Dicono molti orchestrali che la caratteristica principale che contraddistingue i direttori dagli altri musicisti è quella di essere completamente sordi. Questa è, ovviamente, una malignità ingenerosa, ma nasce dal fatto che la dote che secondo le aspettative dovrebbe essere maggiormente sviluppata nel direttore è proprio quella dell’orecchio musicale. L’attività direttoriale più onerosa è sempre quella della concertazione, attività che richiede moltissimo tempo: nelle grandi orchestre sinfoniche la prova può durare 3 o 4 volte il tempo di esecuzione, ma se ci portiamo verso le realtà semi – professionali, didattiche o amatoriali vediamo che per preparare un singolo programma occorre lavorare anche molti mesi. Senza un ottimo orecchio non è possibile né provare né insegnare, perché non si saprebbe cosa dire agli esecutori e cosa poter migliorare; inoltre non ha nessuna utilità il capire genericamente che qualcosa non va o che qualcosa potrebbe essere perfezionato: se non si individua con grande precisione il problema e non lo si espone chiaramente, nessun errore potrà mai essere corretto e nessuna soluzione potrà essere mai adottata. L’orecchio non è (o non è solo) un dono del cielo, ma è anche il frutto di un allenamento quotidiano intelligente e volenteroso che produce il risultato voluto. Tutti i più moderni orientamenti della didattica musicale moderna, infatti, danno allo sviluppo dell’orecchio musicale una enorme importanza. È cosa risaputa che per imparare a dirigere occorre, per prima cosa e imprescindibilmente, imparare ad ascoltare e a riprodurre con precisione un’immagine sonora interiore. L’orecchio musicale richiederebbe una vastissima trattazione apposita che non ho intenzione nemmeno di sfiorare, per non esserne travolto13. Dirò solo che la parte che ci interessa in questo primo approccio è la memoria intervallica, la capacità, cioè, di riconoscere e riprodurre qualsiasi intervallo in qualsiasi combinazione, sia melodicamente che armonicamente. Per ottenere questo risultato, occorre inizialmente lavorare sull’acquisizione di alcune macro strutture (come scale, accordi, cadenze ecc. – in pratica l’orecchio tonale) che sono i mattoni con cui gran parte della musica occidentale è stata costruita. Ma, in seguito, occorre esercitarsi anche nelle micro strutture, basate su combinazioni di puri intervalli al di fuori dei contesti abituali. Infatti, se vogliamo affrontare dei generi musicali che vanno dal ‘900 ai giorni nostri oppure vogliamo affrontare musica antecedente al periodo barocco, l’orecchio tonale spesso non è di nessun aiuto, anzi, talvolta porta a risultati fuorvianti facendoci “inscatolare” all’interno di un contesto tonale ciò che tonale non è affatto. Questo tipo di esercizi va fatto in sedi apposite, con testi idonei e con insegnanti esperti, imparando a cantare (il canto è il principale sistema di verifica dell’apprendimento e di memorizzazione degli intervalli) qualsiasi successione intervallica svincolata da qualsiasi contesto, oppure in contesti estremamente differenti da quelli consueti, come il contesto modale14. Gli ausili informatici (i programmi di ear training) possono essere utili fino ad un certo stadio di apprendimento, ma sono molto limitati nei loro presupposti metodologici, almeno relativamente a quei programmi che ho potuto conoscere finora. Dell’orecchio abbiamo parlato finora in termini di riconoscimento e di riproduzione degli intervalli. Tuttavia esiste un’altra funzione psichica legata all’orecchio indispensabile per un direttore. L’orecchio interiore è la capacità di ascoltare interiormente la musica senza che questa venga prodotta all’esterno. Chiunque avrà provato a sentire dentro di se un motivo o un intero pezzo e quindi questa è capacità già nota ad ogni musicista. Tuttavia, perché questa capacità sia molto utile nella direzione, è importante che abbia un certo livello di precisione. Occorre abituarsi, quando si studia una partitura, ad ascoltare interiormente una voce per volta, soprattutto le parti interne, e poi tutte le voci complessivamente. Questo allenamento, in fase di studio, porta a formare una chiara immagine interiore della musica, in maniera che, durante le prove, qualora il risultato sonoro ottenuto si discosti significativamente dall’immagine interiorizzata, si sia in grado di correggere ogni inesattezza. Appare chiaro, a questo punto, che chi sarà in grado di studiare una partitura comodamente seduto sul divano di casa o sul sedile di un treno si troverà comunque molto più avvantaggiato rispetto a colui che per studiare la medesima partitura avrà bisogno di un pianoforte o di un altro strumento polifonico. L’interpretazione di un brano, inoltre, è qualcosa che viene forgiata e scolpita all’interno dell’immagine sonora interiore, e per questo motivo più questa funzione viene sviluppata più le capacità musicali complessive aumenteranno. Una delle caratteristiche che più formano un buon direttore, infatti, è quella di avere un orecchio interiore molto più sviluppato degli altri. L’orecchio interiore è pure un elemento importante delle memoria musicale, e per questo ulteriore motivo è un elemento discriminante tra chi può accingersi a dirigere e chi no.
NB: Il presente articolo costituisce un breve estratto dal “Manuale di Direzione” di Andrea Landriscina.
(*) Musicologo, Docente di Direzione di Coro e Repertorio Corale per Didattica della Musica al Conservatorio “G. Tartini” di Trieste.
13 L’orecchio musicale è un crocevia di un numero impressionante di discipline e può essere affrontato da numerosissimi e fantasiosi punti di vista. Se ne occupano infatti l’anatomia, la fisiologia, l’acustica, la psicoacustica, la psicoaudiofonologia (disciplina fondata da Alfred Tomatis), la pedagogia e la didattica musicale, la musicoterapia, le numerose branche della psicologia (psicologia della percezione, psicologia musicale, ecc.) e tante altre discipline che a fatica potrebbero essere elencate esaustivamente, anche perché ogni giorno ne nascono di nuove.
14 Nella mia personale attività didattica lavoro inizialmente sull’orecchio atonale, utilizzando il celeberrimo Modus Novus di Lars Edlund, passando poi all’orecchio modale, dove utilizzo i numerosi metodi che venivano usati nel ‘500 e nel ‘600, poi passo a lavori sull’orecchio armonico, infine utilizzo il depistage, tecnica tipica della didattica francese, dove lavoro su numerosi tipi di contesti musicali.
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