Premesso che in Italia possiamo distinguere due tipologie di formazioni corali, il coro così detto “amatoriale” e quello professionale, entrambe a mio parere, devono, pur con le dovute distinzioni, perseguire gli stessi obiettivi qualitativi. E’ quindi possibile un percorso tecnico circa la vocalità del corista? Non solo è possibile ma necessario.

Se è vero che il cantare in coro, diventa un importante momento di aggregazione e di sviluppo delle qualità creative degli individui, è altrettanto vero che, attraverso l’attività artistica che le varie associazioni corali mettono a disposizione generosamente, si viene a creare un importante strumento di diffusione della cultura musicale a vasto raggio.

Quindi se è questo l’obiettivo, la preparazione vocale è un requisito imprescindibile e, il coro, a meno di scelte circoscritte per motivi specialistici, dovrebbe essere in grado di cantare il repertorio di qualsiasi epoca o stile, così come un pianista può eseguire bene Mozart o Chopin usando un tocco diverso. Nello specifico, non si dovrebbe sentire cantare Brahms con la stessa vocalità che si usa nel repertorio rinascimentale, poiché non è solo una questione di interpretazione, ma di qualità del suono ottenuto.

Quindi il lavoro del direttore di coro, figura con una specifica formazione di musicista, si svolge anche attraverso una costruzione lenta e paziente della vocalità del corista.

Infatti, quando ci troviamo di fronte ad un coro, si parte proprio dall’analisi del suono che un determinato gruppo di persone può emettere. Questo varia in base a tanti fattori, quali il numero dei componenti, l’età, le condizioni ambientali e alla tradizione musicale che è diversa da regione a regione. L’apprendimento della tecnica sarà così utilizzata per ottenere un “colore” uniforme e specifico di quella realtà corale.

Consapevole che non è possibile in poche pagine esporre un “metodo” di educazione vocale, prenderò in esame alcuni punti essenziali che, ho sviluppato durante la formazione di un coro, con voci non educate al canto. In questo caso la figura professionale preposta allo scopo è il direttore del coro medesimo. Poiché come per ogni percorso didattico, la trasmissione di determinate competenze dà ottimi risultati se sono il frutto dell’esperienza diretta. Va da se che, se il direttore del coro ha compiuto studi di canto in modo approfondito, otterrà risultati di gran lunga migliori di chi si affida ad un esperto che lo affianca durante le prove.

Infatti, se è vero che un direttore d’orchestra è chiamato a dirigere un gruppo di persone che conoscono perfettamente la tecnica del loro strumento, altrettanto vero non è per un direttore di coro. A meno che non lavori con un coro lirico alle dipendenze di un teatro, ma, anche in questo caso, spesso occorre intervenire sulla tecnica per ottenere un suono omogeneo, il suono del coro.

Entrando nel merito, prenderò in esame in modo scientifico, le componenti coinvolte e le funzioni, che, se usate correttamente portano ad una buona fonazione.

Il primo punto parte dalla conoscenza dell’apparato respiratorio, che si compone di gabbia toracica, muscoli inspiratori ed espiratori, polmoni e di un sistema muscolare di supporto non propriamente facente parte dell’apparato respiratorio, ma la cui funzione come vedremo è fondamentale, i muscoli addominali.

Nella fase d’inspirazione ed espirazione, il lavoro muscolare è svolto da:

  • Muscoli intercostali esterni (inspiratori)
  • Diaframma (muscolo involontario)
  • Muscoli intercostali interni (espiratori)
  • Muscoli addominali (superiori e inferiori)

Abbiamo quindi due fasi che si completano a vicenda: appoggio, attraverso il quale il corista esercita un controllo per rallentare la risalita del diaframma nella fase espiratoria, favorendo una giusta pressione sottoglottica; e sostegno del fiato in cui il soggetto mantiene costante la colonna d’aria durante la fase della fonazione. In entrambe le fasi il ruolo fondamentale è esercitato dai muscoli addominali, che il corista impara a controllare e a distinguere quando questo controllo è più efficace utilizzando maggiormente quelli inferiori o quelli superiori o entrambi.

Partendo da queste basi, la respirazione deve diventare col tempo uno strumento naturale, evitando di ridursi a un esasperato meccanismo muscolare, ma gradualmente il soggetto svilupperà la consapevolezza che, per cantare, le componenti che entrano in funzione, si comportano diversamente dalla semplice respirazione per le normali funzioni vitali. Se chi canta, prende coscienza del fatto che, respirando correttamente risparmia fatica e la voce, oltre ad aumentare di volume diventa più bella, questa pratica diventerà piacevole da coltivare e da approfondire nel tempo.

Chi suona uno strumento ne conosce perfettamente le caratteristiche, quindi chi canta, a maggior ragione, non può ignorare qual è, dove si trova e come funziona lo strumento preposto alla generazione del suono, ossia le corde vocali che fanno parte dell’apparato laringeo, e siamo al secondo punto della nostra analisi.

Come abbiamo visto, la respirazione controllata, provvede anche alla giusta pressione sottoglottica (la glottide è lo spazio che si trova fra le corde vocali nel momento in cui sono aperte) necessaria a generare il suono vocale e, a questo punto, possiamo valutare la qualità del suono ottenuto. Spesso s’incorre nell’errore di un’errata pressione sottoglottica, col risultato di un suono troppo teso (duro), quando questa pressione è troppa, oppure soffiato quando la pressione è insufficiente.

Il terzo punto che vorrei esaminare, riguarda la caratteristica principale di ogni individuo, il timbro vocale. Ritengo che fra gli scopi di sviluppare una buona tecnica, ci sia quello di mettere in evidenza il migliore timbro già esistente per le caratteristiche dell’individuo. Sappiamo bene che alcune voci sono per natura dotate di un bel timbro, altre meno. In ogni caso, sarà un accurato lavoro sui risuonatori, e con questo intendo una buona gestione delle cavità di risonanza e di articolazione, che darà ottimi risultati. Il timbro, infatti, cambia a seconda della conformazione e dell’ampiezza dei risuonatori, ossia, tutti quegli spazi che si trovano al di sopra delle corde vocali. Tali spazi costituiscono l’apparato di risonanza, e sono la cavità faringea, cavità orale e nasale.

Pertanto la consapevolezza del cambiamento del timbro a seconda di come apriamo la bocca e di come pronunciamo le vocali e le consonanti, in sintesi, la graduale presa di coscienza delle posizioni dei suoni e delle problematiche relative all’emissione, porteranno a un miglioramento del suono, sia in termini di qualità che di quantità.

Considerando che questo lavoro è svolto sul coro e non sul singolo individuo, avremo gradualmente lo sviluppo di un particolare suono corale, ottenuto tramite la capacità dei coristi di portare il suono avanti e di ampliare/cambiare con naturalezza le cavità di risonanza.

Un altro problema che si pone all’attenzione di chi canta, è quello dell’intelligibilità del testo tramite una corretta dizione, soprattutto nella musica corale, dove il significato delle parole è compromesso già dalla scrittura di tipo polifonico.

Un uso appropriato e consapevole della funzione della lingua nell’articolazione delle vocali e del punto in cui si articolano le consonanti, contribuisce a valorizzare non solo il timbro, ma anche una corretta dizione.b

Sappiamo che ogni direttore di coro deve anche svolgere il delicato compito di decidere in quale sezione far cantare un nuovo aspirante corista. Per una corretta indagine, i criteri usati più frequentemente per classificare una voce sono:

  • Estensione
  • Tessitura
  • Passaggi di registro
  • Timbro

Inoltre vi sono criteri anatomici e fisiologici quali la struttura corporea e le dimensioni delle corde vocali. Nel primo caso, anche se questo è un parametro piuttosto generico, osservando un corpo alto, longilineo nell’uomo di solito ci troviamo di fronte alla voce di basso/baritono, al contrario, osservando un aspetto tarchiato su una struttura più bassa, un tenore. Comunque, l’indagine attraverso strumenti scientifici quali la laringoscopia e la stroboscopia, ci fornirà un supporto assai più valido circa la tipologia delle corde vocali che, a seconda della lunghezza e dello spessore, ci indicano i vari tipi di voci.

Nel coro, distinguiamo Soprani, Contralti, Tenori e Bassi, con i relativi sottogruppi Mezzo Soprano (o Soprano secondo), Tenore secondo e Baritono.

bcUn altro aspetto da non sottovalutare nelle voci non ancora educate, è quello concernente i passaggi di registro. Inoltre, quando ascoltiamo una voce non ancora educata, la conoscenza delle note del passaggio ci fornisce un valido aiuto per confermare l’idea che ci siamo fatti circa la classificazione di quella voce.

Registro Vocale Soprano-Tenore:

bd

Registro Vocale Mezzosoprano:

bde

Quindi, per ottenere una certa omogeneità vocale, ovviamente questi passaggi non si devono avvertire e il percorso tecnico fin qui esposto, alimenta una percezione più consapevole della proiezione dei suoni, che a seconda dell’altezza li possiamo ricondurre ai tre registri di “testa”, “centro” e “petto”. Anche se questa terminologia non è da tutti condivisa, la concentrazione su detta percezione, dà sicuramente dei buoni risultati in termini di proiezione del suono.

Registro Vocale Baritono:

be

Per concludere, aggiungo che un lavoro condotto su queste basi, ci propone la figura di un corista più consapevole e quindi più affidabile, sia da un punto di vista tecnico perché ha imparato a usare il proprio “strumento voce”, sia in termini di entusiasmo, poiché è stato messo in condizioni di scoprire le proprie potenzialità che, senza un adeguato percorso, non sapeva di avere.

Inoltre, essere coscienti di come si sta utilizzando lo “strumento voce”, ai fini dell’interpretazione musicale, crea quella condivisione degli obiettivi in empatia fra chi dirige e chi canta, in altre parole, ognuno, sta impiegando i propri mezzi tecnici al servizio della buona esecuzione musicale.