche» e «moderne», cioè romantiche, ma presto apparirà evidente che, anche entro i limiti della seconda metà del XIV secolo, nel canto italiano le tecniche fondamentali usate erano più di una. Infatti, sia lo Zarlino che lo Zacconi hanno, come possiamo constatare, le stesse esplicite distinzioni fra il canto da cappella, che era, come verrà dimostrato, decisamente forte, e il canto da camera, che era più sommesso e più agile.
Un passo importante verso la tecnica vocale romantica fu fatto il 17 settembre 1831 quando, a Lucca, nel corso della prima rappresentazione italiana del «Guglielmo Tell» di Rossini, il giovane e ambizioso tenore francese Gilbert Duprez fece uso per la prima volta del cosiddetto «do di petto». In pratica Duprez estese all’intera gamma vocale il modo stentoreo di cantare dei tenori come Domenico Donzelli, usato fino ad allora nel registro centrale.1
Le nascenti tecniche romantiche avevano in comune un nuovo modo di controllare la tensione dalle corde vocali e, di conseguenza, un nuovo modo di passare dal registro centrale della voce
al registro superiore. In questo contesto il comportamento fonatorio della laringe (fig. 1/a e 1/b) diventa un elemento di discriminazione fra vari tipi di voce nel cantare romantico e moderno. Tre dei suoi meccanismi – il controllo della tensione delle corde vocali, il passaggio al registro superiore e la posizione della laringe – abbisognano di qualche spiegazione.2
Tensione delle corde vocali.
Le corde vocali, essendo muscoli, hanno la capacità di contrarsi attivamente; infatti quando noi parliamo presi da emozione, con voce piangente o esultante, esse si irrigidiscono in una contrazione isometrica continua, cioè, tecnicamente parlando, in un atteggiamento caratteristico del canto romantico. Questa rigidità delle corde vocali si accorda col comportamento dei polmoni per dar luogo ad una pressione più alta e, di conseguenza, ad un suono più potente. Nello stesso tempo, però, esse sono meno agili e per eseguire passaggi e diminuzioni fanno un grande sforzo. C’è un altro modo di controllare la tensione delle corde vocali. Esse possono essere stirate da altri muscoli della laringe che le te dono per via indiretta con un movimento all’indietro delle piccole cartilagini a forma di imbuto alle quali sono attaccate posteriormente (fig. 2). La loro contrazione attiva, allora, può essere limitata al controllo dell’intonazione. In questo tipo di tecnica esse rimangono più lunghe e flessibili ma tuttavia capaci di contrarsi in funzione del colore della vocale per dare luogo a fini sfumature psicologiche. Questo tipo di tecnica era usato, combinato con quello che stiamo per descrivere
nel paragrafo seguente, dai cantori da camera rinascimentali, senza di che essi non avrebbero potuto improvvisare gli elaborati abbellimenti e passaggi prescritti dai trattati dell’epoca.3
Passaggio al registro superiore.
Per realizzare il «passaggio» le tecniche romantiche e veriste comportano un alto grado di contrazione attiva delle corde vocali. Sia nelle tecniche antiche che in quelle più recenti il pomo d’Adamo viene inclinato in avanti da muscoli esterni alla laringe determinando lo stiramento delle corde vocali; ma nelle tecniche antiche l’inclinazione è ottenuta con la trazione in avanti dei corni superiori della parte posteriore del pomo d’Adamo (fig. 3/a) mentre in quelle moderne esso viene tira to dal basso come avviene nello sbadiglio (fig. 3/b). In questi casi anche le corde vocali entrano in azione arrivando a quella contrazione più vigorosa, necessaria per l’emissione potente e stentorea in uso nel canto lirico. Per realizzare il meno energico comportamento fonatorio in uso nelle tecniche vocali antiche l’inclinazione in avanti del pomo d’Adamo può essere facilitata adottando una posizione alquanto avanzata della mandibola. Noi possiamo constatare questo atteggiamento nelle raffigurazioni rinascimentali e barocche di cantori (fig. 4) così come, ancora oggi, nell’articolazione della parola e del canto da parte delle popolazioni italiche meridionali (p. es. i napoletani).4 Sperimentando praticamente questo atteggiamento si sentirà che, mentre la parte anteriore della gola viene essa pure trascinata in avanti, la mandibola rimane libera di muoversi verticalmente.
Posizione della laringe.
Nel 1847 il Traité complet de l’art du chant di Manuel Garçia presentava una descrizione sistematica della nuova tecnica – che Garçia aveva conosciuto in Italia nel 1832 e che aveva fatto la sua prima comparsa nell’opera a Parigi nel 1837 – ed affermava che la maggior novità della stessa consisteva nel mantenere la laringe costantemente più bassa che nelle altre tecniche.5 A parte tutti gli altri effetti aritenoidi sono imperniate sulla cartilagine cricoide (i muscoli che presiedono al loro movimento non sono rappresentati). Acorde vocali riunite (a), l’aria non può passare attraverso la laringe (nella fig. è rappresentato soltanto il margine interno delle c. v., che occludono invece tutto il passaggio). Si costituisce così una valvola che si apre e si chiude alla frequenza della nota desiderata come le labbra di un suonatore di tromba. Quando respiriamo la valvola è rilasciata e aperta (b). Nella parola e nel canto l’entità della tensione delle corde vocali è determinata da muscoli attaccati alla parte posteriore delle cartilagini aritenoidi così come dal grado di inclinazione della cartilagine tiroide per azione di certi muscoli esterni alla laringe, che agiscono, su di essa.
sul lavoro delle corde vocali all’interno della laringe, questa po sizione «oscura» la voce allargando la camera di risonanza della gola. Il timbro del suono prodotto dalla laringe stessa (fig. 5/a) è fortemente modificato dalla forma e dal volume della gola e della bocca (fig. 5/b/c). In effetti certe limitate parti dello spettro, chiamate «formanti», sono esaltate nell’attraversamento delle successive camere di risonanza della gola e della bocca da parte della voce e le variazioni di timbro dovute alle modificazioni di queste camere nei diversi momenti articolatori vengono percepite come vocali (fig. 6). Tra le formanti delle vocali le prime
due sono particolarmente importanti. La più bassa dipende dalla cavità della gola (perché questa è più ampia della bocca) e conferisce alla voce molto del suo colore fondamentale. La seconda formante, invece, dipende dalla cavità della bocca ed è responsabile principalmente della comprensibilità. Quanto più la banda di frequenza della formante della bocca è differenziata tra le vocali, tanto più sarà comprensibile il discorso, ma quanto meno la banda di frequenza della formante della gola cambia, tanto più omogeneo sarà il timbro generato.
La regola di Garçia, di tenere la laringe costantemente bassa,favorisce un timbro omogeneo e alquanto scuro che lui e i suoi contemporanei chiamavano «voix sombrée». In questo tipo di voce romantica6 – il più diffuso ancora oggi – tutte le vocali tendono al suono della «u» a causa dell’abbassamento della formante della gola. Il carattere «drammatico» della voix sombrée è ottenuto, però, a un certo prezzo perché la base della lingua è ancorata ad un osso, l’osso ioide (fig. 1/b e fig. 3/a/b), la cui posizione determina quella della laringe: se la laringe è costantemente spinta in basso la lingua è meno libera di differenziare i volumi della bocca ad ogni vocale.
Da quanto ho detto finora si può desumere: primo, che le tecniche antiche favorivano la flessibilità e l’agilità più che la potenza, che è ottenuta nel canto moderno con un alto grado di contrazione delle corde vocali; secondo, che il timbro drammatico della moderna voix sombrée è ottenuto con l’abbassamento della laringe tanto che l’attitudine della lingua ad articolare le diverse vocali è ostacolata. Prima di arrivare ai teorici italiani, io vorrei esaminare la relazione fra l’omogeneità del timbro e la comprensibilità delle vocali e rivolgere brevemente l’attenzione al vibrato.
Noi tendiamo a considerare una voce omogenea nel timbro quando l’altezza della prima formante rimane abbastanza costante durante la pronuncia delle diverse vocali. Quando le dimensioni della cavità della gola cambiano sensibilmente ad ogni vocale, l’effetto è di grande chiarezza e di perdita di consistenza nel timbro vocale. Quando la mandibola è spinta in avanti (come nel canto rinascimentale), il volume della cavità della gola è un poco aumentato e le vocali sono alquanto arrotondate (fig. 7/a). Quando la gola è allargata uniformemente per l’abbassamento della laringe, invece, il timbro diventa molto omogeneo e in realtà tutte le vocali sono colorate di «u» (fig. 7/b).
Vorrei ricordare che lo «smalto» vocale, che ten de a caratterizzare il canto in generale è dovuto ad una altra formante, detta «formante del canto», che è sempre stabile all’altezza di circa 3.000 Hz sebbene sia variabile in larghezza e intensità a seconda della particolare tecnica adottata. Quando, però, nell’emissione della voce interviene un certo irrigidimento delle corde vocali, vengono pure esaltati armonici di frequenza superiore a quella della formante del canto, i quali conferiscono al timbro uno smalto e talvolta una pungente durezza, che può andare da una «punta di spillo» a una risonanza nettamente metallica. Noi possiamo vedere che lo Zacconi si riferisce a questo come alla «voce detta di testa» e ammonisce i cantori ad evitarla.
Le oscillazioni del vibrato sono molto più percepibili negli armonici acuti che in quelli bassi
a causa del comportamento del nostro orecchio nell’ascolto.
Poiché una delle caratteristiche delle tecniche moderne è quella di concentrare l’energia nella regione acuta, il vibrato appare in esse più accentuato di quanto in realtà non sia. I due aspetti del canto moderno – la risonanza metallica degli armonici più alti e il vibrato accentuato – sono così strettamente associati che noi oggi spesso percepiamo una voce non metallica con un vibrato moderato come se non ne avesse affatto (agendo sulle manopole dell’impianto ad alta fedeltà è possibile alterare il timbro della voce dei cantanti mettendo in risalto gli armonici bassi o quelli acuti; anche se questo non corrisponde esattamente a far cantare un tenore romantico come uno rinascimentale o viceversa, il procedimento è utile per capire come possa essere influenzata la valutazione soggettiva del vibrato). È possibile, dal punto di vista dell’emissione, ridurre il vibrato della voce fino a renderla «fissa», ma io non conosco alcun autore che mai lo abbia richiesto. È invece ben documentata,7 nel canto da camera rinascimentale e barocco, la pratica di «fermare» («fermare», si badi, non fissare») o «vibrare» la voce a seconda delle esigenze espressive mentre penso sia ragionevole dedurre che nel più sonoro canto da cappella esso fosse un elemento costante anche se non così evidente come, più tardi, nel canto romantico da teatro.
Fine della prima parte
(*) Già Docente ai Conservatori di Musica di Pesa
ro, Parma e Torino; Ricercatore e Direttore di Coro.
1 A. DELLA CORTE, Vicende degli stili di canto dal tempo di Gluck al ‘900, in A. DELLA CORTE, «Canto e bel canto», Torino, 1933, pp. 244-5.
2 Un buon testo introduttivo è: F. D. MINIFIE e altri, Normal Aspects of Speech, Hearing, and Language, Nev York, 1973
3 Cfr. H. M. BROWN, Embellishing Sixteenth-century Music, London, 1976, pp. xi-xii e i capp. 1 e 2.
4 Un importante riferimento a questo fatto si trova in G. B. MANCINI, Riflessioni pratiche sul canto figurato, Milano, 3/1777, p. 110: «Ogni cantante deve situar la sua bocca, come suol situarla, quando naturalmente sorride, cioè in modo che i denti di sopra siano perpendicolarmente, e mediocremente distaccati da quelli di sotto.»
5 M. P. R. GARÇIA, Traité complet…, Paris, 1840, cap. 3. Cfr. inoltre Histoire de l’Académie royale des sciences, Paris, per l’anno 1841, nota 2 della seduta del 12 aprile.
6 È questa una descrizione tecnica tratta da R. HUSSON, La voix chantée, Paris, 1960, pp. 127-30. Per questa e altre tecniche vocali cfr. anche R. HUSSON, Physiologie de la phonation, Paris, 1962. pp. 503-6 e A. Wicart, Le chanteur, Paris, 1944, pp. 226-34.
7 M. Uberti e O Schindler, Contributo alla ricerca di una vocalità monteverdiana: il «colore» in «Congresso internazionale sul tema Claudio Monteverdi e il suo tempo: relazioni a comunicazioni», Venezia, Mantova e Cremona, 1968, a cura di R. Monterosso, pp. 519-37. Può essere interessante osservare che Zacconi, il quale definisce il tremolo come «la voce tremante» (Prattica di musica, cc. 60r), dice a c. 54v: «Il tremolo nella Musica non è necessario; ma facendolo oltra che dimostra sincerità, et ardire; abbellisce le cantilene».
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